«Dipingo mani da anni. Blaise Pascal diceva L’âme aime la main. Il soggetto di Paul’s Hands è Paul, un amico di New York, sacerdote protestante, per metà ebreo e sposato con un uomo» – Y.Z. Kami a Firenze
Il valore del silenzio nelle opere di Y.Z. Kami
Le opere di Y.Z. Kami evocano silenzio e lo richiedono per osservarle. L’artista, nato in Iran, vive e lavora a New York. «Il silenzio cui si riferiscono i miei dipinti è un silenzio interiore. New York è una città rumorosa, bisogna fare uno sforzo in più per connettersi al proprio spazio di quiete. A volte ascolto la musica mentre lavoro nel mio studio, altre volte preferisco il silenzio».
Light, Gaze, Presence: la prima mostra di Y.Z. Kami a Firenze
Per la prima volta a Firenze, Museo Novecento presenta Light, Gaze, Presence. Una selezione di opere dell’artista esposte anche presso il Museo di Palazzo Vecchio, il Museo degli Innocenti e nell’Abbazia di San Miniato al Monte. In questo luogo di culto, è stato collocato l’olio su lino Paul’s Hands. Il contesto sacro enfatizza la compassione emanata dai dipinti di Y.Z. Kami, che possono essere interpretati come un monito alla tolleranza tra gli esseri umani. In un mondo sempre più violento dove, in nome di fedi diverse, si è invertita la rotta della perpetrazione del dolore, ma la si è anche inasprita, l’artista percepisce ancora un valore nella religione e nelle sue istituzioni?
«Dipingo mani da diversi anni, compresa l’immagine delle ‘mani in preghiera’ che si trova nelle religioni orientali e nel cristianesimo: è un segno diretto di devozione. Il teologo e filosofo francese Blaise Pascal ha detto L’âme aime la main, (l’anima ama la mano). Il soggetto di Paul’s Hands è Paul, un mio amico di New York, sacerdote protestante, per metà ebreo e sposato con un uomo. Per me questo riassume il mondo di oggi, con le sue migrazioni e diversità che si mescolano assieme, anche se sono altresì presenti forti forze di intolleranza».
L’abate di San Miniato al Monte, Padre Bernardo
«Mani protese verso l’infinito e il mistero – dichiara l’abate di San Miniato al Monte, Padre Bernardo – mani statiche e dinamiche in cui la luce orientale delle finestre romaniche accarezza dita che si allungano in un ricamo di speranza, di dedizione e affidamento. Preghiera è parola che viene da precarius, segnalando così la precarietà di chi, con umiltà e consapevolezza, ripudia ogni autoreferenziale sicurezza, per consegnarsi, lungo l’oro dell’invisibile, nell’assoluto, fidandosi della gravità che il cielo continua ad esercitare sui nostri sogni e desideri».
L’esercizio di spiritualità nelle opere di Y.Z. Kami
Osservando le opere esposte a Firenze, emerge un senso di sospensione e attesa libera dal vortice del tempo. Un tema ascetico interdisciplinare contaminato in una dimensione postmoderna in cui la citazione e il riuso sono pilastri dell’odierna proposta artistico-culturale. C’è chi trova conforto entrando in una chiesa medievale, genuflettendosi davanti al crocifisso ligneo, chi cerca l’estasi religiosa nelle danze dei dervisci rotanti o chi ascolta ritmi pop di provocatoria matrice devozionale, come Like a Prayer di Madonna. In questa stratificazione venerativo-culturale, dove si colloca lo spirituale esercizio artistico di Y.Z. Kami?
«Fin da quando ho memoria mi sono interessato alla religione comparata. Credo che ci sia sempre stata una connessione tra gli aspetti del mio lavoro e le varie tradizioni sacre. Le immagini circolari presenti in alcuni dei miei lavori sono in realtà dei mandala molto semplici. I mandala si trovano in diverse culture da millenni in tutto il mondo. Nel 2005 ho realizzato una scultura in pietra intitolata Rumi, The Book of Shams e Tabrizi, su cui è impressa una poesia mistica d’amore del teologo musulmano Rumi. La scultura è composta da cerchi concentrici e ogni cerchio si riferisce al movimento di un derviscio vorticoso. La serie di dipinti Dome che ho realizzato sono ancora una volta degli archetipi mandala, di cui ci sono esempi in questa mostra a Firenze. Una metafora di paradiso: idea di tempio e contemplazione».
Y.Z. Kami, tra fotografia e pittura
Per la realizzazione delle sue opere, l’artista utilizza anche la fotografia. Ci si domanda quale sia il divario mediale tra la riproduzione vivida del reale e la sua rimodellazione su una tela di lino. «La fotografia è uno strumento di riferimento per i miei dipinti; la uso da molti anni come base per la creazione delle opere. Ci sono stati poi anche momenti in cui ho usato la fotografia direttamente montandola sulla tela. Opere come Dry Land o Konya sono fotografie stampate con effetto iride su carta da disegno e alcune parti sono ritratti dipinti sopra elementi architettonici della tradizione persiana».
Ad occhi chiusi. La trascendenza nell’arte di Y.Z. Kami
Gli occhi dei personaggi dipinti da Y.Z. Kami sono spesso chiusi. Il risultato è un senso di trascendenza legato a una riflessione sulla morte – si pensi storicamente alla tradizione ritrattistica funeraria realizzata su tavola, posta sui volti di alcune mummie egizie d’età romana – che Y.Z. Kami propone con Brunelleschi (Death Mask), realizzata appositamente per questa mostra e dedicata all’architetto del Rinascimento fiorentino, ideatore del progetto dell’Ospedale degli Innocenti, dove l’opera è attualmente esposta. Un esercizio visivo che si configura anche come una rêverie a palpebre serrate.
«Per molti anni i miei lavori hanno raffigurato personaggi con gli occhi rivolti verso l’osservatore. Anche negli antichi ritratti funerei del Fayyum c’è sempre stato un riferimento allo sguardo. Poi, all’inizio degli anni 2000, ho iniziato a dipingere volti con lo sguardo rivolto verso il basso o con gli occhi chiusi. Questo ha coinciso con il fatto che le mie opere si sono sempre più caratterizzate per un effetto sfocato, favorendo forse la percezione di una diversa introspezione. Si potrebbe pensare che il soggetto ritratto sia in uno stato di meditazione, preghiera o pura contemplazione».
Y.Z. Kami, una breve biografia
(Teheran, 1956) – ha iniziato a dipingere a soli cinque anni nello studio della madre. Dopo aver studiato filosofia alla Sorbona di Parigi, negli anni Ottanta si trasferisce a New York, dove dalla fine degli anni Novanta inizia a esporre in musei e istituzioni artistiche. Le sue opere sono oggi conservate in collezioni pubbliche, tra cui quelle del Metropolitan Museum of Art (New York), del Whitney Museum of American Art (New York), del Solomon R. Guggenheim Museum (New York) e del British Museum di Londra.
A Firenze, fino al 24 settembre 2023, è in mostra Light, Gaze, Presence, organizzata da Museo Novecento con il supporto di Gagosian.
Federico Jonathan Cusin


