Caterina Bonvicini in Molto molto tanto bene – Einaudi, 2024, racconta dei suoi viaggi in mare sulle navi ONG, del salvataggio di una bimba e di sua madre e del tentativo, nei mesi successivi, di rintracciare il secondo figlio
Caterina Bonvicini, autrice di Molto molto tanto bene – Einaudi, 2024
Caterina Bonvicini in Molto molto tanto bene – Einaudi, 2024, racconta dei suoi viaggi in mare sulle navi elle ONG. Racconta del salvataggio di una bimba e di sua madre e del tentativo, nei mesi successivi, di rintracciare il secondo bimbo, il secondo figlio della donna, rimasto bloccato in Libia, per una serie di contingenze. Dopo un periodo in casa sua e di suo marito, la donna ha deciso di portar via i piccoli, allontanandoli da lei, interrompendo quella che iniziava a essere per loro una quotidianità sana.
I bambini non li ho più sentiti né visti: ho chiuso tutti i rapporti. Non riuscivo a parlar loro al telefono, io in Italia e loro in Francia, senza star male. Qui in Italia, se solo fossero rimasti, assieme alla madre, naturalmente, avrebbero avuto opportunità, strade possibili, la chance di una vita serena. In Francia, in balìa della madre, non so che esistenza avranno, e non sopporto di sapere senza poter fare. Fossero rimasti qui con noi, sarebbero forse diventati dei nevrotici occidentali, pieni di ansie e paure e ossessioni stravaganti? Magari no, avrebbero colto le possibilità che qui avrebbero avuto. Il dubbio lo avrò per sempre. Mi mancano, e penso a loro spesso. Sono stati con noi per un mese. All’inizio abbiamo dovuto pensare alle cose più concrete, pratiche: non avevano scarpe, bisognava comprar loro dei vestiti nuovi.
Sotto il sole di Roma, caldo, afoso, abbiamo passato i primi giorni tra i negozi. Siamo andati in campagna, in questa casa in affitto dove io e mio marito avevamo deciso di passar l’estate così da far riprendere i bambini dalle cose orribili che avevano visto, di cui avevano fatto esperienza. Conserviamo bei ricordi stupendi: guardavamo film in tivù, soprattutto cartoni Disney per i bimbi, facevamo passeggiate e stavamo a mollo in piscina. I bimbi erano così felici, così contenti. Dopo quel periodo, immaginavo di portarli a villa Borghese, in musei e palazzi storici, volevo che conoscessero l’Italia, il loro nuovo Paese, ma così non è stato. Se i piccoli erano buoni, sorridenti, gentili, la donna, la madre dei due, era sempre molto sofferente e insofferente, dava tanti problemi, voleva sempre andare in un posto diverso da quello in cui ci trovavamo. Alla fine, ci ha annunciato di aver trovato un uomo, di avere una relazione e di volersi trasferire in Francia assieme ai piccoli. Che dolore per noi.
Caterina Bonvicini, Molto molto tanto bene – Einaudi, 2024
I bimbi, racconta in Molto molto tanto bene, dapprincipio li sentiva per telefono o, a volte, in videochiamata. Le raccontavano la loro quotidianità, e lei raccontava la sua – sua e di suo marito. Poi, però, i rapporti si sono interrotti, e per le ragioni di cui ha parlato prima. Dopo aver condiviso momenti fondamentali della loro vita e, naturalmente, importantissimi pure della sua, di vita, la possibilità che non saprà mai più niente di loro esiste.
Sì, esiste e mi fa male, ma forse sarebbe anche meglio così. In fondo, l’idea che un giorno possano cercarmi, tentare di riallacciare i rapporti la temo. Da un lato mi commuoverebbe: significherebbe che si ricordano di me, di mio marito, che un pezzo di noi è rimasto dentro di loro. Dall’altro avrei paura. Chi saranno diventati? Che vita avranno avuto, saranno le persone che ho un po’ cresciuto io? Chissà, magari saranno arrabbiati con me, si sentiranno abbandonati. Dopo i primi anni dal loro trasferimento in Francia, quando ho detto loro che non riuscivo più ad andare loro dietro, la bimba mi implorava al telefono di non lasciarli, continuare a star loro accanto, anche se a distanza, e io rispondevo che no, non potevo, che avevamo fatto un pezzo di strada assieme, e che auguravo loro il meglio. Mi spezzava il cuore, ma non riuscivo più a star dietro a tutti i cambiamenti, ai colpi di testa della madre. Li ho seguiti per diversi anni, li ho sentiti per telefono, mi mandavano foto, ma poi ho dovuto interrompere.

Lo abbiamo detto all’inizio: nel romanzo, oltre a parlare dei mesi assieme ai bimbi salvati in mare lei racconta dei salvataggi, delle settimane trascorse sulle ONG che pattugliano il Mediterraneo nel tentativo di localizzare e salvare i barchini che nel mare potrebbero affondare, che il mare provano a valicarlo nella speranza di una nuova vita, di salvezza, di accoglienza.
È cominciato tutto con Michela Murgia. Lei per le ONG faceva tanto e noi, amiche e scrittrici, con lei. Io, Valeria Parrella, Evelina Santangelo e altre. Così, quando, dopo tanto riflettere, ho deciso di volermi imbarcare è stata lei, Michela, ad aiutarmi a entrare a fare parte dell’equipaggio di una di queste navi. Non accettano chiunque, poi mi guardavano e vedevano una signora borghese e di mezz’età, non pensavano fossi fatta della pasta che era necessaria, naturalmente, perciò l’aiuto di Michela è stato importante. Nei periodi in cui ero in nave, tra l’altro, Michela faceva come da cassa di risonanza: aveva un suo programma a Radio Capital e raccontava quello che le raccontavo io, lei era, in un certo senso, la mia voce e io ero i suoi occhi. Prima di imbarcarmi andavamo a cena assieme, io e lei soltanto: era un gesto scaramantico, il mio portafortuna, ed era bello.
Caterina Bonvicini, da Mediterraneo a Molto molto tanto bene
A proposito dei salvataggi. Mediterraneo – Einaudi 2022 –, il precedente romanzo di Caterina Bonvicini, racconta i salvataggi dei migranti fatti con le navi delle ONG. Qui lei a parlarne, pure se, naturalmente, il focus è dedicato ai suoi bimbi e ai mesi trascorsi assieme a loro, quelli subito successivi al loro arrivo in Italia. Eppure i salvataggi, le manovre necessarie e le ore passate sul ponte a scrutare il mare, le esercitazioni, le notti insonni e i pasti con l’equipaggio, in Molto molto tanto bene, li racconta.
Certe esperienze, da scrittrice, sento di doverle raccontare, e questo vale anche per i salvataggi dei migranti che rischiano la vita in mare. Sono operazioni stancanti e stressanti, ma che danno emozioni: quando da un barchino o dal mare tiri via un cadavere, quando da un barchino o dal mare salvi una persona ancora viva. Per la mia incolumità non ho mai temuto, per la loro sì. Il panico di quelle persone è totale. Hanno visto la morte in faccia, per giorni in mare sono stati convinti di non farcela, disidratati, con i cadaveri dei compagni che non ce l’hanno fatta ancora con loro. Da quel panico non devi farti contagiare: devi restare lucido, tenerti saldo sul gommone di salvataggio per non finire in acqua e, se hai un bambino tra le braccia, tenere saldo pure lui, infilargli il giubbotto salvagente, tenerlo calmo, gestire gli altri che ti pregano di essere salvati, ricordare le regole e le procedure, tenere occhi e testa sul momento. È difficile. E tutto quello che riuscivo a pensare in quelle ore, in mezzo al mare, di notte e di giorno, era: me li devo ricordare tutti, devo memorizzare tutte le loro facce perché se muoiono è giusto che qualcuno li ricordi.
I taxi del mare e le ONG: la narrazione dei media
I taxi del mare e le ONG da affondare, i migranti che arrivano pasciuti e ben felici e rilassati e i soccorritori come trafficanti di esseri umani. C’è da diversi anni ormai una narrazione oscena, un modo di raccontare eventi così drammatici, che hanno a che fare con la morte, la morte anche di bambini, bambini piccoli, donne incinte, ragazzini soli, ecco, un modo di raccontarlo, tutto questo, che disumanizza chi è costretto, per povertà o fame o guerre o violenze, a migrare.
La cosa che mi fa più rabbia è che chi porta avanti questo genere di narrazione, politici e giornalisti, vuole passare per buono e far passare i soccorritori delle ONG come criminali. È gravissimo. Non sono le ONG a chiamare i migranti. L’unico reale fattore di attrazione per i migranti che vorrebbero partire verso l’Europa è il mare: se è calmo, ci provano. Dire che i soccorritori delle ONG sono trafficanti di esseri umani è meschino e cattivo nei confronti di persone che rischiano la vita in mare e spesso vedono cose inimmaginabili. È un tentativo di ribaltare la narrazione per portare acqua al loro mulino. I politici e giornalisti che demonizzano migranti e soccorritori, non vogliono altro che il potere e sanno che questo è un modo per mantenerlo. Sfruttano il dolore e la frustrazione della gente e usando la paura la canalizzano nell’altro, trovano nemici da indicare così da creare una guerra intestina con due fazioni ben distinte: noi e loro. È propaganda.