La Raia, Adrien Missika, Palazzo delle Api (2018)
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180 ettari di agricoltura biodinamica: il caso de La Raia

L’agricoltura come arte imprenditoriale: la biodinamica, la filiera corta, il mercato del Barolo, l’energia rinnovabile: una visita a La Raia e una conversazione con Piero Rossi Cairo

La Langa, i noccioli e gli ettari coltivati a Barolo

La Langa era una zona boschiva fatta di colline, fino a settanta anni fa. C’erano i noccioli. «Da quando è esplosa la febbre del Nebbiolo per il Barolo, se trovi un albero devi ringraziare e accendere un cero. Hanno estirpato qualsiasi cosa». Oggi il mercato prevede un valore fino a tre milioni (con punte anche più alte a seconda dei cru) per l’acquisto di un ettaro per la produzione di Barolo. «Bisogna aggiungere l’attrezzatura e i costi operativi ogni anno. Per ettaro, se va bene, puoi produrre fino a dieci mila bottiglie. Poni anche 40 euro a bottiglia – che è già un prezzo fuori mercato – in quanti anni rientri? D’altra parte, se queste terre ti sono giunte per eredità, sei seduto sull’oro»

La Tenuta – La Raia e la famiglia Rossi Cairo: la certificazione Demeter

La Tenuta La Raia è stata acquistata da Giorgio Rossi Cairo nel 2002 – a parlare in questa conversazione è suo figlio Piero. «Tutte le aziende agricole certificate biodinamiche sono anche certificate biologiche. Siamo diventati biologici nel 2005 e nel 2007 siamo diventati biodinamici con la certificazione Demeter». Il nome Demeter rimanda a Demetra, l’antica Dea della Terra. Il simbolo Demeter fu introdotto nel 1928 dopo i primi corsi tenuti da Rudolf Steiner in Polonia. Durante il Nazismo il riconoscimento Demeter fu messo fuori legge. Tornò in vigore con forza nel 1946. Da lì in avanti gli standard e codici che definiscono un certificato Demeter si sono evoluti seguendo le ricerca scientifica in agricoltura biodinamica. La base è il mosaico agrario: boschi, prati per pascoli, siepi e cespugli, aree orticole e campestri. Si chiamano ecotoni e la loro coesistenza è una catalisi reciproca.

Il Gavi del Genovesato, 50 ettari di vitigno

Il Gavi si produce in 11 comuni nella zona che si usava denominare Oltregiogo, ovvero – venendo da Genova – quei territori oltre le Alpi Marittime e prima della pianura. Terre che un tempo appartenevano al Genovesato. La parola Liguria arriverà molto dopo, con l’Unità d’Italia – mentre ancora per tutto l’Ottocento, il Genovesato era l’area dominata da Genova. 

«Anche se avessi voluto piantare 50 ettari di Gavi non avrei potuto farlo. Le autorizzazioni all’impianto di cortese da Gavi sono contingentate, sono assegnate sulla base di un punteggio, 30 ettari ogni anno. Sono favorevole a queste restrizioni: una delle crisi che sta affrontando il vino, che poi è una crisi ciclica, è un eccesso di offerta». Alla Raia si coltivano 50 ettari a vitigno – alcune viti hanno settanta anni di età. Altri 60 ettari sono dedicati al pascolo per la Fassona e alla coltivazione di cereali. I restanti 70 ettari sono boschivi, o comunque restituiti al ciclo naturale.

Il bosco, l’agricoltura rigenerativa contro quella tradizionale, il biologico e il biodinamico

La lettiera del bosco, tra le foglie decidue e il legno caduto, rotto e crollato, che insieme macerano nell’umidità, sono ambiente per i microorganismi del suolo. Invertebrati, funghi. Tramite questi microorganismi, il carbone è sedimentato e trasformato in alimenti per le piante. Il suolo di un bosco può essere inteso come un macrorganismo. Dal bosco, le quaglie e le lepri si avventurano tra le vigne – entrambe minacciate dai cacciatori e dai diserbanti ancora usati nell’agricoltura intensiva e tradizionale.

«L’agricoltura rigenerativa sostiene che se togli le parti boschive impoverisci il terreno e a lungo tempo gli ettari perdono fertilità. La vite comporta l’impiego di sostanze inserite dall’uomo, sia in biologico, sia in biodinamico». Sulle pareti del borgo di Gavi sono appesi fogli con le istruzioni. È giugno – siamo nella fase dei bottoni fiorali separati. Ci sono state molte piogge nelle ultime settimane. Si prevede il rame e lo zolfo bagnabile, contro la peronospora e le escoriosi. Il cornoletame è il preparato 500 – e si dispone per inoculo. Così il preparato 501 a base di silice. Prima di essere disposti sono dinamizzati in acqua a 37 gradi – ovvero, la solubilità in acqua in movimento, che ossigena la microbiologia. 

La Raia, il giardino aromatico
La Raia, il giardino aromatico
La Raia, Dettagli di architettura
La Raia, Dettagli di architettura
La Raia, Michael Beutler, Oak Barrel Baroque (2020) - dettaglio
La Raia, Michael Beutler, Oak Barrel Baroque (2020) – dettaglio

Le coccinelle tra le spighe, il sovescio, i caprioli, il lupo, le pernici rosse, la volpe e il gambero di fiume

Le coccinelle si nascondono nelle spighe di farro e si bagnano con la rugiada – sono voraci di pidocchi delle piante, e lavorano come disinfestanti. L’orchidea purpurea fiorisce nel bosco termofilo e nei prati a primavera. Il calabrone è sia un nemico sia un alleato: è ghiotto sì di acini d’uva ma anche di vespe, a loro volte divoratrici d’uva. 

Il sovescio è applicato a filari alternati, ogni anno, con il pisello selvatico e il favino. I caprioli brucano queste erbe, ma anche i germogli della vite. A metà degli anni Novanta ci fu la fuga di un branco di caprioli da un allevamento nel savonese: oggi il ripopolamento avviene nel contesto di un progressivo spopolamento umano degli Appennini. I caprioli si nascondono nei campi, diventano invisibili nel mantello maculato della coltre di cereali: i cuccioli non emanano odore – per proteggerli, le madri ne rimangono lontani, si avvicinano solo per allattarli. Insieme al cinghiale, il capriolo è la preda del lupo. Anche il lupo è ghiotto di uva – nella valle de La Raia si trovano escrementi di lupo composti al cento per cento da acini d’uva, apporto di vitamina C.

Le pernici rosse dormono sui tetti delle case rurali, per non farsi uccidere dalle volpi che intanto mangiano i frutti delle rose canine. La civetta nidifica in un vecchio ciliegio tra le vigne vicino alla cantina; il pipistrello in un pezzo di intonaco staccato. Nei canali e nei ruscelli, qui alle basi dell’Appennino, si trova il gambero di fiume italiano, minacciato dalla specie esotica che si sta diffondendo nella Pianura Padana e preda dell’airone cenerino.

Il gheppio e le avicole: la tecnica dello Spirito Santo

Nell’aria, il falco cacciatore, il gheppio, usa “la tecnica dello Spirito Santo”: batte le ali e tiene la coda allargata, crea un vortice che lo sostiene in un punto fisso nel cielo mentre scandaglia il terreno in cerca della sua preda. Gli occhi del gheppio sono sensibili all’ultravioletto, punta le avicole, piccoli roditori che marcano il terreno con la loro urina – i cristalli di questa rifrangono i raggi ultravioletti, il gheppio vede un reticolo di tracce sul terreno e concentra su queste linee la sua caccia, senza perdere tempo vagando per il campo. Intanto nelle siepi, prosegue la lotta tra la biscia e il ramarro.

Sostenibilità energetica, le pale eoliche, i pannelli solari e i chilowatt

La Raia è anche una locanda, una vecchia stazione di posta sulla via del sale. «Dal punto di vista della sostenibilità energetica avremmo voluto fare di più. Le pale eoliche non rovinano il paesaggio, anzi. Se fosse stato per me, in cima alla collina avrei fatto salire una pala capace di generare 250 chilowatt, con un diametro di 45 metri. Non siamo vincolati dal punto di vista paesaggistico, ma il giorno dopo mi sarebbero stati recapitati avvisi di garanzia e denunce. Le pale al largo della Sardegna e della Corsica avrebbero un senso – ma non vanno bene per i pescatori perché con le pale e i relativi cavi sottomarini vai a creare una zona interdetta alla pesca. In Germania hanno spento i reattori nucleari, ed evitano di dire quanti rigassificatori sono stati attivati. Il gas non è inquinante come il petrolio e del carbone, ma non è impatto zero»

«In Italia abbiamo punti ventosi. Intorno alla Sardegna, intorno alla Puglia, in Trentino-Alto. I pannelli solari – ti dicono sono brutti. Le pale sono brutte. Il nucleare è pericoloso. Cosa facciamo? Una miniera di carbone dietro casa? Sul tetto della Locanda, nelle falde nascoste alla vista, abbiamo installato circa 30 chilowatt di fotovoltaico. A Borgo Merlassino altri 30 chilowatt. A Serralunga d’Alba, a Tenuta Cucco, abbiamo il progetto di fare un albergo simile alla Locanda della Raia. Lì siamo in un centro storico, un sito Unesco. I pannelli neri non me li fanno mettere, li permettono colorati. Il pannello colorato costa il doppio, e rende il trenta per cento in meno»

La Raia, dettagli d'interno
La Raia, dettagli d’interno
La Raia, Borgo Merlassino, dettagli di interno strutturale
La Raia, Borgo Merlassino, dettagli di interno strutturale
La Raia, Borgo Merlassino - un'impronta razionalista
La Raia, Borgo Merlassino – un’impronta razionalista

Il Barbera a colazione

Nella Tenuta de La Raia otto ettari sono coltivati a Barbera, un lascito dei mezzadri che nell’Ottocento coltivavano queste terre. Le terre appartenevano ai nobili genovesi, potevano essere considerate le terre d’orto per i nobili genovesi e per loro producevano il cortese. Il Barbera non lo vendevano, era il loro vino da tavola. Oggi ha un buon mercato «In Langa si usa dire che si fa colazione con Barbera, si pranza con Nebbiolo e si cena a Barolo»

Il Palazzo delle Api, di Adrien Missika

Il Palazzo delle Alpi è un’opera di Adrien Missika, realizzata nel 2018. L’architettura è pensata per gli insetti impollinatori, per le api nomadi – ovvero le api che non fanno il miele. Ci sono 2000 fori. Hanno la stessa profondità, circa tre centimetri – gli insetti possono sia sentirsi protetti sia percepire la luce. I fori hanno diametro diverso e sono praticati su lastre di pietra di Luserna – la stessa pietra della Mole Antonelliana. Una pietra la cui durezza permette il taglio di lastri sottili, quasi come foglie. Nelle vicinanze del Palazzo delle Api, ci sono le erbe aromatiche – la salvia selvatica. Per costruire il Palazzo delle Api, un cilindro centrale è stato posato su fondamenta profonde. Siamo vicino a un lago, la terra è morbida. Fluido è il suolo che regge il peso della piramide capovolta. 

Gavia, principessa dei Franchi, via Monserito viene da Mon Chere – le querce e il carpino bianco

Nel Sesto secolo, la principessa dei Franchi era in fuga da suo padre, Re Clodomiro. Il nome della ragazza era Gavia – e arrivò tra queste colline. Le truppe francesi la seguirono e la trovarono – ma la Regina dei Goti si pose a sua protezione. La dotò di un esercito in sua difesa, e la nominò signora di queste terre dietro i monti liguri. La più antica via del Borgo di Gavi è via Monserito, dal francese Mon Chere. In onore della ragazza d’Oltralpe, i contadini diedero il nome di Cortese al vitigno che oggi produce il bianco di Gavi. 

Che sia presente o futuro, le querce continueranno a vivere fino a 500 anni. Vivranno insieme ai frassini e ai carpini bianchi. Le ghiande saranno prese dai volatili per cibarsene: le nasconderanno in solchi di terreno come fossero dispense alimentari, alcune dimenticandole. Il bosco si diffonderà di nuovo. Le tane dei tassi porteranno aria agli apparati radicolari più estesi delle chiome. I ghiri dormiranno nei loro tronchi, mentre il picchio scaverà il legno del pioppo.

Carlo Mazzoni

La Raia, la piscina in parte all'interno
La Raia, la piscina in parte all’interno
La Raia, Borgo Merlassino - livello di colore e materia
La Raia, Borgo Merlassino – livello di colore e materia
La Raia, il bordo piscina
La Raia, il bordo piscina
la Raia, il giardino aromatico, elicriso
la Raia, il giardino aromatico, elicriso
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