Ho qualche domanda da farti – Bollati Boringhieri, 2024 – nuovo romanzo della scrittrice statunitense Rebecca Makkai, al suo terzo libro e già finalista al premio Pulitzer
Intervista a Rebecca Makkai. Ho qualche domanda da farti – Bollati Boringhieri, 2024
Bodie Kane, giovane donna con pochi legami affettivi, è una insegnante di cinema e una podcaster di successo, tanto da esser stata invitata a tenere un corso sulle sue tecniche dal liceo che ha frequentato molti anni prima – molti, moltissimi anni prima, sembra a Bodie. Della Granby school non conserva dei bei ricordi, e anzi: negli anni in cui l’ha frequentata, qualcosa di osceno, di tremendo è successo proprio tra i corridoi della scuola e Bodie, per quanto sia passata, ormai, quella che pare essere una vita intera, ricorda tutto come fosse appena capitato. Nonostante questo, però, decide di accettare e tenere il corso. Da qui, poi, comincia Ho qualche domanda da farti – Bollati Boringhieri, 2024 -, nuovo romanzo della scrittrice statunitense Rebecca Makkai, al suo terzo libro e già finalista al premio Pulitzer.
Rebecca Makkai. Quando ho cominciato a scrivere Ho qualche domanda da farti era il 2018, i podcast erano ancora, bene o male, una novità e mi hanno attirato subito: mi sembrava un mezzo interessantissimo per raccontare una storia. Mi piacevano al punto tale da aver pensato spesso di scriverne uno io stessa e di aver desiderato l’avessi avuta io per prima, un’idea del genere. Così quando ho iniziato, piano piano, la stesura del romanzo che Bodie facesse questo – che fosse una podcaster, e non soltanto di professione, ma pure di successo – è stata una decisione piuttosto naturale. Avevo bisogno, d’altra parte, di una persona che potesse indagare, o quantomeno essere coinvolta in modo pratico nelle indagini, su un omicidio e l’autrice di un podcast ho pensato facesse al caso mio anche per questa ragione. Ho qualche domanda da farti, sebbene non sia un thriller vero e proprio, si va a inserire, per certi aspetti, in questo canone e la mia podcaster è la mia detective: Bodie.
I grandi sognatori – Einaudi, 2021; finalista sia al National Book Award e sia al premio Pulitzer –, romanzo precedente a questo, il passato è una sorta di luogo cui si può, quasi sempre, tornare, rivisitare.
Nonostante il successo del suo podcast, nonostante sia una donna realizzata sul lavoro e, addirittura, con degli ammiratori, Bodie non pare mai presente al cento per cento sia a sé stessa e sia anche, soprattutto, al momento, al periodo che vive. Tende a non indugiare sul proprio passato, tende a girarsi dall’altra parte quando i ricordi più terribili dell’infanzia, tremenda, funestata da perdite pesanti, e dell’adolescenza, centrata invece proprio su ciò che è accaduto alla Granby school, fanno capolino nella sua mente. Ma, al tempo stesso, la sua reticenza a guardare il proprio passato sembra artificiale, più una posa che una reale volontà. In I grandi sognatori – Einaudi, 2021; finalista sia al National Book Award e sia al premio Pulitzer –, romanzo precedente a questo, il passato è una sorta di luogo cui si può, quasi sempre, tornare, rivisitare.
Rebecca Makkai. Il passaggio del tempo e come il tempo lavori le nostre vite sono meccanismi che mi hanno molto affascinata fin da ragazzina. Il mio primo romanzo, inedito in Italia, si chiama The hundred years house, parla di una casa che, nel corso di molti anni, è stata abitata da persone diverse e nel libro, tornando ancora e ancora indietro nel tempo, questi tipi umani li racconto. In I grandi sognatori, invece, non vado solo a ritroso: il tempo, gli archi narrativi di queste esistenze così diverse però accomunate da qualcosa di piccolo e fondamentale, lo scompongo e ne mischio i pezzi. In questo romanzo, Ho qualche domanda da farti, il tempo, il passato, i ricordi tornano ma ho cercato di fare un’operazione vicina a queste due di cui ho parlato: gli anni scorrono seguendo l’ordine delle cose – come in The hundred years house -, ma il passato è un luogo che può cambiare il presente – come in I grandi sognatori. Il tempo è un aspetto importante del mio lavoro. E lo è perché a interessarmi, a interessarmi davvero, sono le radici e come queste radici abbiano portato al presente, all’oggi. Prima di decidere di provar a fare la scrittrice, volevo fare la storica o la curatrice di un museo di Storia: credo che ciò che sia rimasto incastrato sotto lo strato degli anni sia interessantissimo. Ho, tra l’altro, una memoria perfetta: ricordo tutto, ogni cosa. E non solo del passato più prossimo, ma anche, forse dovrei dire soprattutto, degli accadimenti più remoti. Sono nata ad aprile del 1978, e però ricordo le elezioni presidenziali del novembre del 1980 – le facce alla tivù, i cartelloni: tutto. So che è qualcosa di poco comune, inusuale, però per me è normale.
La differenza tra memoria individuale e memoria collettiva
Il passato in Ho qualche domanda da farti ha un ruolo fondamentale anche nel confronto, che nel romanzo diviene via via più evidente, tra la memoria individuale e la memoria che condivide un determinato gruppo di persone: la memoria collettiva. La tragedia accaduta alla Granby school negli anni in cui Bodie la frequenta, difatti, è di portata talmente tanto grande da aver occupato gli studenti per mesi interi e, nelle discussioni che ne sono nate, è stata rielaborata fin a divenire una narrazione a sé stante rispetto al fatto in sé. L’omicidio di Thalia, compagna di stanza di Bodie all’epoca del liceo, e l’arresto di Omar Evans, quello che allora era il preparatore atletico della scuola, difatti, in un rimaneggiamento continuo e che passa di bocca in bocca agli studenti si trasforma in una storia che poi, anni dopo – e cioè quando Bodie torna alla Granby per tenere il suo corso -, ha assunto dei caratteri netti ed è diventato un racconto a sé nella memoria collettiva.
Rebecca Makkai. Anche la differenza tra memoria individuale e memoria collettiva mi ha sempre molto affascinata. Da quando ho cominciato a girare gli Stati Uniti, poi il mondo, per la promozione dei miei romanzi la mia vita si è trasformata in una sorta di grande, infinita reunion del liceo. Vado a Seattle, vado a Chicago, o New York o Phoenix per una presentazione, un reading, un incontro con i miei lettori e, praticamente sempre, rivedo un vecchio compagno di scuola che si è trasferito lì. Di solito allora chiacchieriamo, magari prendiamo qualcosa da bere, la sera, e, com’è naturale, parliamo del liceo, dei vecchi compagni di scuola. Quando succede scopro sempre dei dettagli di quel periodo che o ignoravo o che vanno contro le verità che conoscevo e che credevo fossero la realtà, scopro che gli altri avevano informazioni diverse dalle mie su una determinata storia, che accadimenti che nella mia testa si erano cristallizzati in un modo sono andati in modo differente. Ecco: la differenza tra memoria individuale e memoria collettiva la trovo affascinante per questo: ciascuno di noi deve, per regolare il mondo attorno a sé, ricostruire il passato e quando non possiamo farlo assieme ad altri lo facciamo da soli, e allora una storia comune diventa individuale.
La letteratura e il cinema statunitensi sembrano molto concentrati sugli anni del liceo
La letteratura e il cinema statunitensi sembrano molto concentrati sugli anni del liceo – di romanzi e di film che hanno al centro della narrazione questo periodo ne sono stati scritti, ormai, tantissimi. E non soltanto per dar vita alla ragnatela di disillusioni che diventando adulti è necessario venga fuori, ma anche per raccontarli, quegli anni. La sensazione è che, in effetti, per autori e autrici statunitensi il periodo del liceo rivesta un ruolo importante, più importante che per gli europei – che, invece, si ha l’impressione siano più focalizzati o sui vent’anni o sull’infanzia.
Rebecca Makkai. L’adolescenza, il periodo liceale per gli americani è un periodo fondativo. È allora che cominciamo a prender coscienza di noi stessi e che ci interfacciamo per la prima volta con dei coetanei che non sono stati scelti per noi dai nostri genitori, che usciamo fuori dall’ambiente rassicurante proprio della famiglia e che ci vediamo traverso gli occhi di sconosciuti nostri pari. Io credo di esser stata un’adolescente piuttosto strana. Non come Bodie. Ero un’attrice di teatro, stavo sul palco, davanti all’intera scolaresca, mentre lei non ne sarebbe stata capace. Ero una nerd e leggevo moltissimo, ma senza vergognarmene. Ero una cheerleader e avevo tante amiche con cui andavo d’accordo e con cui ero felice, facevo le esperienze tipiche del periodo. Ecco, quindi, per me non sono stati anni difficili come lo sono stati per lei, ma la fatica di dovermi inserire in un gruppo, l’umiliazione, ogni tanto, del sentirmi diversa, le ho patite molto.

Ci sono state delle volte negli ultimi anni in cui ho letto delle storie che venivano inglobate nel #metoo e mi sono ritrovata spesso a dirmi: non sarà un po’ troppo?
Bodie, però, nonostante un’adolescenza tanto turbolenta, nonostante un’infanzia segnata da lutti pesantissimi, da assenze gravi nella sua famiglia esplosa, incendiata, riesce, anche se con una certa fatica, a diventare un’adulta solida. Non soltanto ha un lavoro che le piace, non soltanto ha successo ed è rispettata nell’ambiente lavorativo, ma ha anche dei figli, un marito, una casa che adora. La situazione con il marito però non è semplice: sono separati, pure se in casa, e ha una relazione con un uomo – una storia superficiale, in effetti. Si tratta, quindi, di una vita sentimentale frammentata. Pezzetti che vanno ancor più a rompersi, e in maniera violenta, quando Bodie, trasferitasi al campus della Granby per il periodo in cui terrà il proprio corso, scopre che il marito è al centro di una tempesta Twitter perché accusato di molestie da una giovane donna.
Rebecca Makkai. Bodie ha una vita molto solida, sì. Nonostante la separazione, con il marito va d’accordo, entrambi si prendono cura dei figli e abitano nella stessa villetta, pure se in parti diversi. Quindi, insomma, pure questo segmento della sua esistenza pare privo di crepe, ma non è così ed è qualcosa che si svela pian piano. Qualcosa che salta fuori nella storia per la prima volta quando il marito, appunto, viene accusato di molestie e viene cancellato – lui, difatti, era un artista e le accuse che gli vengono rivolte portano le gallerie d’arte e i suoi colleghi a prenderne le distanze. La mia non è una critica al #metoo, ma un tentativo di portare alla luce qualcosa che credo sia stato molto ignorato ma che, al tempo stesso, penso sia importante: il fatto che come in tutto, per tutto, anche il movimento del #metoo abbia delle sfumature, sia uno spettro che ammette molte zone diverse tra loro. Ci sono state delle volte negli ultimi anni in cui ho letto delle storie che venivano inglobate nel #metoo e mi sono ritrovata spesso a dirmi: non sarà un po’ troppo? È stata davvero una violenza psicologica o quel ragazzo è solo una persona brutta, un fidanzato pessimo, un ragazzino viziato? Non credo, ecco, sia utile mettere tutto sullo stesso piano. La nostra società, i nostri tempi, sono fatti di molte, moltissime sfumature e credo che pian piano si stia perdendo la capacità di vederlo in funzione di una polarizzazione che, semplificando ciò che accade così che possano esserci degli schieramenti e così da permettere a ognuno di esser parte di un gruppo, appiattisce la realtà. La realtà, però, è sfaccettata e dobbiamo sempre esserne consapevoli.
