Assenza di narratori, difficoltà nel ricambio generazionale e guerre al ribasso nel mercato produttivo: problematiche e soluzioni sul futuro del Made in Italy secondo Giovanni Brocca, co-Founder di Eccellenza Italiana
I vuoti narrativi del Made in Italy
Alla voce ‘Made in Italy’ dell’Enciclopedia della Lingua Italiana Treccani, si legge come il primo fattore di riconoscibilità dei prodotti Made in Italy sia l’eccellenza. Un termine astratto, modellato sul latino excellentia, a indicare superiorità – un posizionamento alto, se non massimo, nella scala delle qualità. Seguono ulteriori caratteristiche: alta specializzazione delle tecniche di produzione, contesto di sviluppo, radicamento nel territorio, per citarne alcune. Di eccellenza italiana la Treccani torna a parlare nell’Italy Book of the Year (2004), laddove la stesura del capitolo L’eccellenza Italiana viene affidata alla stilista Laura Biagiotti. La reputazione del prodotto italiano, sottolinea Biagiotti, poggia su una felice congiuntura tra bellezza, innovazione, stile, design e, ancora una volta, eccellenza. Il Made in Italy viene raccontato come un enzima fondamentale dell’economia del paese, una risorsa intellettuale facilmente monetizzabile, un tassello sostanziale dello sviluppo economico. Eppure, fra cliché ed espressioni ridondanti – meraviglioso, inimitabile e superbo sono tra i più ricorrenti – tutti ne descrivono le perfezioni, mai le ruvidità, che pur ci sono. E intanto un’effettiva narrazione di cosa sia, concretamente, il Made in Italy, manca.
Giovanni Brocca, Eccellenza Italiana: una narrazione ruvida
Nell’immaginario collettivo si tratta di un’etichetta, un brand se vogliamo, uno statuto in senso ampio. La traduzione immediata che se ne fa è creatività, qualità e artigianalità – termini che, già di per sé, ne giustificherebbero la desiderabilità e la vendibilità a prezzi sopra la norma. E tuttavia, la sua storia, per intero, non viene mai raccontata. Se ne conoscono aneddoti ed episodi, come quella di Julian (Richard Gere), gigolò americano dell’omonimo film di Paul Schrader (1880), che, in una delle scene più celebri, passa in rassegna una collezione di completi firmati Giorgio Armani, anticipandone l’elezione a figura mitologica del Made in Italy. Come anche l’immaginario tutto italiano della Dolce Vita, o la romanticizzazione di una vita pane-amore-e-fantasia. Una narrazione vera solo in parte, e che tuttavia si è cristallizzata al punto da generare una rappresentazione monotona e falsata.
Un vuoto nel racconto che troviamo colmato da Eccellenza Italiana, una realtà che raccoglie una community di oltre 500.000 persone, nata nel digitale per promuovere il Made in Italy attraverso gli strumenti della contemporaneità, ma anche attraverso l’esperienza reale di cosa significhi produrre in Italia. Ne abbiamo parlato con Giovanni Brocca, co-Founder di Eccellenza Italiana, promotore di una narrativa ruvida all’italiana: «La ruvidità è prerogativa di una superficie imperfetta, non piana. E l’imperfezione è ciò che ci rende umani, che ci differenzia dall’essere macchine. Da Eccellenza Italiana, la ruvidità è parte della narrazione che facciamo: si tratta di contenuti non filtrati, privi di set, pre-set, luci studiate, copioni o attori di sorta. A parlare sono gli artigiani, nelle loro botteghe, rivolgendosi al pubblico in modo libero. E la loro spontaneità è quanto di più ruvido c’è nel mio lavoro».
Made in Italy: un racconto frammentario, che fatica ad andare avanti – il problema del ricambio generazionale
Storicamente, il Made in Italy nasce negli anni Sessanta quando, forte degli aiuti statunitensi del Piano Marshall, l’industria manifatturiera italiana si risolleva dalle macerie della seconda guerra mondiale. Lo fa sviluppando un approccio ibrido fra la produzione di massa statunitense e la piccola produzione artigianale italiana, bandiera del territorio molto prima del sopraggiungere degli americani. Nondimeno – e questo è il punto della storia che spesso si tralascia – prima dell’iniezione di soldi e nuove tecnologie dagli States, l’eccellenza non era (ancora) una prerogativa italiana. Basti pensare che negli anni Cinquanta le normative europee imponevano l’etichetta di Made in Italy sugli elettrodomestici italiani per segnalarne la minor qualità rispetto ai prodotti delle nazioni più ricche, come Germania e Inghilterra.
Dunque, il sistema tutto italiano composto di entità medio-piccole, dinamiche e volenterose, dove si producono oggetti di alto artigianato, è conseguenza di questo giro d’anni, della necessità di porsi al livello delle nazioni europee concorrenti. È solo allora che gli standard qualitativi che noi oggi conosciamo vengono riportati nelle piccole fabbriche italiane e che si sviluppano obiettivi di eccellenza. Naturalmente, senza l’esperienza di aziende di tradizione centenaria, capaci di comprendere il momento storico e la necessità di reinventarsi in un nuovo modello, tutto questo non sarebbe stato possibile.
Delle origini e delle caratteristiche del Made in Italy, al di là dei soliti cliché da turista medio, se ne parla troppo poco. Così come delle problematiche, in gran parte discese dalla mancata cura con cui si tratta l’argomento: «Made in Italy è sinonimo di qualità e creatività in Italia. È un riconoscimento globale, applicabile ad ogni ambito produttivo, dalla moda al design, passando per l’alimentare e la meccanica. La grande problematica che abbiamo riscontrato nelle aziende del Made in Italy con cui collaboriamo – spiega Giovanni Brocca – è il ricambio generazionale. Una difficoltà nel trasferimento delle competenze ai giovani da parte dei tecnici e artigiani da una parte, una mancanza di nuove leve del settore dall’altra. La conseguenza è che, di fronte ad una richiesta consistente del prodotto, mancano nuovi produttori. Al momento, la questione è contenuta, ma le previsioni ci dicono che lo scollamento generazionale aumenterà, dando il via ad una crisi reale – che, ad oggi, è solo potenziale. Per questo, uno degli obiettivi che ci siamo posti è quello di trasmettere ai giovani la bellezza del lavoro artigianale. Spesso, il racconto di impieghi di produzione è lacunoso, impreciso e poco attraente. Noi vogliamo far scoprire il bello che c’è».
Eccellenza Italiana: una breve introduzione
«Eccellenza italiana è una realtà che promuove il Made in Italy e la cultura italiana, con un orientamento di pubblico prevalentemente giovane. Educare e sensibilizzare i consumatori sull’importanza di scegliere prodotti di qualità, incoraggiare il ricambio generazionale, sostenere le grandi e piccole aziende manifatturiere, l’artigianato, l’eccellenza italiana in tutte le sue forme, tradizioni e innovazioni. Questa è la sintesi del nostro lavoro».
«Come lo facciamo? Con grandi eventi – a marzo, ad esempio, abbiamo organizzato il Festival del Made in Italy, il più grande evento sul Made in Italy per ragazzi mai realizzato. Ma anche con eventi minori, contenuti nel numero di cinquanta o sessanta persone, che portiamo a toccare con mano l’esperienza della produzione di Made in Italy. Potrei poi dilungarmi parlando del podcast e dei nostri canali social, dove invitiamo gli ambasciatori del Made in Italy a dar voce alla loro esperienza».
Il tessuto industriale italiano: frammentato e prodotto-centrico
In Italia, le microimprese, ovvero le aziende con un numero di addetti inferiore alla decina, rappresentano il 95% della totalità. Le piccole e medie imprese – o PMI – sono meno del 5%, eppure sono responsabili di oltre il 40% del fatturato italiano. Resta un 0.09% occupato dalle grandi imprese. Una composizione industriale sbilanciata sulle piccole dimensioni, che da una parte caratterizza la storia imprenditoriale italiana, ma dall’altra la limita. Per scardinare l’Italia da un immaginario ancora preindustriale, in cui il valore assoluto rimane il prodotto fatto a mano, occorre raccontare anche il resto: l’innovazione, lo sviluppo di idee, l’analisi e la ricerca. E, soprattutto, le persone. I numeri non bastano più. Perché se è vero che nell’ultimo Global Soft Power Index sulla percezione del brand ‘Made in’, il nostro paese si colloca al nono posto su centoventi, e che l’agroalimentare italiano ha il primato mondiale in termini di prodotti certificati, occorre anche spiegarne i perché.
«Il tessuto industriale italiano è fondamentalmente prodotto-centrico – racconta Giovanni Brocca. Siamo talmente focalizzati nella creazione di oggetti perfetti, di alta qualità, che fatichiamo ad arrivare all’ultimo tassello. Quello del racconto e della promozione di quanto realizzato con tanta fatica. Del far comprendere all’esterno perché quel prodotto ha un determinato prezzo, e che non si tratta di mero posizionamento luxury, ma di oggettiva qualità di una materia che, per essere tale, costa».
Il valore del racconto: quanto conta lo storytelling?
Storytelling: letteralmente, ‘raccontare una storia’. Sembra un fatto banale, ma è quanto di più rassicurante ci possa essere agli occhi dei consumatori. Chi è in grado di raccontare la propria storia, di fornire un contesto e degli attori oltre il prodotto, sarà anche in grado di sviluppare valore e futura economia: «Se riuscissero a comunicare l’interezza del proprio ciclo produttivo, a sopperire alla mancanza di un taglio narrativo, e raccontare la propria storia, le proprie tradizioni, le aziende italiane diventerebbero immediatamente più competitive. I prezzi troverebbero maggiore giustificazione. Riuscirebbero ad attrarre clienti, ma anche talenti, in una ipotetica fase di ricerca del personale. Non parlo solo della realizzazione, ma anche delle persone, del team che siede dietro. Spesso le aziende paiono agli occhi dei compratori entità indistinte, meccaniche. Non hanno la percezione che dietro vi siano persone, menti e corpi. E anche questo può essere un plus».
«Alcune – ma sono poche – lo hanno compreso fin da subito. Cito il caso di Giovanni Rana, fondatore dell’omonimo pastificio, che da sempre presta il proprio volto, non solo il titolo, al racconto. E lo fa con una narrazione chiara, lineare, che invoglia. Come il tortellino: un formato di pasta che va scoperto, per svelarne il ripieno. Tante aziende hanno invece un rapporto distaccato con il consumatore, nonostante i social network abbiano messo a disposizione strumenti per farlo in modo semplice, senza sofisticazioni. La strategia a mio avviso vincente è quella di adottare il linguaggio del consumatore per portarlo all’interno della propria sede, tra prodotti e persone. Va da sé che parliamo di aziende d’eccellenza del Made in Italy, che hanno effettivamente qualcosa da mostrare e di cui vantarsi. Non le aziende della produzione veloce, delle quali non c’è nulla (di bello) da dire».
La guerra al ribasso dei prezzi nel mercato della velocità – cosa manca alle piccole imprese per rafforzare il proprio ruolo nel mercato?
Acquistare in maniera casuale, con disattenzione alla materia o alla geolocalizzazione del marchio, significa non avere gli strumenti per operare delle scelte. In alcuni casi si è vittima dei meccanismi di sopraffazione di un mercato – quello del fast fashion e del fast food – che, per congenita velocità, è difficile battere nel tempo della narrazione. In altri, si tratta dell’assenza di una comunicazione di marketing efficace, che controbatta alla partita sui prezzi delle catene di mass market con la carta della qualità.
«Perché oggi rimanere sul mercato è una sfida per le piccole imprese? Anche in questo caso si tratta di una questione di racconto, legata a doppio filo con l’avvento in Italia di realtà a basso costo. Ci troviamo in una realtà globale e competitiva, dove una banale T-shirt bianca può costare dieci o cento euro. La sfida è far comprendere al consumatore perché quella T-shirt costa dieci volte tanto. Il più delle volte la risposta è altrettanto banale: la prima a distanza di sei mesi finirà nella pattumiera, con conseguenze certe a livello ambientale e sociale, la seconda rimarrà indisturbata nell’armadio, passibile di essere indossata mille volte senza rovinarsi. Ed ecco che se tutto ciò fosse chiarito ai consumatori, questi non verrebbero guidati unicamente dal prezzo, e la competizione con le aziende del fast fashion e del fast food si azzererebbe».
«La qualità produttiva, ben tradotta in oggetti di altrettanta qualità, va di pari passo con le nozioni di tracciabilità, sostenibilità ed economia circolare. Quel che è certo è che nella piccola impresa la predisposizione e la fattibilità di tali pratiche sono maggiori. Meno scarti, più personalizzazione e numeri più contenuti facilitano il tutto, al di là di scelte che oggi giorno dovrebbero essere obbligate».
Eccellenza Italiana
Eccellenza Italiana è una start-up fondata nel 2022 da Giovanni Brocca, Lorenzo D’Onofrio Fabrizio Foresio per raccontare alle giovani generazioni la realtà imprenditoriale italiana. Il Made in Italy viene spiegato in tutte le sue declinazioni – moda, enogastronomia, design e tecnologia – attraverso contenuti narrativi e audiovisivi pubblicati sulla piattaforma online e sui social dedicati, ma anche con visite guidate nei siti produttivi delle aziende. A Milano Eccellenza Italiana organizza ogni anno il Festival del Made in Italy, il più grande evento dedicato al tema del Made in Italy per i giovani, nato per avvicinare le nuove leve alle professioni della manifattura italiana tramite laboratori, talk e stand espositivi.
Stella Manferdini
