Una conversazione con chi ha dieci anni meno di me: dal Festivalbar a Sanremo – i millennial, le canzoni per un’estate e le canzoni che rimangono per sempre
Il Festivalbar e la prima sera d’estate: Biagio Antonacci, la Vanoni e le canzoni evergreen
Erano le sere in cui le finestre rimanevano aperte. Era maggio, il mese con la più alta densità di compiti in classe, interrogazioni, temi e versioni – ma poi sarebbe arrivato giugno. Le nuove zanzare, il profumo del tiglio e quello del gelsomino – una gara a chi ne beveva di più: ne avresti voluto immettere di più, in gola di quel miscuglio di profumo, come se fosse acqua di cui ingozzarsi – ma era soltanto aria che scappava via., il vociare delle persone sedute ai tavoli in strada del ristorante, la Trattoria Bagutta che oggi non c’è più, sotto la finestra della cucina. La televisione accesa, la prima sera del Festivalbar era la prima sera d’estate. Biagio Antonacci, nel 1999 cantava Quanto tempo e ancora, una bellezza da calciatore, esile vestito da Armani. Si stava sul muretto in piazza San Babila prima di andare al cinema il sabato pomeriggio – le scarpe erano da ginnastica, grandi. Per Mtv arrivavano i Blink e Britney Spears.
La scuola finiva intorno al 7 giugno – ma già i giorni prima, tutto volgeva al leggero, al sorriso e al gavettone. Non ci si voleva credere che davvero potessero arrivare quei giorni, i più belli dell’anno, così tanto belli da non sembrare veri. L’inizio di giugno durava quanto il battito di un ciglio. Eravamo bambini fortunati, nel giro di poco ci avrebbero mandato al mare, a casa dei nonni – ai Ronchi. Niente patente ancora, solo la bicicletta per la spiaggia – giocavamo a pallavolo fino a tardi con i ragazzi di Massa, di Lucca, di Prato e di Pistoia. Erano le otto e un quarto, dovevamo andare a casa, il nonno voleva mangiare – ma la luce era ancora quella del pieno pomeriggio.
A giugno si partiva per la spiaggia, a Marina di Massa, i cartelloni dei gelati – Algida, Sammontana o Motta, la Coppa del Nonno, il Cornetto – lo spot del Maxibon con Stefano Accorsi (1995). I ghiaccioli e il Calippo che aveva addirittura una caramella gommosa sulla fondo – a ripensarci adesso, un doppio senso sessuale talmente esplicito che per paradosso eravamo solo noi ragazzini offuscati dagli ormoni a non rendercene conto. Primavera di Marina Rei è del 1997. Acqua e Sale (1998), Infinito di Raf (2001). Sono tutte canzoni che hanno segnato le estati italiane, in Versilia come a Riccione, a Ischia come a Grado.
Un Millennial e la Stryxia al Varietà, il Festivalbar e la canzoni vecchie di Sanremo
Il ragazzo con cui ho elaborato questo argomento ha dieci anni meno di me. Conosce le canzoni – quelle che non conosce sono l’argomento delle prossime righe. Un ragazzo che può vantare cultura musicale dagli Anni Sessanta a oggi, in Italia, Inghilterra e America (come tipico contrappasso, è fortemente stonato). Potrebbe dar competizione alla Stryxia che governa le notti al grido di Applausi ogni sabato al Varietà. Se il Festivalbar era roba d’estate, quando le canzoni dell’ultimo Sanremo, pochi mesi prima, sembravano roba vecchia, ci avevano già annoiato.
Festivalbar: gli 883 e le canzoni dell’estate: i gelati, le spiagge, le notti a ballare
Al Festivalbar c’era Fiorello, Davide Bossari e Alessia Marcuzzi. Non si capisce come in televisione non si sia più replicata tanta avvenenza fisica – qualcuno la chiamerebbe bonaggine – di questi tre, a quella loro età. Nord Sud Ovest Est usciva nel 1993, aveva un fumetto in copertina: l’Uomo Ragno era stato un successo, ma poteva essere un’esternazione momentanea. Tra le canzoni di Nord Sud Ovest Est, leggendo la lista sul retro della cassetta o del cd, c’era Come Mai, Gli Anni, oltre a Sei Un Mito, Tieni il Tempo. Non era il lavoro di uno con un colpo di fortuna. Gli 883 arrivavano al Festivalbar senza passare da Sanremo.
La notte non si andava in Capannina. In quegli anni Patty Pravo subiva una pausa anche ad agosto. C’erano gli Ace of Base. Sweet Dreams – e poi i revival con Balla per me bella balla, e con Because the Night. What is Love rappresenta per il Millennial quello che Moonlight Shadow rappresenta per me della Generazione X. L’estate successiva, i locali del Forte fecero esposto alle Province e le spiagge di Marina di Massa smisero di fare festa tutta la notte.
Quella musica dance non sarebbe rimasta se non come costume. Non avrebbe dato letteratura agli anni in cui fu suonata. Come mai le pellicole dei Vanzina – Vacanze di Natale e Sapore di Mare – hanno saputo trasformare in cultura le canzoni degli anni Ottanta – mentre i film successivi degli stessi registi, i cinepanettoni e Piccolo Grande Amore definirono quegli anni come tralasciabili, trascurabili? Forse addirittura dispersi in un cattivo gusto – è la sincerità di un autore al netto di ogni logica commerciale. Al netto di ogni generazione.




I cantanti dei Millennial, Tiziano Ferro, Elisa e ancora Mina – per la generazione X, una frase di Ambra
Per i Millennial, i cantanti che esplosero nei loro stessi anni – ovvero fine Novanta inizio Duemila – sono due: Elisa e Tiziano Ferro. Per i Millennial, rimane il rispetto per Battisti, per Celentano, Lucio Dalla – con meno entusiasmo, rimane Ligabue – mentre le pupille si illuminano per le sei dive: il velluto di Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo; il graffio di Mia Martini, Loredana Bertè, Gianna Nannini.
Quanto tempo e ancora di Antonacci è stata poi incisa da Ornella Vanoni: si partiva da jukebox ma il gergo è quello di un pianobar: si chiamano evergreen. Quelle canzoni che oltre al successo della stagione persistono diventando patrimonio popolare – producendo diritti Siae, trasformando l’autore da sognatore a investitore immobiliare (tutti i cantanti che hanno guadagnato hanno investito in immobiliare).
Sono solo Mina e Ornella Vanoni ad avere il potere di trasformare una bella canzone in una canzone per sempre, in una evergreen. Possono bastare le citazioni di Mina con Oggi sono io di Alex Britti, Ornella Vanoni con La mia storia tra le dita di Grignani. A Mina si riconosce una considerazione che nessuno potrà mai avere. Il prezzo è stato sparire: l’ultima apparizione di Mina è del 1978 alla Bussola di Forte dei Marmi, un anno prima di quando io che scrivo potessi nascere. Io, Generazione X, sono cresciuto pensando che se mai in Italia ci sia stata una regina, questa regina è Mina.
Per noi della Generazione X – e anche per chi prima di noi – non si trattava solo di musiche diverse. A chi piaceva Baglioni non piaceva Vasco. La differenza era simile a quella che Gianni Boncompagni suggeriva ad Ambra tramite l’auricolare: il diavolo sta con Occhetto, Il Padreterno sta con Berlusconi. Ascoltare Baglioni o ascoltare Vasco significava definirsi, se non addirittura schierarsi – tutto questo sparisce per un Millennial: «Tra Baglioni e Vasco?» – gli chiedo. «Baglioni è superato» mi risponde, «Vasco, magari, resiste».
Anni Novanta – musica pop e autoriale
Artisti come Morandi e Cocciante non permangono nell’imaginario dei Millennials. Gli altri siamo noi di Tozzi non se la ricordano. Samuele Bersani era precedente. «Sì, va bene, andiamo oltre» anche per Eros Ramazzotti – e addirittura per Zucchero. Con loro si può parlare di Pavarotti, ma non di Andrea Bocelli. Si riconosce Pausini come fenomeno popolare. Per Cremonini è stato una sorpresa il recente riscontro di pubblico allo stadio. Cantanti come Irene Grandi e Nek non trovano alcuna considerazione. L’esemplare di Millennial con cui sto conversando è fin troppo acculturato e un poco snob, in materia di musica pop-autoriale.
Un tono diverso emerge quando le canzoni sono scritte per le interpreti: Enrico Ruggieri scrive Quello che le donne non dicono per Fiorella Mannoia – una tra le canzoni che danno corpo alla definizione di evergreen, a Sanremo 1987; sempre Ruggeri firma Mare di Inverno per Loredana Bertè. Ivano Fossati Un’emozione da poco per Anna Oxa – qualcuno diceva che questo brano fu costruito unendo due pezzi musicati in momenti diversi, trovando una elaborazione armonica complessa e intellettuale – e un successo popolare perenne.
Anna Oxa – Sanremo 1999, Gucci e Tom Ford – Marco Mengoni e Senza Pietà
Oggi, su Anna Oxa si produce nostalgia. È difficile seguire i suoi discorsi quelle poche volte che parla, è difficile raggiungerla per un’intervista – come un muro risponde la manager entrando su discorsi di sostanza etica nel giornalismo. Anna Oxa a fine anni Novanta rimane un’immagine per il Millennial: la sua vittoria a Sanremo nel 1999 con Senza Pietà fu una questione anche di moda. La pelle unta, il vestito di Gucci firmato da Tom Ford.
Alla soglia di Sanremo 2024, una giornalista chiede a Mengoni quale tra le canzoni di Sanremo gli interesserebbe ricantare – Mengoni indica Cenere dell’anno scorso come a rispetto del suo podio, indica Ciao Amore Ciao che aveva già cantato nel 2013, poi indica Senza Pietà di Anna Oxa. La giornalista rimane perplessa, ma Mengoni ha la stessa età del Millennial con cui sto parlando per scrivere queste righe.
Per i Millennial, Anna Oxa è l’unica diva che hanno intravisto nel loro tempo. Con Senza Pietà, hanno capito chi fosse – e da lì sono andati a ritrovare le sue canzoni precedenti. Il mio interlocutore mi gira il link a un video in cui Oxa canta Una carezza della sera insieme ai New Trolls – poi sollecitato sulla scelta dal repertorio, la risposta è Donna con te, Sanremo 1990.
Mia Martini e Loredana Bertè – Stiamo come Stiamo
Mia Martini c’era prima e c’è adesso – non in quegli anni Novanta per i Millennial. Oggi Loredana Bertè si è autopunita con troppa televisione. Le due sorelle insieme cantavano Stiamo come Stiamo a Sanremo nel 1993 – una canzone che sembra oggi da esperti nel settore. Le due sorelle si adoravano la prima serata, litigarono la seconda, arrivarono penultime in classifica. Difficile trovare un video di quelle esibizioni: la canzone, quando riappare, quando te la ricordi, suona come pietra della nostra storia ritmomelodica, e in tanti la sappiamo cantare a memoria, sia i Millennial sia la Generazione X.
Le canzoni per sempre, vogliamo ancora chiamarle evergreen – da Vattene Amore a Infinito e Acqua e Sale
In un’intervista rilasciata da Mogol nel 1994, il paroliere di Battisti si esprimeva sul panorama di quegli anni. Erano gli anni di Mietta in copertina, che Mogol definiva come un’artista rivolta all’indietro. La frase era laconica – ma si può rilevare che neanche la bellezza di una ragazza del sud Italia che Mietta poteva iconicizzare, che ha fatto girare la testa alla Generazione X, non ha avuto alcun effetto sui Millennial. Vattene amore è del 1990 – pur un Millennial è vintage, alla stregua di un inno nazionale e popolare.
I Millennial ascoltano Elisa – mentre i cantanti dei talent sono come gli influencer
Ascoltavamo Elisa ben prima che arrivassero i ragazzi dai talent – che ci appaiono come una musica di seconda categoria. I cantanti usciti dai talent televisivi sono l’equivalente degli influencer: in inglese li chiamano wannabe, gente che appare ma che poco sostiene. Gente che si muove per strategia invece che impegno. Per furbizia invece che per energia. C’è un’analisi razionale: in un programma televisivo, sia il cantante sia la canzone sono scelti in un’ottica di spettacolo e intrattenimento – ovvero, prima monetizziamo poi ci ragioniamo.
Lecito che – oltre all’abilità e al talento, la sincerità dell’intento, la ricerca e la sperimentazione, il messaggio umano e artistico – la discografica valuti il pacchetto e il contesto: la bella faccia e il bel corpo, il carisma, l’empatia e la furbizia. Corretto, ma ci vorrebbe anche un poco di dignità.
La musica e la televisione: da Raffaella Carrà ai Telegatti – Michel Jackson e Pavarotti
Questo non significa togliere valore culturale alla musica scritta per la televisione. Raffaella Carrà è un’icona, non come cantante. Lorella Cuccarini e La Notte Vola, Heather Parisi con Mordi e mangia mele verdi – fino alla sigla per i Telegatti, Sorrisi is Magic. La televisione italiana, sia quella di stato sia quella commerciale – sei reti in tutto – era un melting pot di personaggi che oggi sembrano mostri di splendore. Mike Bongiorno con le sue gaffe, la gentilezza di Corrado che diventava sornione, la poesia borghese di Sandra e Raimondo. Entravano al Teatro Nazionale di Milano: Robert De Niro nel 1991, Sharon Stone nel 1993, Michael Jackson nel 1997. Quanti altri. In quegli anni, Pippo Baudo regnava all’Ariston. Pavarotti portava Mariah Carey e Celine Dion in Italia.
Carlo Mazzoni



