Dal primato della parola al corpo come strumento di interazione, Elena Bellantoni attraversa la storia femminile senza tralasciare il codice dell’abbigliamento
Elena Bellantoni. La relazione tra l’insegnamento e la pratica artistica
«Sono due realtà che si potenziano vicendevolmente. Sono di ruolo all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila e, a Roma, insegno alla NABA e alla ABA. Le materie di cui mi occupo sono Tecniche performative e Fenomenologia del corpo. Essendo una artista di ricerca indipendente, l’insegnamento si lega alla natura collettiva e laboratoriale della mia pratica artistica. Con gli studenti sperimento e condivido la mia ricerca; oltre ai testi presi in esame, le lezioni sono orizzontali e caratterizzate dal lavoro sul linguaggio. Esploriamo le dinamiche relazionali che tornano anche nel mio lavoro artistico».
Dall’idea all’opera – video, ceramica, cemento. La scelta del medium per Elena Bellantoni
«Ho recentemente pubblicato un libro – Parole passeggere. La pratica artistica come semantica dell’esistenza (Castelvecchi, 2023) – dove ribadisco un concetto per me fondamentale: forma e contenuto coincidono. Sono due dimensioni che non vanno scisse. La scelta del mezzo di creazione artistica attraversa e si riflette in una pluralità di scelte linguistiche: la storia come contenuto di narrazioni, l’antropologia come luogo di incontro, la psicoanalisi come lavoro sul linguaggio. Spazio dal video, all’installazione, al disegno a china, alla performance. Non mi definisco performer ma utilizzo il copro come strumento di interazione. Ho utilizzato il video quando avevo meno di trent’anni come forma di documentazione; successivamente, è divenuto un mezzo per me più strutturato. Lavoro con una troupe, un direttore della fotografia, tecnici, fino alla post-produzione. Tengo molto alla qualità dell’immagine e il video è un linguaggio autonomo. Attualmente, sul piano materico, sto studiando la ceramica e continuo ad approfondire l’uso artistico del cemento».
In merito a questo ultimo materiale, si ricorda l’opera CeMento, prodotta per la Galleria Nazionale nel 2019, in occasione della mostra You Got To Burn To Shine (John Giorno, 1993) curata da Teresa Macrì. Una installazione monumentale che deriva dalla partecipazione a Manifesta 12 in cui Bellantoni presenta il video Ho annegato il mare, in collaborazione con il Museo Mare Memoria Viva di Palermo a cura di Giulia Crisci e Neve Mazzoleni.
Elena Bellatoni: appartenenza alla comunità e partiture visive a partire dalla parola
Come afferma Bellantoni, «per l’ideazione di un’opera parto sempre da un elenco di parole». Ad esempio, CORPO MORTO (2020), prodotta per la mostra Sta come Torre, si interroga sulla visione che si scorge dalla posizione privilegiata delle torri lungo la costa pugliese. L’artista sceglie questa prospettiva per gettare in mare un’ancora, un ancoraggio, un corpomorto – termine marinaresco che indica un oggetto pesante utilizzato come ancoraggio sul fondo di una boa. La parola è qui depositaria di gesto fisico ruvido: quello di gettare in mare. Ecco che Bellantoni da un piccolo gozzo libera in mare lettere galleggianti in polistirene espanso che compongono la frase Tra terra e cielo coraggio ancora corpo morto. An-coraggio. L’azione del buttarsi, il coraggio di avvicinarsi, attraccare e raggiungere la terra ferma.
«I copri morti sono anche quelli umani che vengono trovati nel nostro mare. A partire da una parola, si è dispiegata una partitura visiva».
L’impegno umano di Elena Bellantoni per la preservazione del linguaggio
Prosegue l’artista, «Conoscere e preservare il linguaggio, inteso come spazio di incontro, è un aspetto che mi ha anche spinto fino a Capo Horn per conoscere Cristina Calderón, l’ultima depositaria dell’idioma la lingua yámano. Nel 2013, realizzai un video che ne testimoniava l’incontro. La lingua Yeghan è una lingua orale che ho potuto studiare nelle trascrizioni dei padri gesuiti in lingua inglese, francese e spagnola, conservate nella Biblioteca Naconal de Santiago. Ho fatto uno studio comparato per comporre un mio abbecedario artistico, cui si aggiungono disegni a china».
Rispetto umano e fragilità: il corpo come contenitore di poesia
«Il copro è strumento di interazione per una ricerca spaziale. In particolare, il valore di quello femminile calato in un contesto pubblico. Il copro scrive e disegna lo spazio. C’è stato un periodo in cui ho creato opere di natura partecipata, non solo relazionale. Penso a lavori come Parole passeggere alla Stazione Ostiense, dove le persone potevano dettarmi dei testi che battevo su delle macchine per scrivere posizionate in loco. Ero il mezzo di registrazione e interazione con e per gli altri. Queste pratiche sono durate circa cinque anni e, nella loro processualità, si sono oggi esaurite».


Voce, copro, protesta. Il canto delle donne lavoratrici in On the Breadline di Elena Bellantoni
Questo tipo di progetti sono poi evoluti in un’attitudine comunitaria che continua a privilegiare la dimensione femminile. Bellantoni nel 2018 vince il premo dell’Italian Council e crea l’opera video On the bread line.
«Sono stata per un anno in vari paesi europei e ne ho messo in relazione quattro. Italia, Serbia, Grecia e Turchia. Ho coinvolto venticinque donne per ciascun paese. Cento in tutto. Siamo partite da un testo di protesta che risale al 29 gennaio 1912. Quel giorno a Lawrence (Massachusetts), si tenne lo sciopero del “pane e delle rose”. È rimasta impressa nella storia la frase della militante femminista Rose Schneideman che chiude il suo comizio affermando We want bread but we want roses too. Divenne un inno delle lavoratrici e dei lavoratori. Con Quodlibet ho pubblicato il testo On the Breadline. La linea del pane, letteralmente, che indica l’essere sulla soglia della povertà. Con queste cento donne abbiamo tradotto per la prima volta in quattro lingue diverse il canto di protesta. Ho condotto un lavoro di regia attraverso cui cori femminili vengono intonati in degli spazi in cui si assiste alla dinamica capitalista. Ad esempio, il vecchio aeroporto di Atene, gli ex cantieri navali di Istanbul dove sorgerà una moschea, la periferia serba su modello di Ville Radieuse di Le Corbusier».
Quando l’appartenenza a una comunità si fa abito: il codice del costume in On the Breadline
Prosegue Bellantoni, «per la realizzazione del video ho fatto una ricerca sui costumi femminili tradizionali di ciascuna cultura coinvolta. La rappresentazione della donna nel video passa anche dai grembiuli da lavoro che ho fatto realizzare. Rosso per la Turchia, celeste per la Grecia, blu per Belgrado e rosa per Palermo. Il trucco è punk, di ispirazioni anni Ottanta, proprio perché uno degli slogan che il movimento punk recuperò dalla storia della classe operaia è We want bread but we want roses too. Vestono All Star, la scarpa emblema della globalizzazione».
La lotta allo stereotipo con la videoinstallazione NOT HER
Un pastiche digitale site specific lungo trentasei metri per lato. Una installazione monumentale di Elena Bellantoni commissionata da Maria Grazia Chiuri per la sfiata Dior alla Paris Fashion Week 2023 presso i Giardini delle Tuileries – a cura di Maria Alicata e Paola Ugolini. Un risultato esteticamente pop che racchiude messaggi femministi e politici in cui l’artista utilizza il proprio corpo per reinterpretare i codici delle pubblicità sessiste.
«È a partire da On the bread line che ho ideato NOT HER. Maria Grazia Chiuri ne rimase colpita e venne successivamente a visitare il mio studio a Roma con Rachele Regini, Cultural Advisor per Dior. Durante la visita, scelse di lavorare con il mio archivio di raccolta immagini che si chiama The Highlighter. Oltre 400 immagini prese da pubblicità sessiste – a parte dagli anni Quaranta – che “colleziono”. Dal 2015, sono intervenuta su queste immagini con due colori, il fucsia e il giallo. Le pubblicità così come sono non potevano essere usate per la sfilata, per motivi di copyright. Ho proposto di riscrivere l’archivio in occasione della sfilata. Ho reinterpretato settant’anni di codici linguistici e visivi che costruiscono una dittatura sul copro femminile e creato ex novo ventiquattro pubblicità. Ventiquattro e ventiquattro risposte in rima al pensiero patriarcale. I riferimenti visivi rendono omaggio a Barbara Kruger, Cindy Sherman, Jenny Holzer. Il corpo può riscrivere gli stessi codici da cui è stato vessato».
Creare un copro collettivo. La mostra Se ci fosse luce sarebbe bellissimo
Un altro lavoro di Bellantoni sul concetto di habitus – l’insieme dei comportamenti spontanei che concorrono a definire l’individualità dell’uomo – è la mostra Se ci fosse luce sarebbe bellissimo (2023), presentata da Dino Zoli Textile e Fondazione Dino Zoli a Forlì, curata da Nadia Stefanel, grazie al premio Arteam Cup. Per l’occasione Elena Bellantoni ha prodotto quattordici abiti-scultura, due scritte al neon e quattro lightbox e sei disegni a china che confluiscono in un video di diciotto minuti. Segni poetici che diventano politici quando Bellantoni lavora con operaie e operai di una fabbrica tessile per confezionare i quattordici abiti. «Il video è stato realizzato durante gli orari di lavoro. Invece di produrre merce, stavamo producendo immaginazione. La fabbrica è stata disponibile a far sì che ciò che avvenisse». Un corpo collettivo, tentacolare, come scrive Donna Haraway, che dal gesto individuale diventa partecipato grazie alle modifiche in seno all’habitus.
Elena Bellantoni. Un profilo biografico
Elena Bellantoni (Vibo Valentia, 1975), svolge la sua ricerca concentrandosi sui temi della identità e della alterità mediante l’uso del linguaggio e del corpo considerato come uno strumento di interazione. Per le sue opere lavora con più mezzi espressivi: disegno, video, installazione, performance, pratiche relazionali e partecipative. Nel 2024 è selezionata tra gli arsiti finalisti del Mario Merz Prize alla Fondazione Merz di Torino. Bellantoni, nel 2023, apre la sfilata di Dior primavera-estate 2024 con l’installazione NOT HER presso i Giardini delle Tuileries di Parigi. Nel 2018 è tra gli artisti vincitori della IV edizione di Italian Council del MiC e nel 2019 presenta il libro dell’intero progetto On the Bredline al MAXXI di Roma con un focus su tutta la sua produzione video. La sua opera Ho annegato il mare è selezionata nel 2018 nei Collateral di Manifesta 12 a Palermo; lo stesso anno viene selezionata anche per il Gran Tour d’Italie del MiC. Nel 2014 vince il premio speciale Repubblica.it per il Talent Prize; con il progetto In Other Words. The Black Market of Translation – Negotiating Contemporary Cultures nel 2011 vince il bando della NGBK a Berlino. Le sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private. Nel 2019 sono uscite due monografie sul suo lavoro: Elena Bellantoni, una partita invisibile con il pubblico a cura di Cecilia Guida (Postmedia Books); Elena Bellantoni, On the breadline a cura di Benedetta Carpi De Resmini, con testi di Stefano Chiodi e Riccardo Venturi (Quodlibet). Nel 2023 Bellantoni ha pubblicato il libro Parole passeggere La pratica artistica come semantica dell’esistenza (Castelvecchi). È docente all’Accademia di Belle Arti L’Aquila e alla NABA di Roma.
Federico Jonathan Cusin
