I doni al Santo Sepolcro per la prima volta in Italia al Museo Marino Marini. Parati sacri, anelli, croci pettorali, ostensori e pastorali riflettono la bellezza che risiede nel divino e nella diversità culturale.
Il Tesoro di Terrasanta in mostra al Museo Marino Marini di Firenze
Da oltre 500 anni, l’Ordine dei Frati Minori – francescani – curano, studiano e rendono visitabili i Luoghi dell’origine della fede cristiana. Con il tempo, questa provincia religiosa dell’Ordine francescano prese nome di Custodia di Terra Santa. Qui oggi, oltre al museo ebraico e al museo delle arti islamiche, sorge il Terra Santa Museum che negli ultimi anni ha avviato un progetto hors-les-mures attraverso cui espone le proprie collezioni presso selezionati musei europei.
Dopo la mostra Tesori del Santo Sepolcro. Le corti reali d’Europa a Gerusalemme a Versailles (2013), e quelle a Lisbona e Santiago de Compostela, apre a Firenze Il Tesoro di Terrasanta al Museo Marino Marini. La bellezza del sacro: l’Altare dei Medici e i doni dei Re – fino al 7 gennaio 2025. Una mostra finanziata dalla Fonazione Marini San Pancrazio Museo Marino Marini, presieduta da Carlo Ferdinando Carnicini, che presenta la curatela scientifica di Jaques Charles–Gaffiot e quella esecutiva di Leyla Bezzi. Il Tesoro di Terrasanta al Museo Marino Marini è frutto della collaborazione con Terra Santa Museum, Calouste Gulbenkian Museum di Lisbona e la newyorkese Frick Collection.
Diversità e rispetto umano in mostra al Museo Marino Marini
Il Tesoro di Terrasanta al Museo Marino Marini permette di compiere un’esperienza da tesaurizzare attraverso le declinazioni del concetto del bello che rispecchia l’idea di divino. Le opere esposte, frutto di pazienti lavori manuali e committenze illuminate ci ricordano, ancora una volta, che ars è ancor prima τέχνη (téchne), parola eterogeneamente impiegata per definire l’attività umana compiuta in base a principi razionali, a regole ereditate dalla tradizione, apprese tramite studio ed esperienza, poi plasmate con l’ingegno che è idea, creatività, genio generativo. Se arte e artigianato sono etimologicamente gemelle, la subordinazione delle arti “applicate” a quelle “maggiori” non ha ragione di sussistere.
La mostra al Museo Marino Marini è depositaria di umanità. Re, sacerdoti, artisti sono essersi umani che omaggiano una entità superiore. Il risultato della loro fede sono opere provenienti da contesti socioculturali differenti, eppure in grado di coesistere. Dai francescani, ai greco-ortodossi, armeni, etiopi, copti, la Terra Santa è crocevia di popoli e religioni. Le opere da lì giunte a Firenze celebrano la pluralità culturale e così facendo ci parlano e ricordano che non c’è pace senza educazione.
I doni al Santo Sepolcro: simboli di devozione e potere
La mostra – la prima in Italia – è perlopiù costituta da opere la cui natura potrebbe essere definita pellegrina: create da artisti europei, vengono poi spedite e costudite in Terra Santa. Oggi intraprendono il percorso inverso. Creazioni commissionate dalle principali corti europee per il Santo Sepolcro nei secoli. Doni elargiti dai potentes di Spagna, Francia, Portogallo e Sacro Romano Impero, oltre che dalla Serenissima Repubblica di Venezia, Regno di Napoli e Granducato di Toscana. Pitture, arazzi, testi antichi, parati sacri, anelli, croci pettorali, ostensori e pastorali di alta fattura. Simboli di venerazione cristiana ed emanazione della potenza di ogni regno.
La Toscana e il Santo Sepolcro, un legame antico
Proprio la Toscana ha un rapporto storicizzato con la Terra Santa, che risale al 1099. Leggenda vuole che il cavaliere fiorentino Pazzino de’ Pazzi fu il primo crociato a salire sulle mura di Gerusalemme e a riportare con sé tre pietre prelevate dall’edicola del Santo Sepolcro. Piccole sfere lapidee che tutt’oggi vengono impiegate nella celebrazione della Pasqua fiorentina per accedere la miccia che dà avvio allo scenografico “Scoppio del Carro”.


La Cappella Rucellai nel Museo Marino Marini. Un capolavoro rinascimentale, replica in scala del Santo Sepolcro
Sulla scia di questo legame, la mostra Tesori del Santo Sepolcro al Museo Marino Marini si configura come ponte tra eredità socioculturale e presente, a partire dai luoghi che costituiscono lo spazio espositivo. Il museo – voluto dall’artista pistoiese nel 1980 – ospita le sue sculture all’interno della ex chiesa di San Pancrazio, uno degli edifici più antichi nel centro di Firenze. A partire dal 2013, il Museo ingloba nel percorso di visita l’attigua e consacrata Cappella Rucellai.
Quest’ultima suggella il rapporto tra Firenze e Gerusalemme. Voluta da Giovanni di Paolo Rucellai e realizzata da Leon Battista Alberti tra il 1457 e il 1467, il sacello fu concepito come replica in scala del Santo Sepolcro, rappresentando così una sintesi ideale tra i codici del Rinascimento fiorentino – dalla pianta fondata sul rapporto aureo, alle tarsie marmoree in marmo di Carrara e verde di Prato – e la vocazione devozionale di una delle famiglie più rilevanti nella Firenze medicea.
Firenze e Gerusalemme, un dialogo promosso anche dall’arte di Marino Marini
Una sinergia che tocca anche il contemporaneo attraverso l’arte di Marino Marini, i cui uomini a cavallo potrebbero ricordare i cavalieri crociati. Come nota il dr. Carnicini, «per accedere alla cripta, dove persegue la mostra, si passa accanto alle opere di Marini che si integrano armonicamente nel percorso espositivo. Inoltre, una delle prime opere che si incontrano nel parte esterna del Museo d’Israele è Idea e spazio. Un bronzo monumentale creato da Marini nel 1970, prestito permanente della Kasser Art Foundation».
Il restauro delle opere promosso dal Museo Marino Marini
Inoltre, la mostra è occasione per assicurare la conservazione delle opere provenienti da Gerusalemme tramite interventi eseguiti anche dal Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale. Azioni che hanno anche permesso di approfondire gli aspetti scientifici di alcuni oggetti, tra cui l’autorialità.
Come sottolinea la dott.ssa Bezzi nel catalogo della mostra: «il Museo Marino Marini, grazie alla collaborazione con laboratori e centri specializzati in Italia, ha restaurato preziosi oggetti: tra questi spiccano l’Altare dei Medici, di cui fa parte l’Ornamento donato da Ferdinando I granduca di Toscana, e altri tesori come il Tabernacolo del Commissario di Terra Santa e la Lampada voluta da Ferdinando IV granduca di Toscana, i dipinti di Francesco De Mura Sant’Antonio, Estasi di San Francesco e San Giuseppe e il Bambino, il codice manoscritto Antifonario 18, insieme a paramenti sacri come la Pianeta di Alice di Toscana e il Paliotto, e infine, l’arazzo delle Gallerie degli Uffizi con soggetto Cosimo il Vecchio fa costruire un ospedale per i pellegrini a Gerusalemme. Capolavori che non solo arricchiscono l’aspetto estetico della mostra, ma narrano storie di fede, potere e mecenatismo attraverso i secoli».
L’Ornamento di Ferdinando I de’ Medici: la storia di un altare ancora oggi in uso
Proseguendo la visita alla mostra, al visitatore è richiesta una catabasi nella cripta della ex Chiesa di San Pancrazio. Qui, un gioco di teche corrusche potenzia l’allestimento scenografico di Jérôme Dumox, già coinvolto per la mostra a Versailles. L’occhio si posa sull’Ornamento bronzeo di Ferdinando I de’ Medici, integrato nell’altare della Cappella del Calvario di Gerusalemme.
Attorno al 1587, Ferdinando I de’ Medici incarnava un’emanazione di potere spirituale e politico, essendo cardinale e subito dopo terzo granduca di Toscana. Ciò si desume anche dallo stemma mediceo che adorna i quattro angoli dell’opera. L’Ornamento era stato creato per cingere la Pietra dell’Unzione nel Santo Sepolcro di Gerusalemme. È decorato da sei rilevi raffiguranti le fasi finali della Passione di Cristo; due sono attribuite a Giambologna, le restanti a Francavilla.
Arte e spiritualità in tempo di guerra
Dopo tre anni fermo a Venezia, il manufatto giunse in Terra Santa e si rivelò troppo corto; il granduca si rifiutò di tagliare la pietra per adattarla alle misure dell’opera che oggi è utilizzata come altare. Grazie al restauro se ne è assicurata la conservazione e l’uso nel tempo.
Prosegue il dr. Carnicini, «l’altare del Calvario ha viaggiato verso l’Italia mentre il conflitto israelo-palestinese era già in atto. È stato bloccato per più di dieci giorni a Tel Aviv poiché l’aeroporto era sotto attacco. Il suo arrivo ha evidenziato come la fragilità di queste opere d’arte conservi in sé il potere di ispirare pace e dialogo anche in circostanze tragiche come quelle attuali. Siamo onorati di averne potuto favore il restauro».
Lusso per Dio, lusso da indossare. L’abito sacro nei doni della Serenissima Repubblica di Venezia
La solenne processualità, il simbolismo e la consistenza teologica che assecondano ogni gesto liturgico ci ricordano che la Chiesa, nel tentativo di tramutare in visibile un contenuto sacro, ha una natura performativa ante litteram – molti gli artisti contemporanei, tra cui Gina Pane, Hermann Nitsch, Marina Abramović o Adrian Paci, guardano a questa dimensione spirituale e alla sua esecuzione ecclesiastica.
Il sacerdote compie e coordina gesti, pause, silenzi e canti. Al codice verbale si affianca quello corporeo. Non verbale ma visuale. Attorno a crocifissi d’oro e ostensori screziati di rubini, smeraldi e diamanti – tra i doni del Regno di Napoli in mostra – è possibile visualizzare il presbitero durante un Vespro Solenne. Indossa l’Ornamento veneziano in velluto cremisi con ricami in oro, cannelé in seta rosso e granati. Pianeta, piviale, dalmatica, velo da calice, borsa liturgica, paliotto e coprileggio sono i parati che gli artigiani veneziani confezionano come dono per il Santo Sepolcro, inviati a Gerusalemme tra il 1669 e il 1672. Broccati che con le loro decorazioni floreali narrano anche la Passione di Cristo – i petali contornati da spine. Accanto alle armi di Terra Santa, l’emblema della committente, il leone di San Marco (Pettinau Vescina, Paramenti sacri: dall’Europa alla Terra Santa, Edizioni Terra Santa, 2019).
Per il dr. Carnicini «la ricercatezza dei tessuti con i loro ricchi decori li rendono tra i manufatti più importanti in mostra. Lo studio che è stato fatto nel realizzarli è impressionate. La tecnica e la minuzia sono di livello eccelso».
Lampoon in conversazione con Fra Francesco Patton o.f.m, custode di Terra Santa
Il custode di Terra Santa Fra Francesco Patton o.f.m commenta, «la rarità della nostra collezione di parati è che non previene da un luogo unico. Napoli non offriva parati a Vienna o viceversa. Tutti i regni hanno però omaggiato il Santo Sepolcro. In Terra Santa conversiamo una sintesi di culture artigiane. La massima espressione artistica in un dato periodo. Utilizziamo con parsimonia i parati in mostra per ragioni di conservazione. Oltre ai doni dalle corti europee, continuiamo a selezionare stoffe locali e a farle confezionare in sartoria. Fino al 1950 abbiamo prodotto più di mille pianete. Vogliamo continuare ad avere un rapporto con il bello, passato e attuale. Attraverso questi manufatti si comprendono anche elementi teologici. Ad esempio, il parato di Ferdinando VI narra la visivamente la Via Crucis».
Federico Jonathan Cusin


