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Il ciclo infinito della plastica: moda, inquinamento e riciclo

L’Italia, tra i maggiori produttori e consumatori di plastica in Europa, affronta sfide complesse nel riciclo dei rifiuti tessili, mentre la moda si dibatte tra sintesi chimica e innovazione sostenibile

Decenni di riciclo, con la plastica monouso come nemico pubblico, e alla fine sono proprio i vestiti a tradirci. Due terzi dei capi che indossiamo sono composti da materiali sintetici – come nylon e poliestere – che rilasciano microplastiche dannose per noi e per l’ambiente. La plastica è negli imballaggi, negli accessori e nei vestiti, non solo attraverso le fibre, ma anche sotto forma di cerniere, fili, bottoni ed elastici. Siamo ignari del quantitativo di plastica che ci portiamo addosso, fino a che non finisce in mare, nella placenta e perfino nel nostro sangue. 

Perché continuiamo a usare la plastica?

I materiali sintetici sono economici e la loro produzione non dipende dalle stagioni o dalle fattorie colpite dalle piogge o dalle ondate di calore (leggi cambiamento climatico), come nel caso del cotone e della lana. Senza le fibre sintetiche, il sistema moda – e con esso i rifiuti che genera – non raggiungerebbe i numeri attuali. Soprattutto per quanto riguarda la fast fashion che ogni anno su oltre 100 miliardi di capi riversa il 70% della produzione in discarica.

Un recente rapporto della sostenibilità della non profit Fibershed, che ha sviluppato un sistema agricolo regionale sostenibile e rigenerativo, progettato per rivoluzionare la filiera della produzione tessile,   afferma che tra il 1980 e il 2014, la produzione di poliestere è aumentata di quasi il 900%.

Il poliestere e il nylon da soli rappresentano il 69% di tutti i materiali utilizzati nell’abbigliamento a livello globale, e secondo Georgia Rae-Taylor, direttore della strategia di sostenibilità per la consulenza ambientale Eco-age, l’agenzia internazionale che supporta i brand internazionali nel loro percorso verso l’etica e l’ecosostenibilità, questo numero dovrebbe aumentare fino al 75% entro il 2030. Non proprio in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu. 

L’Italia è uno dei principali produttori e consumatori di plastica in Europa

Secondo l’associazione europea dei produttori di materie plastiche, Plastic Europe, nel 2022 il consumo di plastica in Italia è stato di circa 25 milioni di tonnellate, di cui circa il 50% destinato all’imballaggio.

La filiera del riciclo italiano coinvolge diversi attori. In prima linea ci sono i Comuni che si occupano della raccolta differenziata. Entrano poi in scena i Consorzi di filiera, come Corepla (il Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica), specializzati nel recupero e riciclo degli imballaggi in plastica e le imprese di riciclo addette alla trasformazione della plastica riciclata in nuove materie prime. Le Organizzazioni di Produttori gestiscono invece gli imballaggi immessi sul mercato dai loro produttori aderenti. Il loro compito è favorire il riciclo efficiente, la conformità normativa e la promozione di pratiche sostenibili nella filiera, come raccogliere un contributo ambientale (CAC) che poi viene versato ai Comuni per ogni imballaggio reimmesso nel mercato.

Chiudono il quadro le industrie utilizzatrici che impiegano la plastica riciclata per la produzione di nuovi prodotti.

Quanta plastica si ricicla?

In Italia, secondo quanto riportato dal CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi), su un totale di 2,3 milioni di tonnellate di imballaggi introdotti sul mercato, circa 1,26 milioni di tonnellate, corrispondenti al 55,6%, vengono avviate al riciclo. Questo risultato è appena superiore all’obiettivo fissato dall’Unione Europea del 55% entro il 2030. L’avvio al riciclo non equivale però al riciclo effettivo: la quantità di materiale che entra negli impianti è sempre superiore a quella che esce. La reimmissione sul mercato è marginale e anche l’Europa ha riconosciuto questa discrepanza, per questo con la nuova Direttiva sugli imballaggi Bruxelles intenda modificare i criteri di calcolo. I nuovi obiettivi di riciclo europei dovrebbero basarsi esclusivamente sui rifiuti che effettivamente sono trasformati in nuovi prodotti o sostanze, senza considerare altri utilizzi. 

Altrimenti, si potrebbe misurare il materiale in uscita, considerando però solo la parte effettivamente riciclata. Secondo le stime dell’istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’applicazione di questo nuovo metodo comporterebbe una riduzione dell’8% nei livelli di riciclo dichiarati, portando l’Italia al 47%, al di sotto non solo dell’obiettivo del 2030, ma anche di quello del 2025. In termini assoluti, ciò significherebbe che invece di 1,26 milioni di tonnellate, verrebbero riciclate solo 1,07 milioni di tonnellate.

La plastica riciclata in Italia, dove finisce?

Secondo la Relazione annuale 2023 del Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica (Corepla) solo il 43% della plastica raccolta viene effettivamente riciclata. Un dato, seppur esiguo, che segna un leggero aumento rispetto agli anni precedenti, grazie a migliori tecnologie e a una maggiore attenzione da parte dei cittadini, come segnala anche il Rapporto 2023 di Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile). La nostra plastica riciclata viene destinata generalmente a imballaggi, abbigliamento, arredo urbano, componenti automotive ed edilizia.

A preoccupare è però quel 30% di plastica non riciclabile, o contaminata, che finisce in discarica o nell’ambiente. L’inasprimento delle normative internazionali sul commercio dei rifiuti di plastica ha reso più complesse e onerose le spedizioni verso alcuni paesi, soprattutto quelli al di fuori dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Esportare rifiuti plastici tra l’altro spesso non fa che spostare il problema sui Paesi di destinazione che si convertono in vere e proprie discariche. 

La moda può rinunciare alla plastica?

L’industria della moda ha un rapporto complesso con la plastica: da un lato, ne produce una quantità considerevole ma dall’altro è anche uno dei settori più impegnati nel processo di riciclo e nell’utilizzo di  materiali alternativi.

Nel 2019 Prada ha introdotto per la sua campagna Prada Re-Nylon, l’econyl, un nylon rigenerato prodotto tramite il riciclo di indumenti scartati e reti da pesca. Gucci ha lanciato poi la collezione Gucci Off The Grid, che include prodotti realizzati con econyl e filo di poliestere riciclato, oltre a impegnarsi a riciclare il tessuto in eccesso durante la produzione, mentre Louis Vuitton ha creato una linea di borse in feltro  realizzata completamente con poliestere riciclato da plastica e rifiuti tessili.

L’anno scorso Hugo Boss – che vuole eliminare completamente il poliestere e il nylon dalle sue collezioni entro il 2030 – ha presentato una collezione in edizione limitata di giacche realizzate con un filato a base di cellulosa biodegradabile e riutilizzabile.

Astria, brand creato da Claudio Pagani

Non solo grandi nomi però. Astria, un nuovo brand creato da Claudio Pagani che ha debuttato alla Design week 2024, propone una prospettiva radicale: anziché produrre materiali alternativi alla plastica, spesso attraverso processi chimici inquinanti o con un alto consumo di risorse, fare dei materiali già esistenti il perno della sostenibilità, in questo caso la gomma. La borsa plastic free disegnata da Alessandro Onori è realizzata con pelle vegana bio-based MIRUM®, un materiale realizzato con gomma naturale di provenienza responsabile, olio di origine vegetale, pigmenti naturali e minerali.

Il design, come spiega lo stesso Onori, è studiato per essere versatile e quindi maggiormente utilizzabile: «La borsa NRO/001 nasce da una fascinazione che ho sempre avuto per l’idea di sciarpa. Un indumento funzionale e decorativo, che nella sua essenza ha una forma definita e codificata, quasi banale. Quello che la caratterizza però sono i modi virtualmente infiniti in cui può essere indossata. Nella creazione del pezzo volevo mantenere l’essenza decorativa della sciarpa, ho introdotto delle tasche nascoste in modo tale che non perdesse la funzionalità lasciando però la “possibilità creativa” a chi la indossa di poterla portare come meglio sente.

Volevo che aderisse al corpo e non fosse necessariamente da spalla o a mano. Che si potesse confondere con il corpo stesso, che potesse essere percepita come un abito, così da poter essere piegata e riposta nell’armadio tra i vestiti . NRO/001 è una borsa, un accessorio destinata a completare un abito, ma è stata pensata come fosse essa stessa un abito».

Lucia Antista

Astria
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