La neve in Francia, al tramonto
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La neve, ruvida nostalgia: se si parla di sostenibilità, gli stupidi si annoiano

La neve a gennaio, a febbraio – quanta nostalgia? Temperature alte, cambiamento climatico – e nevica in Egitto. Apoteosi o apologia di neve: tra film, costume, abitudini e vizi italiani

Neve nostalgia – come pizzica, Vanzina, i Marchetti e la signora Covelli

Neve Nostalgia. Quell’aria che punge quando scendi dalla macchina. A Cortina, da Roma Torpigna la moglie in carne scende dall’auto, come pizzica – il marito Marchetti è zittito da una spalata dal tetto – e dalla signora Covelli che il Capodanno lo passa con i Furstenberg. Tutto era più bello quando l’inverno era freddo, e nevicava sempre. Oggi nevica in Grecia e in Egitto. Il film era un cinepanettone – oggi fai play su un capolavoro. Mamma e papà ci portavano in montagna – niente Grand Hotel, ma una pensione con il bagno in comune. Scendevamo dall’auto senza giaccone, ed eccome se avesse pizzicato, l’aria, avrebbe punto nel naso e tra le dita delle mani. Erano gli anni degli Yuppie, dentisti, notai e commercialisti: lo smog era alto, il consumismo non ancora esploso come le microplastiche che ci hanno invaso.

La nevicata a gennaio, i giochi a febbraio – la neve può essere ruvida. I boomer e la sostenibilità che annoia

Da bambino, prima di Natale, apparivano due calendari: il calendario dell’Avvento, che aveva le caselle di dicembre e per ogni casella, un cioccolatino; il calendario dell’anno nuovo. Il calendario dell’anno nuovo aveva un disegno per ogni mese a venire: se gennaio era per la neve, febbraio era per i giochi sulla neve. La nevicata arrivava con gli Auguri e con la Befana e rendeva tutto nuovo, freddo, limpido; il pupazzo con i due sassolini negli occhi, la carota come naso, e un cappello vecchio in testa. A febbraio le braccia alzate per la gioia: il sole, la slitta, gli sci, le corse, le gote rosse. La settimane bianca. Da bambini, non avremmo mai pensato che la neve sarebbe diventata così difficile da trovare. I versanti al sole sono manti d’erba secca. A Natale, salivi a duemila metri, la temperatura rimaneva a dieci gradi. Quando si parla di sostenibilità, di temperature, di cambiare le abitudini – quelli che si annoiano sono i Boomer, non importa l’età o la generazione. Si definiscono Boomer tutti quelli che pensano la sostenibilità sia roba che non interessa a nessuno. Si definiscono Boomer anche quelli che dicono sì, la sostenibilità, certo – ma poi non gliene frega niente.

La neve, quanta neve. La neve può essere ruvida, cattiva, per il troppo dolore di non vederla più? Per il monito che ci porta la sua assenza? Niente risorse d’acqua, ghiacciai si ritirano, scoprendo terra dura, sì, ruvida – la Groenlandia è ruvida. Arrivavamo in montagna – che fosse Moena nelle Dolomiti, Macugnaga o Bormio. Scendevamo dalla macchina. C’era sempre un ruscello, o un corso d’acqua, da qualche parte tra gli abeti, dove il ghiaccio aveva costruito case per elfi, tane per fate. I bagagli da scaricare – gli sci si sganciavano dal portascì sul tetto della vettura – che a montarlo, ancora in città prima di partire, era stata una fatica. Alzavi il braccio e lo sci doveva arrivare fino a lassù, dove con le dita ne toccavi la punta. Gli scarponi rigidi, duri, li tiravi giù dal bagagliaio, pesavano. 

Il bosco a gennaio, gli alberi spogli di neve
Il bosco a gennaio, gli alberi spogli di neve

La settimana bianca, una vacanza in montagna, quanto costa? L’albergo pensione, il micro appartamento – da Cervinia a Courmayeur

La settimana bianca, una vacanza in montagna è un privilegio – non tutte le famiglie possono permetterselo. Un paio di sci, attacchi e scarponi – spendi oltre i 500 euro. Puoi affittarli, giri sui 30 euro al giorno. Per uno skipass circa 50 euro. Bisogna imparare, a sciare: le lezioni di sci le devi prendere da bambino – difficile che un adulto impari a sciare quel tanto che basta per poter godersi il problema. Supponiamo che siamo stati tutti fortunati: andiamo a sciare. Facile se vivi al Nord, Milano, Torino, le città del Veneto – al Nord quasi tutti sanno sciare – scendendo in Toscana e giù ancora, la statistica è diversa. In genere, un milanese sa sciare meglio di un romano – rientra negli stereotipi da barzelletta. 

No, niente albergo pensione – ma un micro-appartamento in affitto: qualche metro quadrato, il letto a castello in legno chiaro di pino, le finestre piccole, le tende a quadretti verdi e rossi di lana ruvida. Da Milano, salivi tra tornanti verso le Alpi: se non la Valtellina, era la Valle d’Aosta, le tre dame: Cervinia, Champoluc, Gressoney. I Milanesi della cerchia dei bastioni, i commendatori, gli avvocati e i commercialisti andavano – ci vanno ancora – a Courmayeur. Facile da raggiungere, ogni fine settimana, l’autostrada che attraversa il paese. Courmayeur se ne sta all’ombra del dente del gigante – resti all’ombra anche quando sali in vetta. Per scendere a valle, devi riprendere la funivia – che assurdità – la pista più bella era sempre l’ultima, quella per la valle, attraversando i boschi, cercando sentieri tra i tronchi, saltelli, cunette e rimbalzi. Strano luogo, Courmayeur. I Brianzoli se ne vanno a Madonna di Campiglio, insieme a quelli di Brescia – mentre Bologna, Roma, Venezia – e tutti ricchi industriali si rifugiano a Cortina, inseguendo ancora lo snobismo della cara signora Covelli. 

La spilla della Scuola Italiana di Sci è una stella di neve – la fiaccolata a Sestriere, il Ritter Sport, le piste di Bormio

La medaglia, il simbolo, la spilla della Scuola Italiana di Sci: la stella di neve in metallo, il tricolore smaltato, a bloccarlo in una corona. A Sestriere, la notte del 30 dicembre, tutti i maestri della valle scendevano con una fiaccola in mano; una fila portava le fiaccole rosse, quella centrale la fiaccola bianca, e sulla sinistra, le fiaccole verdi. Una lava di fuoco italiana scendeva lungo la nera olimpionica del 2006. 

È carnevale, la settimana bianca. Ti svegliavi presto, la mattina, una barretta di Ritter Sport in tasca – dovevi essere alla base della funivia per le nove e trenta – la lezione durava tutto il giorno, fino alle due di pomeriggio. A Bormio ci sono le piste con i nomi che sembrano indovinelli: la pista dell’Ermellino, la pista delle Betulle, la pista dei Bimbi al sole. Tornavi a casa, la cioccolata calda, restavi con quelle calzamaglie da folletto che ti erano così comode e ti chiedevi perché mai non le usassi anche in città. Eri un bambino, il sesso neanche sapevi che fosse. Sul tavolo, in quei giorni, c’era sempre un puzzle da mille tasselli – la cartina dell’Italia, o una fotografia di un castello in Germania. Ogni giorno ne ingrandivamo un angolo, partendo dalla cornice – dovevamo risolverlo tutto prima che la vacanza in montagna finisse.

Intanto, a finire era la scuola media. Basta settimana bianca – basta con le lezioni di sci. Al liceo le lezioni non potevi saltarle. Si sciava poco, solo quei giorni a Sant’Ambrogio quando c’era il ponte e quando c’era la neve, a Natale che faceva freddo – meglio a febbraio, il Carnevale, anche Pasqua se restava bassa a marzo – perché a quei tempi, al liceo, il sabato andavi a scuola. Tutto poi sarebbe esploso all’università. Gli esami li potevi preparare anche se qualche lunedì, martedì e mercoledì te ne restavi a Champoluc. 

La fiaccolata della Scuola Italiana di Sci a Sestriere, 30 dicembre 2024
La fiaccolata della Scuola Italiana di Sci a Sestriere, 30 dicembre 2024

Il Paradiso in Engadina, il Suvretta, St Mortiz e il Dracula

Libero, mai ti sentivi così libero come quei giorni tra neve e sole e Nivea – eravamo tutti stupidi, tutti abbronzati. Qualche soldo da buttare via lo avevi guadagnato, e allora tornavi in Engadina. Salivi a sciare più tardi la mattina, ti fermavi al Paradiso fino alle tre – e lì, si quell’ultima pista, con i tre laghi sotto il Suvretta. Avresti voluto non finisse mai. La Stella Alpina, a bere shot caldi e alcolici – il legno ruvido e consumato del tavolo sul patio della baita. Scendevamo cantando, sciavamo ballando. Gli scarponi che non facevano più male – erano come pantofole.

Pochi soldi, ma eravamo così stupidi e che a St Moritz andavamo a spendere quelle decine di euro in più che ci restavano per un cucchiaio di caviale solo perché volevamo vivere come Rolf Sachs, come Maurizio Gucci, come i Niarchos – e le notti non dormivi, ma ti ostinavi al Dracula a cercare di conoscere quella gente miliardaria. La cera sulle braccia, la neve in faccia quando uscivi alle cinque e quel croissant al burro svizzero. Dormivo poco, ti rialzavi, ancora a sciare, il vento in faccia, il fuori pista e il salto – ci perdevamo nel bosco per arrivare a strapiombo su una cascata che scendeva giù, dritta nei laghi.

Le Alpi in Francia, solo qualche decina di centimetri di neve
Le Alpi in Francia, solo qualche decina di centimetri di neve

Neve nostalgia, le Dolomiti rocce ruvide

Neve Nostalgia. Il burro di cacao messo a più strati che puoi, che le labbra bruciano al vento. Gli occhiali specchiati. Un’altra scena di Vacanze di Natale: i protagonisti del film sono arrivati in quota: è mattina, la camera ci porta sulle piste con loro. Un’inquadratura dall’alto, gli sciatori serpentina, ordinati, in sottofondo suona I wanna dance dance dance all night. I ragazzi si fermano e alzano il viso a farsi baciare dal sole. Il Torpigna scia con i jeans come facevano i fighi di quegli anni – il maestro diceva, il peso a monte, prima della curva. Una lacrima negli occhi, per l’aria che picchia, o per la bellezza di quel mondo dall’alto – adesso sei un adulto, e ti rendi conto di quanto sei fortunato a capitare ancora lassù, in quel mondo di bianco, di neve e giaccio, di ossigeno pulito e di luce.

Sei in città, in città la neve non c’è più – o forse arriverà? Sta arrivando? È già troppo tardi? È già primavera? Da Milano, nelle giornate di inverno, si vedono le Alpi sopra Lecco, la strada per la Valtellina. Sembrano a portata di mano, ma quando sei in ufficio, quel sogno non ti puoi neanche permettere che ti interessi. Ci sono le famiglie perfette, con l’appartamento sulle piste e l’abbonamento stagionale. Tu no. Tu resti ruvido sull’asfalto e va bene così – ci sono altri sogni. 

Le Dolomiti si tingono di rosa al tramonto – è la prima cosa che ci dicono, la prima volta che arriviamo tra quelle montagne. Dolomiti, rocce ruvide e rosa. Il resto delle Alpi, al tramonto, rimane bianco, resta nella sua dimensione di cristallo – mentre le dolomiti si infuocano. Quella sensazione di essere unti, quando scendevamo in quel rosa – sicuri, al mille per mille, che niente sarebbe mai cambiato, che saremmo rimasti così per sempre. Oggi, non c’è più neve – maledetti Boomer.

Carlo Mazzoni

Il versante al sole, senza neve
Il versante al sole, senza neve
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