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Lampoon, il nuovo numero dedicato all’editoria indipendente: ruvidità e sostenibilità

Il nuovo numero di Lampoon è un tributo all’indipendenza: nell’editoria, nella musica, nell’architettura. Da Romain Laprade a Olivier Zham, da Joel Dicker a Caterina Barbieri, Mathis Chevalier, Isabelle Albuquerque

Lampoon, rivista ruvida – non c’è niente di straordinario

Lampoon, rivista ruvida. Copertina ruvida e goffrata, fotografie meglio se analogiche, poca post-produzione. Nessuna scusa e nessun ritocco. Anche per la scrittura: sessanta, ottanta giornalisti nel mondo – lingue diverse, pubblicano con noi in inglese o in italiano. Scrivono seguendo le nostre linee editoriali: vietati gli aggettivi, vietati gli avverbi. Vietate parole come importante, fondamentale. Vietati i superlativi, bannato il termine straordinario, forse il più detestato – chi si può permettere di definire cosa sia ordinario e cosa sia straordinario. Tutto quello che conta si trova nell’abilità di riconoscere un dettaglio. In italiano non possono usare lui, lei e loro come soggetto – sono complementi oggetti. Tutto vuole essere spigoloso, asciutto, come una fibra naturale. Cerchiamo il graffio.

Detestiamo la plastica, vogliamo la pelle

Non c’è niente che detestiamo più della plastica. Le fibre sintetiche – il poliestere, le viscose, l’elastan. Tanto, troppo, di quello che indossiamo è realizzato mescolando fibre sintetiche a fibre naturali, imbottendo in poliuretano livelli di materia morbida, bloccando piume animali in celle di plastica così che non ne possano scappare. Dobbiamo iniziare a scegliere di vestirci senza plastica: la plastica non fa respirare la pelle; quando sudiamo nella plastica, la nostra pelle male odora, qualche cosa di rancido. La nostra pelle, la pelle umana, quando suda, emette sale, terra, fango, acqua, sangue. La plastica rende tutto liscio, compatto, solido – mentre a noi piace il duro e il nudo, il ruvido, stratificato, pornografico, sporco, sincero animo umano. La plastica è necessaria in ospedale, con rispetto.

La ruvidità e nessun aggettivo

Ci può essere l’affetto, la morbidezza ma la ruvidità rimane. Ruvidità è una forma di autenticità, onestà. Quando cominci a smussare qualche cosa, a impacchettarla, in parte la soffochi o la uccidi. Ruvidità è materia grezza. Ruvido, non filtrato. Un mondo ruvido non ha bisogno di didascalie, funziona senza istruzioni. Se una frase è composta con un aggettivo, bisogna provare a toglierlo, l’aggettivo: se senza l’aggettivo la frase non regge, vuol dire che la frase non è necessaria.

Il nuovo numero di Lampoon dedicato all’indipendenza

Abbiamo cercato persone, talenti, che potessero parlare di indipendenza senza darne una didascalia. Un capitolo è diedicato a un lavoro di Romain Laprade che con noi è venuto a Roma alla ricerca delle palazzine razionaliste, moderniste – un immaginario distante dal consueto, per la capitale d’Italia. Una lunga conversazione tra me e Olivier Zham, editore di Purple Magazine, da più di trent’anni, editoria indipendente tra arte e moda. Joel Dicker – dopo la morte di Bernard de Fallois, ha deciso di essere editore di se stesso, di aprire la sua casa editrice invece che pubblicare per un gruppo editoriale. Caterina Barbieri, Mathis Chevalier, Isabelle Albuquerque – e quanto altro.

Editoria indipendente, cosa significa

Editoria indipendente. Cosa significa? Significa coerenza. Per definizione, l’editoria è l’industria che diffonde un’espressione autoriale: un testo, una fotografia, un video. Autoriale, perché questa espressione porta l’esperienza personale di chi la racconta. Rispetto all’editoria generica, l’editoria indipendente deve fare un passo in più: l’espressione autoriale riesce a portare un messaggio. Civile, etico – finanche politico. L’editoria indipendente si definisce e si comprende nella coerenza con questo messaggio. Una coerenza che deve avere priorità rispetto a strategie commerciali, diplomatiche, finanziarie.

Lampoon, magazine culturale dedicato alla sostenibilità

Il messaggio di Lampoon: la sostenibilità è l’unica forma di cultura attuale. Lampoon è il magazine culturale dedicato alla sostenibilità. Le due parole prese singolarmente possono apparire generiche. Cultura vuol dire curiosità. Sostenibilità, questa sconosciuta, può essere intesa nell’ampia accezione di rispetto umano, quasi che qualsiasi impegno civile possa ricadere sotto il cappello della sostenibilità. Sostenibilità vuol dire civiltà – ma rischia di diventare così tanto generica da perdere mordente. Lampoon lavora sull’incrocio di questi due termini: la cultura della sostenibilità; la sostenibilità è l’unica forma di cultura contemporanea.

La sostenibilità, un filtro tra i nostri neuroni

La sostenibilità in manifattura, in produzione: la domanda si pone su qualsiasi cosa. Un artista, un artigiano. Una mostra, un allestimento. Il colore nero. La luce e l’energia. Un mobile – il legno, il cemento, il marmo. Un fine settimana, quando facciamo otto ore di macchina, per neanche ventiquattro ore di veglia al mare. Quando prendiamo troppi aerei, quando alziamo il riscaldamento, quando facciamo la spesa, quando apriamo l’armadio. Dobbiamo imparare a osservare tutto quello che ci circonda in un’ottica di rispetto umano – che sì, vuol dire sostenibilità. La cultura della sostenibilità – perché la sostenibilità diventa la nostra abilità intellettiva, un filtro tra i nostri neuroni: tutto deve essere compreso, osservato, pensando a quale impatto, questo tutto, possa segnare. Non c’è espressione artistica, narrativa, espositiva che abbia senso oggi se non si pone domande su come possiamo vivere insieme senza farci del male. Senza pensare a come vivremo a luglio del 2040.

Sostenibilità – drill, baby drill non è progresso. È niente

La parola sostenibilità è divisiva: ci sono quelli per i quali non esiste altro da raccontare, da comunicare, da pubblicizzare – tra questi, io che scrivo e un esercito di ragazzini spaventati per il loro futuro. Dall’altra parte, ci sono i boomer. Per boomer non intendo un’appartenenza generazionale per decennio del Novecento. Per boomer intendo tutti coloro che, in ogni età ed estrazione, mettono il profitto come unico metro di conta. Non esiste progresso senza sostenibilità: drill, baby, drill non è progresso. È niente. I boomer sono tutti quelli ancora convinti che la sostenibilità non interessi a nessuno – e se proprio devono, per lavoro o per decenza, fanno il minimo richiesto.

Sostenibilità, un compromesso; l’editoria indipendente è un compromesso

Fino a qua, tutta teoria. Nella pratica, la sostenibilità è solo un compromesso. L’editoria indipendente è un compromesso. Mi sento quasi costretto a scrivere che tutto quanto esposto nelle righe sopra è un’utopia, un delirio di uno illuso per fare qualcosa di utile nel corso di una vita. Le temperature salgono perché l’oceano si riscalda – e a scaldarlo, ci sono le microplastiche. Gli oceani sono pieni di plastica – tra le poche soluzioni in ipotesi è la programmazione genetica di un batterio che possa digerirla con chissà quale controcanto. L’industria tessile, l’industria cosmetica, l’utilizzo degli pneumatici sono i primi colpevoli della dispersione di microplastica. Il problema delle microplastiche nell’acqua rende quasi secondario è il problema del carbonio e degli inquinanti nell’aria.

Cosa possiamo fare noi? Nel concreto, intendo – cosa può fare un gruppo di essere umani che si impegnano a resistere tra gli spalti dell’editoria indipendente, continuando a ripetere quanto sopra e a domandarsi quanto tutto sia inutile. Cosa possiamo fare noi che dobbiamo accettare compromessi ogni giorno, compromessi che diventano contraddizioni, che ci fanno sentire formiche su uno specchio bagnato e ribaltato, cadendo tra le gocce che a terra mescolano il fango.

Vogliamo reazione, convinzione, illusione. Andiamo a scontrarci contro i muri, cadiamo nei baratri. Restiamo ingenui, nostalgici, arrapati, fradici, incazzati. Va bene qualsiasi cosa pur di toglierci dalla testa quella sensazione di annichilimento che percepiamo quando siamo lì, come i peggiori imbecilli a scrollare con il dito lo schermo del telefono. Usiamo quel dito per le nostre parti intime. Graffiando e sbraitando, andiamo avanti. Continueremo a pubblicare parole di sincerità e ruvidità. Sono passati 10 anni dal 2015, quando uscì il primo numero di Lampoon. Il mondo è ancora nostro, amore mio.

Carlo Mazzoni

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