Per Ralph Lauren Home due artisti Diné: Naiomi e Tyler Glasses. Tra forme geometriche, lana e colorazioni che richiamano quelle antiche, fatte con piante e insetti: la sostenibilità della tradizione
Canyon Road, Ralph Lauren Home – l’arte del popolo Navajo
Diamanti, croci a quattro direzioni e strisce orizzontali su cuscini e coperte in lana che riposano su letti e poltrone. L’indaco, il nero, il marrone della terra, il rosso aranciato della ruggine. La collezione è Canyon Road di Ralph Lauren Home, presentata per l’autunno 2025 all’ultimo Fuorisalone di Milano. I motivi e i colori sono quelli dell’arte dei Navajo, popolo di nativi del Sudovest americano, ancora oggi stanziati nell’Arizona settentrionale e in parte nelle riserve dello Utah e del New Mexico.
La collaborazione con i fratelli Naiomi e Tyler Glasses, designer Diné
Con le parole di Ralph Lauren: «L’Ovest americano – la bellezza eroica dei suoi paesaggi, il suo patrimonio unico e i popoli indigeni che da secoli contribuiscono a preservare le sue terre». Il cultore dell’Est, lo stilista di New York, l’uomo degli Hamptons affacciati sull’Oceano Atlantico omaggia un’altra faccia degli Stati Uniti. Più ruvida, più calda, più polverosa. Non lo ha fatto da solo, ma insieme agli stessi popoli indigeni di cui parla: «Dare vita all’espressione più autentica dell’Ovest significa collaborare con gli artigiani che mantengono vive queste tradizioni e condividere le loro storie con il mondo». A Canyon Road hanno lavorato due designer Navajo, o Diné: Naiomi e Tyler Glasses, settima generazione di tessitori da Rock Point, in Arizona, nella Contea di Apache, 29.056 km² ancora oggi occupati per la maggior parte dalla Nazione Navajo. Le terre del Dinétah. In Canyon Road hanno portato l’arte e la simbologia dei loro avi, tramandate di generazione in generazione: è stata la nonna Nellie a insegnare ai fratelli le antiche tecniche di tessitura.
Naiomi Glasses, artista e skater, con Ralph Lauren aveva già collaborato in passato. È stata l’apripista del progetto Artist in Residence. Nel 2023 è stata scelta per una collezione in tre parti di Polo Ralph Lauren: cappotti e mantelle in jacquard intrecciato, nei colori naturali della lana non tinta, insieme a una reinterpretazione dei motivi wedge weave – a tessitura inclinata – dell’arte Navajo. Sono gli stessi che oggi si ritrovano in Canyon Road, quelli che animano le superfici con onde e linee a zig-zag che si muovono nei tessuti. Nella tessitura lineare a cui siamo più abituati i fili della trama stanno su direzioni orizzontali e regolari, qui vengono inclinati per creare slanci che ricordano un cuneo: wedge significa proprio ‘cuneo’.

La tessitura dei Navajo – un patrimonio ereditato dagli indiani Pueblo
Le radici della tessitura dei Navajo nel South West americano sono in realtà antecedenti al popolo stesso. La leggenda vuole che sia stata la Donna Ragno, una divinità del luogo, a mostrare ai Diné come tessere le trame: il primo telaio – si dice – era fatto di corde di cielo e di terra. Furono invece gli indiani Pueblo a insegnare a tessere ai Navajo, arrivati nelle loro terre in discesa dal nord (Alaska e Canada). Un patrimonio antichissimo: i Pueblo coltivavano cotone per la tessitura già nel quattordicesimo secolo, quando era ancora una pratica riservata solo agli uomini. Inizialmente facevano tutto con le dita, poi si spostarono sul telaio a cintura, che avevano conosciuto dagli indigeni messicani.
Negli anni il cotone fu abbandonato per la lana, che anche in Canyon Road fa da padrona. La fibra arrivò nelle terre Navajo con i colonizzatori spagnoli, nel sedicesimo secolo, insieme a elementi finora sconosciuti, i motivi a strisce e l’indaco come colorante. Mentre le donne iniziavano a occuparsi di tessitura, nel Sudovest venivano costruite le prime ferrovie. Per i Navajo fu un’apertura verso il mondo esterno e verso il commercio: molti i salotti dell’Est che venivano addobbati con i tappeti dei Diné.
Le coperte del capo e le coperte da schiava – le forme geometriche dei Navajo e l’influenza del Messico
Nell’Ottocento le donne indigene cominciarono poi a tessere anche le chief’s blankets, conosciute come le coperte del capo, che influenzarono anche altre popolazioni, come quelle delle Grandi Pianure. Sopra le coperte di quel periodo venivano già impressi alcuni degli stilemi che ancora oggi sono i più identificativi per i Navajo, come le forme geometriche a quattro punte e le strisce bianche e nere. Poi le donne Diné furono catturate dai messicani, da cui rubarono altre influenze. Su tutte: i grandi diamanti che da lì in poi sarebbero stati disegnati al centro di coperte e tappeti. Per questo ancora oggi c’è chi le chiama ‘coperte da schiava’.
L’arte Navajo e i colori – tinte naturali
A fare Canyon Road non sono solo i simboli della tessitura Navajo, ma anche i suoi colori. Ci sono il marrone, il grigio, il nero e il bianco. Sono le prime tonalità delle creazioni Diné, le stesse del pelo delle pecore churro, razza arrivata in Arizona con gli spagnoli. La loro lana veniva pulita con quello che la terra offriva, principalmente estratto di yucca. Una volta cardata e filata, si passava alla tinta. Anche qui, lo si faceva con quello che si trovava: radici, terra, funghi, fiori e in alcuni casi anche insetti. E c’è chi lo fa ancora, come ha messo in luce Through the Appalachian Forest: Field Explorations Illuminated by the Floyd Bartley Herbarium, mostra del 2019 del Kennedy Musem, Ohio University. Irene Clark, artista Navajo che ha partecipato al progetto, ha tinto un tappeto con gli ingredienti utilizzati dalla nonna: licheni per il colore della ruggine, artemisia tridentata per il verde. Un’altra tessitrice, Lillie Taylor, ha ottenuto il verde dalla salvia e il viola dalla cocciniglia del carminio, insetto-parassita che vive sui cactus, originario dell’America centrale.
La cocciniglia è stata utilizzata a lungo anche per creare varie sfumature di rosso, colore tra i più rappresentati nell’arte Navajo: la sua polvere riesce a raggiungere le tonalità intense a cui si è ispirato Ralph Lauren Home. Alternative tradizionali sono la radice di madder (il nome latino – Rubia tinctorum – parla di sé) e licheni locali come il parmelia. Dal diciannovesimo secolo in poi il rosso dei Navajo ha iniziato a essere in buona parte riciclato dai fili di coperte già finite che arrivavano nelle terre, come le Bayeta spagnole: le disfacevano, separavano le parti rosse e poi le reintegravano nelle nuove creazioni.

L’interesse di Ralph Lauren per il West e la sostenibilità della tradizione storica
Per Ralph Lauren, Canyon Road è un nuovo passo dentro i terrori del Sudovest americano, dove si è anche costruito un ranch ai piedi delle montagne del Colorado. Non è però il primo. In parallelo alla presentazione della collezione, al Palazzo Ralph Lauren di via San Barnaba 27, una retrospettiva ha riportato in vita altri stili già esplorati in passato. Tra i quattro capitoli anche Western, con quattro poltrone in cuoio da sella patinato e tessuti colorati in rosso e in nero, ancora una volta in tessitura Navajo. Sopra di loro il lampadario Straton Triple-Tier, con le sue corna di cervo naturali.
Canyon Road segna un cambio di passo. Come è successo ad altri, in passato Ralph Lauren è finito sotto la scure delle accuse di appropriazione culturale. Si è contestato l’uso non autorizzato di motivi e simboli indigeni, a partire dalle piume d’aquila e dai copricapi da guerra. Il coinvolgimento di Naomi e Tyler Glasses è una presa di coscienza, un modo per passare dalla semplice ispirazione alla collaborazione con la cultura che a lungo ha ispirato la visione dello stilista. Per rendere sostenibile la tradizione storica, allontanandosi da istinti predatori che potrebbero smuovere ferite ancora aperte.
La storia della Navajo Nation, dalla Guerra di Secessione a oggi
Come quella di molte popolazioni indigene, anche la storia dei Navajo è disseminata di conflitti e diaspore. Uno dei momenti peggiori fu la Guerra di Secessione americana: nel 1864 il governo federale degli Stati Uniti d’America si scagliò contro i Diné con una campagna militare in cui almeno 8mila persone furono deportate a Bosque Redondo, nel Nuovo Messico. Fu una marcia a piedi, di 300 miglia, in cui molti morirono. Ancora oggi la si ricorda come la ‘long walk’. Solo quattro anni dopo i Navajo dopo fecero ritorno nelle loro terre natìe. Sulla base di un trattato con l’amministrazione centrale avrebbero potuto restare in una nuova riserva che toccava tre Stati. Arizona, Utah e New Mexico.
Nasceva la Navajo Nation. Tutto cambiò. L’allevamento divenne l’attività di sostentamento principale, insieme all’artigianato. La popolazione continuò a crescere fino a diventare oggi il gruppo etnico più grande di tutti i nativi americani. C’è chi parla di 250mila persone, ma se si contano anche i discendenti si superano le 400mila. Ancora oggi godono di autonomia amministrativa, secondo un sistema politico ispirato a quello di Washington, con presidente (Buu Nygren), vicepresidente (Richelle Montoya) e organi come un Consiglio legislativo e una Corte suprema.
Giacomo Cadeddu

