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Luca Iovino: viaggio tra spazi interiori e luoghi della memoria domestica

In equilibrio tra sogno e inquietudine, le fotografie di Iovino mostrano oggetti domestici sospesi nell’aria, caffettiere che levitano, libri che si trasformano in muri. The Name We Hold 

Alla ricerca della memoria: la casa come identità, Luca Iovino

Dove risiedono i ricordi? Qual è il ruolo della casa — ovunque essa si trovi — nella conservazione della nostra memoria? A partire da queste domande prende vita The Name We Hold, il progetto fotografico dell’artista italiano Luca Iovino. Si tratta di un’indagine visiva che affronta il senso di sospensione e spaesamento vissuto durante i cambiamenti abitativi, il passaggio da una casa all’altra, da una città all’altra, e la percezione che abbiamo degli spazi personali.

Nato a Verona, cresciuto a Napoli e trasferitosi poi a Roma, Milano e Torino, Iovino ha vissuto in continuo movimento. Questa instabilità ha generato un senso di frustrazione legato alla mancanza di radici e a una difficoltà crescente nel gestire il cambiamento. L’unico elemento costante a cui si è aggrappato è stato proprio lo spazio domestico. La casa, pur mutando forma e luogo, ha rappresentato un rifugio e un archivio, diventando progressivamente il centro della sua riflessione artistica.

Una raccolta visiva di memorie abitative

Il progetto The Name We Hold ha cominciato a prendere forma nel 2021, durante una masterclass online curata da Tommaso Parrillo e Federico Barbon, proprio mentre Iovino affrontava un nuovo trasloco, da Torino a Firenze. In quel momento, l’autore ha iniziato a individuare con maggiore chiarezza le tematiche che lo accompagnavano da sempre: l’erranza, il ricordo, la paura di perdere sé stesso nei continui spostamenti.

Il progetto nasce da una domanda sulla definizione dell’identità, e la casa ne diventa il centro simbolico. Il nome che portiamo, così come gli oggetti che possediamo — sempre protagonisti nelle immagini, a fronte di una presenza umana solo accennata — sono ciò che ci identifica. Da questo attaccamento alla materialità, nasce la sensazione che senza quegli oggetti — senza quel frammento di mondo tangibile — anche la nostra identità rischierebbe di vacillare.

Oggetti, memoria e psicologia dell’abitare: Luca Iovino

Gli oggetti, nel lavoro di Iovino, assumono un valore delicato e potente. Sono carichi di significato ma non vengono mai trattati in modo materialista. Diventano piuttosto simboli affettivi, carichi di nostalgia e intimità. In The Name We Hold, il fotografo tenta di delineare i contorni di una “psicologia dell’abitare”, in cui la casa, secondo la lettura junghiana, è metafora della mente: un insieme di stanze interiori che contengono ciò che siamo, ciò che siamo stati e ciò che vorremmo essere.

Gli oggetti rappresentano l’incontro tra la nostra identità più profonda e lo spazio che scegliamo di abitare. Diventano strumenti per rendere tangibile la memoria, elementi che marcano il confine tra il dentro e il fuori, tra l’intimo e il condiviso. La casa, in questo senso, non è solo luogo fisico, ma involucro mentale e narrativo, capace di conservare la nostra identità in un tempo stratificato.

Presenze umane e atmosfera surreale

In equilibrio tra sogno e inquietudine, le fotografie di Iovino mostrano oggetti domestici sospesi nell’aria, valigie fluttuanti, caffettiere che levitano, libri che si trasformano in muri, bicchieri disposti come vertebre. L’atmosfera è rarefatta, a tratti straniante, e la presenza umana appare solo in forma spettrale, sfuggente. 

I volti sono sempre nascosti, gli occhi non si vedono mai. Anche le persone diventano elementi della casa, oggetti fra gli oggetti. L’assenza del volto sottolinea l’impossibilità di riconoscersi nel reale, lasciando spazio a una visione immaginata, evocativa, profondamente emotiva. Non c’è alcuna intenzione documentaristica. La fotografia si allontana dalla cronaca per restituire una realtà filtrata, rielaborata attraverso la memoria e la percezione.

Chiavi di lettura e stratificazione simbolica: The Name We Hold

The Name We Hold può essere letto a diversi livelli. Il primo è quello più intimo, legato al vissuto personale di Iovino, alla sua traiettoria di vita frammentata, sempre in transito. Il secondo è quello psicologico, che interroga la costruzione dell’identità attraverso gli spazi, le abitudini, le cose. Il terzo è quello surreale e onirico, che dà forma a immagini sospese, in bilico tra possibile e impossibile.

Non ci sono case riconoscibili nel progetto, né stanze intere. Tutto è frammentato, evocato, accennato. Gli esterni sono vaghi, effimeri. Come la fotografia di un palazzo torinese senza uscita, che non rappresenta più una casa vera e propria, ma un agglomerato visivo di tutte le case vissute. La casa si trasforma così in un universo stratificato, dove coesistono passato, presente e futuro, tra memorie infantili, oggetti dell’oggi e pensieri già proiettati altrove.

Luca Iovino: l’esperienza personale come origine del sogno

Oltre all’esperienza autobiografica, sono gli stessi oggetti a suggerire il tono e l’estetica del lavoro. Alcuni provengono direttamente dalle case vissute da Iovino, come la palla sospesa — un giocattolo della sua infanzia a Verona. Altri appartengono alla sfera dei sogni:

«Sogno spesso le città di notte, una dimensione in cui mi sento a mio agio. Nel buio e nel silenzio cammino per strade che conosco e vedo enormi sassi fluttuare nell’aria. Anche quei sassi sono parte della memoria: li raccoglievo da bambino e oggi li raccolgono i miei figli. Li conservo tutti in una busta».

Riferimenti letterari e influenze di Luca Iovino

Tre libri hanno giocato un ruolo centrale nello sviluppo concettuale di The Name We Hold. Il libro delle case di Andrea Bajani, che racconta la vita del protagonista attraverso le abitazioni che ne custodiscono i segreti. Le locataire di Roland Topor, da cui Iovino ha tratto la tensione surreale che attraversa il progetto. Mappe di posti che devono ancora esistere di Lucia Vincenzi, un’opera che riflette sul tema del confine e dello spazio immaginato.

Scrive Vincenzi nel testo introduttivo del libro:
«È una sinfonia di convincimenti senza prove, di vicinanze e abbandoni. […] Le immagini hanno suoni, albe e tramonti che sono i dubbi della luce e dell’ombra, chiaroscuri che sono crepe del quotidiano, con dentro le persone. Le persone sono apparecchi che si illuminano da soli. I luoghi riflettono la loro luce. E noi portiamo il nome dei luoghi e dei chiaroscuri che attraversiamo.»

Il libro fotografico di Luca Iovino: The Name We Hold 

The Name We Hold è stato pubblicato nel 2024 dalla casa editrice danese Disco Bay. La scelta del bianco e nero, cifra distintiva del linguaggio visivo di Iovino, restituisce la tensione drammatica e l’ambiguità percettiva che attraversano l’intero lavoro. Le immagini evocano la casa come un luogo sospeso, frammentato, pieno di oggetti e gesti quotidiani che custodiscono la memoria. Un deposito visivo di ciò che altrimenti rischieremmo di dimenticare.

Luca Iovino

Luca Iovino è un fotografo e artista italiano con base a Firenze. Il suo lavoro è stato esposto in Italia, Germania, Francia e Corea del Sud. The Name We Hold ha vinto il bando #RaccontoPlurale della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT ed è stato selezionato per il Fiebre Dummy Award 2023, il Kassel Dummy Award 2023 e il BUP Book Award 2023.

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