Arnaldo Pomodoro si è spento a Milano all’età di 99 anni. Capace di fondere insieme mitologia e modernità, superfici lucide e interiorità spezzate, ha raccontato la fragilità della materia come metafora della condizione umana
Arnaldo Pomodoro, archeologia e futurologia: e se crollasse anche il Sole? Pomodoro si è spento a Milano all’età di 99 anni
Arnaldo Pomodoro si è spento a Milano all’età di 99 anni. Con lui scompare uno degli scultori più significativi del secondo Novecento, capace di fondere insieme mitologia e modernità, monumentalità e trauma, superfici lucide e interiorità spezzate. La sua opera ha raccontato la fragilità della materia come metafora della condizione umana: forme perfette che si lasciano divorare da un’energia interna, compressa, pronta a esplodere. Ha vissuto e lavorato a Milano, ma ha parlato al mondo intero.
A Milano, in piazza Meda, c’è una ruota di Arnaldo Pomodoro. Gli adulti pensavano fosse un sole di metallo – così ne scriveva Lina Sotis sul Corriere della Sera nel 1983: «un sole di metallo che i ragazzi alla sera fanno roteare perché è bello, la notte, giocare con un sole d’autore».
Nel 1974, Pomodoro disegnava tre colonne mastodontiche, in bronzo, rotte e cadute, con le dovute crepature, da porre davanti al Duomo di Milano: «È una vecchia idea» raccontava allora: «Non che fossi megalomane e lo sia ancora, ma certo creare una scultura da mettere davanti alla Madonnina è un problema difficile. Il mio è un movimento di crollo».
Le opere di Arnaldo Pomodoro nel mondo
Nel parco davanti al Palazzo Reale di Copenaghen ci sono quattro colonne. Al MoMA di Manhattan, c’è una sua sfera. A Tokyo, alle Hakone Open Air Museum, due sue sculture. Ancora, nel giardino della sede centrale di Pepsi, tre colonne alte quindici metri. A 56 anni, insegnava per dieci settimane all’anno al Mills College in California. Ogni sua opera è uno scavo: nella materia, nel tempo, nella complessità delle cose che si solidificano ogni volta che le sventri. Comprimi la prospettiva geometrica come se volessi curvare i quanti di luce, come se volessi stritolare sia lo spazio che il tempo – come se Proust, nel suo lavoro sulla memoria, avesse solo accarezzato una superficie che Pomodoro ha scelto di incidere.
Un labirinto sotto Milano, e l’inizio con Fendi
In via Solari 35, a Milano, c’è un ex edificio industriale che un tempo produceva turbine idroelettriche. Qui un grande vano sotterraneo fu realizzato per fondere L’obelisco del Novecento, commissionato nel 1999 da Walter Veltroni per celebrare il nuovo millennio. Lì, sotto terra, Pomodoro costruì il Labirinto: scendendo scale che sembrano una quinta teatrale, si entra in un reticolo di pareti bronzee, incise come pagine di un alfabeto sconosciuto, una vertigine permanente. Questo spazio è diventato il cuore della Fondazione Arnaldo Pomodoro. Ed è qui che, anni fa, è nata la collaborazione con Fendi, che ha avuto sede proprio in quel luogo.
Origini, formazione e l’osso di seppia
Nato nel 1926 a Morciano di Romagna, Pomodoro studiò da geometra. A Pesaro, lavorò alla ricostruzione di edifici distrutti dalla guerra: macerie che divennero parte del suo linguaggio. Lavorò anche come orafo, imparando a incidere l’osso di seppia: «Ho iniziato grattando l’osso di seppia e incidendolo. Ho usato le sue forme per creare scudi sacri. Alcuni hanno tessiture interne che sono venature magiche. Tu non hai fatto quasi nulla: è l’osso di seppia che racchiude frammenti di spiaggia e lembi del Mediterraneo».
Il linguaggio di Arnaldo Pomodoro: astratto, ma vivo
Pomodoro ha attraversato il secolo breve, in dialogo con le avanguardie storiche ma mai pienamente dentro nessuna. Il suo lavoro si muove fra cubismo, astrattismo, espressionismo astratto. Trasferitosi a Milano nel 1955, frequentò artisti come Lucio Fontana e Alighiero Boetti. Comprò un arazzo di Boetti quando ancora non era conosciuto. Nel 1959, al MoMA, si trovò di fronte all’Uccello nello spazio di Brancusi – un’epifania. Capì che quel linguaggio era finito. Da lì, cominciò la sua personale forma di rottura.
I materiali di Arnaldo Pomodoro: Bronzo, geometria e ferite
La scultura per Pomodoro non è un’arte di levare, come per Michelangelo, ma di incidere. Lavora lastre d’argilla, incide, cola il gesso, che diventa matrice per il bronzo. Il bronzo è lucido in superficie, ma all’interno è corroso, esploso, contorto. Quadrati, sfere, cilindri, coni: Pomodoro sceglie le forme pure della geometria solo per poterle lacerare dall’interno. Ogni opera è un contrasto tra l’esterno levigato e l’interno martoriato: come se fosse l’uomo stesso, stretto fra forma e sostanza.
Canvas Peekaboo: l’arte indossa la moda. Una mostra per raccontare Pomodoro
Nel 2014, Fendi ha invitato Pomodoro a reinterpretare la Peekaboo, la celebre borsa disegnata da Silvia Venturini Fendi. Pomodoro l’ha trattata come una tela, una scultura da incidere. Ha rinforzato l’involucro esterno con aculei, come lance a difesa di un segreto interiore. Ancora una volta, superficie e viscera, estetica e trauma.
Nel 2023, la Fondazione Arnaldo Pomodoro e Fendi hanno prodotto insieme una grande esposizione a Palazzo della Civiltà Italiana, sede della maison a Roma. Il grande teatro delle civiltà non era una mostra antologica, ma un attraversamento scenografico della sua opera: dalle macchine mitologiche realizzate per Gibellina alle sculture astratte in dialogo con le rovine del mondo antico. Disegni, bozzetti, lettere, appunti: ogni documento raccontava il lavoro di un artista che ha trasformato la scultura in un teatro della memoria e della visione.
Oggi quell’opera, e quell’alleanza tra arte e moda, restano come una testimonianza: di quanto una forma possa ancora parlare, scavare, resistere.