
Fuorisalone, Alcova: meno produzione industriale, più attenzione ai materiali
Intervista ai fondatori di Alcova Valentina Ciuffi e Joseph Grima: Milano che cambia, l’eventificio del Fuorisalone e il design che «non deve più essere sinonimo di consumismo sfrenato»
Alcova, intervista ai fondatori Joseph Grima e Valentina Ciuffi – il design, il Fuorisalone e la sostenibilità
Durante il Fuorisalone non si può sfuggire a una riflessione sulla sostenibilità del design. «Fino alla fine del secolo scorso, anche per l’opinione pubblica, c’è sempre stata una sorta di equivalenza tra design, grandi numeri e grossa produzione industriale. C’era una fiducia nel potere del design di democratizzare della produzione, per migliorare la qualità di vita delle società», dice Joseph Grima, fondatore di Alcova insieme a Valentina Ciuffi. Le cose sono cambiate: «Quella che a lungo è stata una percezione positiva di questo aspetto è cambiata. Di fatto ha portato a una brusca accelerazione della dimensione consumistica, dello spreco, dello scarso riutilizzo degli oggetti. Solo più recentemente ci si è rivolti a un ritorno della dimensione artigianale, su piccola scala, anche grazie a nuovi macchinari che hanno reso possibili tecniche di produzione con numeri ridotti che prima lo erano solo in massa». Questo percorso «è andato di pari passo con un’attenzione maggiore verso la dimensione materiale delle cose, che è il senso stesso della sostenibilità. Meno produzione in termini di volumi, più concentrazione sul valore dell’oggetto e sul suo potere espressivo e narrativo».
Alcova si inserisce in questa evoluzione, come emerge dagli espositori selezionati per questo Fuorisalone – in programma fino al 13 aprile – nei quattro luoghi che la ospitano a Varedo, in Brianza: Villa Borsani, Villa Bagatti Valsecchi, le serre di Pasino e l’ex fabbrica SNIA. «Ci siamo sempre occupati di ricerca, dando spazio a progetti che investigano su come si sta sviluppando l’evoluzione della materia. Il 70 per cento di quello che è esposto si lega in qualche modo a questa grande tematica che chiamiamo sostenibilità, che sia dal punto di vista tecnologico oppure per l’idea di un ritorno all’artigianato», dice Valentina Ciuffi.
Qualche esempio: «Alle serre di Pasino c’è un’opera di Marcin Rusak – Ghost Orchid – con sculture che sono fatte tutte di plastica biodegradabile, sviluppata insieme al Łukasiewicz Institute, in Polonia, in stampa 3D. Il concetto alla base è che questo materiale, come se fosse un vero fiore, nel tempo potrebbe tornare alla terra e sciogliersi. Alla fabbrica SNIA c’è Habitare Materials, fiera sui materiali che punta molto sull’innovazione sostenibile. Il marmo di Soft Horizons di Objects of Common Interest, alle serre di Pasino, è tutto fatto di scarti». Il ciclo di incontri pubblici che si tengono a Villa Bagatti Valsecchi, organizzati dalla Design Academy Eindhoven, di cui Grima è direttore creativo, ruota intorno a una domanda: ‘Are We Going in Circles’? Dai materiali ai modelli di mercato, stiamo girando a vuoto?
Alcova e il Fuorisalone di Milano, dal laboratorio dei panettoni Cova a Varedo
Piattaforma itinerante – non sta mai più di due anni nello stesso luogo – che unisce designer, aziende, istituzioni e ricercatori, Alcova si interroga sul futuro del design e dell’abitare, entrando dentro siti dimenticati o ormai inagibili. Posti di cui la natura si è riappropriata. «Cerchiamo di presentare la traccia del dialogo tra uomo e natura che l’abbandono porta con sé», spiega Joseph Grima. Tutto inizia nel 2018 con l’ex laboratorio dei panettoni Giovanni Cova, a due passi da viale Monza, a cui nel 2019 si aggiunge la fabbrica tessile di via Sassetti in Isola. Dopo lo stop per la pandemia, nel 2021 e nel 2022 è il turno dell’ex ospedale militare nel quartiere di Inganni.
Nel 2023 tocca all’ex macello di viale Molise. L’anno scorso il passaggio a Varedo, piccola cittadina brianzola con meno di 14mila abitanti, con Villa Borsani e Villa Bagatti Valsecchi. La prima fu progettata da Osvaldo Borsani, fondatore della Tecno: si può dire che tra le sue mura si è fatta la storia del design italiano. La seconda, un tempo abitazione dell’omonima casata nobiliare, è uno dei principali esempi di villa settecentesca lombard. Poi ha raddoppiato, aggiungendo alle due residenze storiche l’ex fabbrica SNIA, dove si producevano fibre sintetiche, e le serre di Pasino.
Alcova Milano 2025: Villa Borsani, Villa Bagatti Valsecchi, l’ex fabbrica SNAI e le serre di Pasino
«Lungo l’asse di via Umberto I a Varedo c’è una densità inusuale di luoghi che raccontano momenti diversi della storia architettonica italiana. L’ex fabbrica sta proprio lì. Per la sua dimensione imponente e per la complessità della sua attivazione l’anno scorso avevamo scelto di portare l’attenzione altrove. Quest’anno siamo riusciti a includerla», dice Joseph Grima. Esempio di architettura razionalista del ventennio fascista, ha un impianto industriale tipico del periodo. «Di fatto era un impianto modulare, poteva essere esteso anche all’infinito. È diventato grande quanto tutta la città di Varedo, sono quasi 500 m². Le serre di Pasino, un tempo pertinenza di Villa Bagatti Valsecchi, sono un angolo ben più umile per dimensione – potremmo chiamarla architettura agricola – ma con un passato non meno affascinante. Si dice che per un periodo ospitò la più grande coltivazione di orchidee bianche d’Europa».
Nessuno, prima di Valentina Ciuffi e Joseph Grima, fondatori di Alcova, aveva mai scelto di rompere i confini geografici della città per il Fuorisalone. Quando hanno annunciato lo spostamento a Varedo, c’è chi ha alzato un sopracciglio per questa mossa. Perché staccarsi in modo così plateale dal tracciato dei design district? La scommessa ha però ripagato. Nel 2024 erano 90mila le persone che sono andate a Varedo solo per Alcova. Si prevede che quest’anno si arrivi a 100mila. La fascinazione di Alcova per gli edifici abbandonati ha incontrato il favore del pubblico, riaccendendo anche il dibattito sul carattere stesso della Design Week. Quanto è importante il contenitore rispetto al contenuto? Vale di più la riscoperta di luoghi dimenticati o l’espositore? La risposta di Alcova è pragmatica. Per gestire un flusso di visitatori robusto e non sempre attento agli oggetti, quest’anno l’accesso a Villa Borsani costa 25 euro ed è contingentato. Solo 70 persone alla volta, la capienza massima in termini di sicurezza. Così si viene incontro anche alle esigenze dell’espositore – al Fuorisalone si va per incontrare i buyers. Tutte le altre sedi restano gratuite.
Milano, Miami e il design
Nel 2023 e nel 2024 Alcova si è allargata anche all’Art Week di Miami, insieme a Milano tra le città considerate capitali del design contemporaneo. Grima: «A Miami però si parla di design come di una costola del mondo dell’arte e di Art Basel. C’è una grande differenza sia nelle opere che vengono presentate che nel modo in cui sono percepite. Se Milano è ancora la più grande manifestazione di design internazionale, Miami è più orientata al collectible design. Pur essendo un ambiente più ristretto e specifico, potenzialmente potrebbe essere più sperimentale. I volumi di visite sono molto inferiori rispetto a Milano, ma la qualità è molto alta. Permette di instaurare un dialogo molto più intenso con un’audience specifica».
Come è cambiata negli anni la Design Week
Anche la città di Milano e la Design Week non sono più le stesse di un tempo. Ciuffi ricorda i suoi primi Fuorisalone: «Si andava in Tortona e lì potevi trovare Maarten Baas che si era aperto insieme ad altri designer olandesi un garage espositivo. Poi Ventura Lambrate ha un po’ cambiato le carte in tavola, è scattata la dinamica degli affitti di interi quartieri». Il rischio era cadere nella trappola dell’eventificio, di un Salone accessibile solo ai grandi brand. Per Ciuffi si stava perdendo «la possibilità di fare squadra tra gruppi di persone giovani e indipendenti, come si faceva all’inizio». Anche questo ha portato alla nascita di Alcova, con cui in molti si presentano per la prima volta sul mercato. «Ci piace pensare che Alcova sia stata una delle forze che ha sancito un po’ un cambiamento dell’ecosistema milanese del Salone, dando visibilità a realtà più eterogenee e più rappresentative di quello che oggi è il design secondo questa nuova filosofia post-industria di massa», dice Grima.
Alcova è tornata a Milano con Vocla in viale Molise
In attesa di capire dove si sposterà il prossimo anno per il Fuorisalone, Alcova intanto è tornata anche a Milano per una manifestazione parallela alle esposizioni di Varedo. Il progetto si chiama Vocla – Alcova al contrario – ed è stato pensato per la notte: esposizione di designer emergenti, insieme a un bar e un ristorante. «La sera è l’unico momento in cui non si sovrappongono troppe situazioni. È anche l’unico momento in cui chi non è invitato a cene o a eventi chiusi rimane a spasso in una città dove non si riesce nemmeno a trovare un posto dove mangiare, perché è tutto prenotato. Abbiamo pensato a creare un luogo d’incontro per venire incontro a queste esigenze, anche per creare aggregazione tra i designer più giovani che possono incontrare persone per loro importanti sotto lo stesso tetto. Succede già al Bar Basso, è uno schema che funziona», spiega Ciuffi.
Vocla ha trovato spazio in viale Molise, al civico 70, quartiere Calvairate. Inizialmente doveva essere due numeri più in là, al 68, nella palazzina liberty di proprietà del Comune (ex Borsa delle Carni del Macello). Tra il 2012 e il 2021 è stata gestita dal collettivo Macao, che ha lasciato l’edificio dopo che nel suo immobile gemello si erano riversate centinaia di persone senza tetto, senza documenti, senza tutela pubblica. Il disagio è diventato un focolaio di violenza esacerbato dalla pandemia che non ha più permesso a Macao di abitare quel posto, dopo anni investiti nella tutela, anche sociale, di un quartiere abbandonato dal pubblico come Calvairate e nella promozione culturale. La fine di quell’esperienza è una ferita aperta per molti. Lo è anche di più se si pensa ai grandi progetti immobiliari che stanno interessando l’area di Porta Vittoria, lì di fianco. Ad Alcova sono arrivare accuse di gentrificazione e speculazione riqualificativa. Dopo la messa in sicurezza dell’edificio, si è deciso di spostare Vocla. Il dibattito sulla gestione degli spazi in città è però stato riaperto, con più forza di prima. Forse non ce lo si aspettava in questa misura, ma «andare a toccare punti della città dimenticati è anche il ruolo di Alcova», dice Grima.
Alcova
Valentina Ciuffi, bolognese, è tra i co-fondatori di Studio Vedèt, studio con sede a Milano che si occupa di curatela, direzione artistica e graphic design. Ha iniziato la sua carriera come giornalista, lavorando anche per Apartamento e Abitare.
Joseph Grima, nato in Francia ma britannico, è co-fondatore di Space Caviar, che si occupa di architettura e ricerca. Architetto e saggista, tra le altre cose ha diretto Domus e ha curato eventi internazionali come la Biennale di Istanbul del 2012. È stato direttore artistico di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 e di Universo Assisi (oltre che della candidatura di Assisi a Capitale Italiana della Cultura 2025). Dal 2017 è direttore creativo della Design Academy Eindhoven.