Alessio Pellicoro

I deserti industriali che ammalano il sud Italia: le immagini di Alessio Pellicoro da Taranto

Uno sguardo su Taranto e i suoi abitanti: il fotografo tarantino Alessio Pellicoro in Accepting the void mette in relazione le ferite del suo territorio e quelle del suo corpo, dopo la diagnosi di un linfoma di Hodgkin 

Taranto negli scatti di Alessio Pellicoro – in Accepting the Void racconta le ferite della terra e quelle del corpo umano

Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void

Lo sguardo al territorio costiero pugliese è clinico. Segnala le zone colpite dall’espansione industriale che occupa e “ammala” soprattutto i quartieri popolari ai margini della città storica. Distese di cemento, vegetazione arida, cumuli di rifiuti che non riescono ad essere smaltiti. Non si vedono persone, solo auto. 

Dietro questo deserto si cela il tasso di incidenza tumorale e di inquinamento più alto in Europa. Per citare alcuni dati: negli ultimi decenni si è raggiunto il 400% in più di casi di cancro tra i lavoratori impiegati nelle fonderie dell’ILVA di Taranto; il 50% di cancri in più anche tra gli impiegati dello stabilimento, che sono stati esposti solo in modo indiretto ; il 500% di cancri in più rispetto alla media della popolazione generale, della città di Taranto, non impiegata nello stabilimento. Il tasso di incidenza del cancro solo a Taranto è superiore alla media di tutte le altre città italiane.

In Accepting the Void (recentemente esposta alla Fondazione Sandretto di Torino), Alessio Pellicoro ha unito due suoi progetti fotografici: L’altro Deserto Rosso e Me, the Black Box. Entrambi condividono lo stesso approccio documentativo nel raccontare le ferite: quelle della della terra e quelle del corpo, non senza una valenza curativa. Dall’universale al particolare, dalle vicende che affliggono la collettività fino agli aspetti più intimi di un percorso personale legato alla malattia, le immagini si fondono per creare un paesaggio nuovo e sospeso, in cui l’intervento umano è predominante.

Alessio Pellicoro si rifà al film di Antonioni Deserto Rosso, 1964, ambientato a Rimini, per descrivere la sua Taranto oggi

Il primo progetto riprende il titolo del film di Antonioni, Deserto Rosso del 1964, i cui i personaggi sono alienati all’interno di atmosfere – città ridotte a deserti industriali. Questo grigiore che circonda i protagonisti si insinua anche nei loro stati d’animo, compromettendo la loro salute. 

Così come tante altre città italiane – Deserto Rosso è ambientato a Ravenna – anche Taranto era entrata a far parte del piano regolatore degli anni Sessanta che imponeva una forte espansione industriale e trasformazione delle aree marginali. Riforma che ha inevitabilmente lasciato tracce: acque inquinate a causa degli interventi artificiali sui corsi dei fiumi, interi impianti rimasti in stallo per motivi burocratici e giudiziari, in disuso o abbandonati, ettari di terreno da bonificare per le eccessive immissioni di sostanze e rifiuti ad alta tossicità.

«Quando, anni fa, mi avvicinai al territorio tarantino, il mio obiettivo era mettere in luce i segni di un lungo processo di annientamento che ha colpito questa terra per decenni. La similitudine con la condizione umana, anch’essa segnata da questa condanna, è emersa in modo naturale: leggere il paesaggio è stato come immergersi in un luogo che non rappresentava la causa, ma il sintomo di ciò che accadeva dentro i suoi abitanti. Guardando poi dentro di me, ho trovato conferma di questa intuizione».

Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void

Quali sono i dati sull’inquinamento a Taranto oggi?

I dati dell’ARPA Puglia (l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente) elaborati da Omniscope hanno rilevato che nel 2023 sono stati raggiunti risultati peggiori degli anni precedenti: nella centralina di Tamburi (uno dei quartieri fotografati da Pellicoro) è stato segnalato un aumento del 14,9% di emissioni di benzene e del 22,09% di pm10 (polveri sottili), superando i limiti di legge.

Questi incrementi avvengono in un momento di attività minima e il governo continua a programmare investimenti sull’impianto dell’ILVA, dal momento che finora hanno scampato le varie possibilità di chiusura.

A giugno 2024 è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con una sentenza che imponeva, in caso di pericoli gravi per l’ambiente e la salute umana, la sospensione dell’esercizio dell’ILVA.

A oggi lo stabilimento continua a produrre sostanze nocive, anche oscurando e alterando i fattori di emissione e i livelli di attività. E nel frattempo gli abitanti pugliesi continuano a pagare in termini di impatto sanitario ambientale e climatico.

Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void

Alessio Pellicoro interpreta il corpo umano come scatole nere: il racconto della sua malattia

Anche la storia personale del fotografo ha incrociato un percorso di malattia, scoperta improvvisamente e che lo ha reso ancora più connesso con le ferite del paesaggio.

«Legare L’altro Deserto Rosso e Me, the black box è stato un tentativo di connessione tra i luoghi di conflitto esterni (la realtà cruda del territorio tarantino) e quelli interni (del corpo), confrontando la lotta collettiva contro l’inquinamento e la mia personale lotta per la vita. La risultante di questa fusione non è che una decodifica visiva, mediante due approcci molto differenti, di come la salute ambientale e quella umana siano strettamente connesse, mostrando l’uomo come un paesaggio compromesso».

Me, the black box documenta la diagnosi di un linfoma di Hodgkin e la successiva analisi su come l’immagine fotografica sia un mezzo vitale per la rappresentazione del corpo umano, mettendo a disposizioni visioni che altrimenti rimarrebbero nascoste. La malattia del fotografo, insieme ad altre di tipo ematologico sono causate dalla continua esposizione a sostanze chimiche di origine industriale rilasciate nell’atmosfera. Quindi è strettamente collegata con le sue origini.

«Ognuno di noi ha una predisposizione genetica ad ammalarsi e soffrire di particolari patologie, ma servono degli agenti esterni scatenati che le innescano. Quindi sì, l’inquinamento dei miei luoghi, essendo uno di questi, è certamente legato alla mia malattia».

Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void

Alessio Pellicoro in dialogo con l’invisibile 

La serie realizzata per Torino, Accepting the Void, alterna immagini prodotte dal fotografo che, con un approccio quasi medico, evidenzia le ferite del terreno ad immagini del fotografo stesso prodotte dai sistemi medici attraverso l’intelligenza artificiale. Queste ultime sono immagini virtuali che Pellicoro interpretata, come spiega, con una certa curiosità immaginifica. Sono virtuali perché immaginano quello che c’è nel nostro corpo, che appunto diventa una scatola nera capace di produrre anomalie, incongruenze, masse, traducibili e diagnosticabili attraverso algoritmi biologici.

Alessio Pellicoro definisce la sua ricerca «un continuo dialogo tra ciò che vedo e ciò che sembra restare invisibile» qualcosa che si ripropone nel contesto della malattia, in cui il suo corpo è come se diventasse una sonda all’interno di una realtà nuova ed inesplorata «così per la prima volta ho deciso di assumere il ruolo di fruitore di immagini, che nonostante non fossero da me prodotte, necessitavano di me per far sì che esistessero».

Rifacendosi alle teorie del filosofo V. Flusser, Pellicoro considera se stesso l’input che viene elaborato da una serie infinita di algoritmi che costituiscono il metabolismo di scatole nere necessarie per la diagnostica, e di cui non è chiaro l’effettivo funzionamento. Approcciando da sempre alla fotografia come mezzo terapeutico, questo sistema di elaborazione ha sbloccato un nuovo livello, ancora più profondo, dell’immagine, che assume il ruolo di cura. Accepting the Void mostra manipolazioni di immagini estratte da nuvole di punti, sequenze, algoritmi, modelli 3D che gli esami traducevano attraverso le intelligenze artificiali: «sono riuscito a osservarli, comportandomi come il voyeur di me stesso e quindi di questo feticcio digitale sospeso nel nulla cosmico virtuale».

Questo vuoto che menziona anche il titolo della mostra rappresenta l’invisibile al quale il fotografo è riuscito ad avere accesso. Ricollegando tutti i punti del suo corpo, del suo universo e del territorio da cui proviene.

Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void

Alessio Pellicoro già in connessione con il paesaggio: Abisso  

La connessione tra ambiente esterno e corpo interno è una tematica già sperimentata dal fotografo italiano con un precedente progetto, Abisso (2019-20). Di nuovo racconta i paesaggi del sud, di confine, in questo caso del litorale salentino, dove ha trascorso la sua adolescenza e che conosceva solo attraverso i ricordi nostalgici. Ha deciso quindi di attraversarli nuovamente nelle ore notturne, scoprendo come il paesaggio in realtà si riveli sotto una nuova luce e identità.

«Immergermi nella più totale solitudine ed assenza di luce ha fatto emergere una parte della loro essenza, e forse anche della mia, cui non ero mai stato capace di cogliere sino ad allora, scoprendo paesaggi che sembravano ancora inesplorati. Come se la luce del sole proteggesse la vera natura di un luogo che ha bisogno invece di nascondersi per riuscire ad esprimersi, capace quindi di brillare soltanto nell’intima oscurità».

Questa nuova esplorazione dei luoghi andava di pari passo con una nuova esplorazione dello stato umano personale, come se il fotografo riuscisse a comprendersi solo attraverso i luoghi verso cui sentiva un certo senso si appartenenza, seppur oscuri. Abisso è diventato una pubblicazione nel 2020 edita da Dito Publishing.

Claudia Bigongiari

Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void
Alessio Pellicoro, Accepting the Void