Brave New World

Bacci Moriniello utilizzano l’intelligenza artificiale per generare immagini che mettono in dubbio la realtà della visione – Brave New World è un manifesto contro omologazione estetica

Bacci-Moriniello si interrogano: Cosa stiamo osservando?

Interrogarsi oggi sul valore dell’immagine, la cui origine non può più essere identificata, forse perché non più necessaria, apre un terreno assai scivoloso. La tecnologia ha invaso quasi tutti gli aspetti del nostro quotidiano, influenzando e modificando la nostra percezione del tempo e dello spazio, la produzione e fruizione della cultura, il nostro essere sociale. «Se da una parte la tecnologia democratizza la creazione di immagini, dall’altra ne incentiva anche la sua falsificazione». Qual è dunque il significato del linguaggio fotografico? Cosa stiamo osservando?

L’impatto della tecnologia sulla comunicazione (visiva)

Queste sono alcune delle riflessioni che il duo artistico Bacci-Moriniello – Lorenzo Bacci (1989) e Flavio Moriniello (1986) – affrontano durante la loro ricerca, esaminando la relazione tra identità umana e tecnologie digitali, spesso ancora in fase embrionale e non introdotte sul mercato. E come queste impattino sulla società e sulla comunicazione (soprattutto visiva). Dal 2018 affrontano un percorso multidisciplinare dove non esiste più l’immagine rappresentazione della realtà, ma una dimensione aperta ed ibrida, traduzione di un nuovo contesto socio-tecnologico. É indubbiò che con l’avanzare della tecnologia (il digitale, l’uso dei social media, l’evoluzione degli smartphones e la nostra dipendenza da essi) sia aumentata spasmodicamente la produzione visiva, resa quindi più accessibile e democratica, non più esclusiva dei suoi professionisti.

«La tecnologia ha aperto nuove possibilità, rendendo l’atto di produrre immagini un gesto accessibile a chiunque, in qualsiasi momento. Questo processo di democratizzazione ha sicuramente permesso di ampliare il panorama visivo, ma ha anche portato ad una saturazione di contenuti, per non parlare dei dati e delle infrastrutture per contenerli. L’abbondanza visiva rischia di far perdere il valore simbolico e concettuale che un’immagine può veicolare, generando un’estrema omologazione».

I know, we should have talked about it before, Conversation #05, Ex Albergo Diurno, Modena
I know, we should have talked about it before, Conversation #05, Ex Albergo Diurno, Modena

Tecnologia oggi tra omologazione e innovazione

Le immagini sono diventate alla portata di tutti, tutti le fruiscono e tutti le producono con una velocità e facilità disarmante entrando in un loop di visioni e significati intercambiabili, dove non si comunica e non si riflette, ma soprattutto si accumula. Un esperimento artistico che riflette proprio sulla iper produzione di immagini era stato già fatto con il progetto Da G. Debord del 2018, in cui i due artisti italiani hanno costruito paesaggi fatti di immagini recuperate tramite gli hashtag di Instagram (scaricando 10.000 immagini al giorno) e divise per categorie, qualcosa che ricorda gli archivi di immagini fisicamente raccolte in giro dall’artista tedesco Joachim Schmid (1955). Se da un lato la presenza quotidiana della tecnologia ha provocato un appiattimento socio culturale, chiamiamola omologazione, estetica collettiva; dall’altro è palese come abbia permesso di accedere a visioni altrimenti sconosciute. L’uso di nuovi algoritmi, intelligenze artificiali, realtà aumentate ridefiniscono il concetto stesso di immagine. Non c’è più bisogno di rincorrere quell’aspirazione di realismo e veridicità di cui l’immagine è stata fatta responsabile.

«Nella storia della rappresentazione visiva la ricerca del realismo ha sempre trainato l’evoluzione di un medium, partendo dalle pitture rupestri, passando per la pittura tradizionale, coinvolgendo la fotografia fino ad arrivare all’intelligenza artificiale. Ogni progresso tecnologico ha liberato il mezzo precedente dalla sua funzione primaria permettendo nuove forme di creatività e sperimentazione. In definitiva, il vero limite non risiede nello strumento ma nelle scelte che facciamo, ovvero su come utilizzarlo».

Brave New World, Installation view, Edicola Radetzky, #01, Milan, 2023
Brave New World, Installation view, Edicola Radetzky, #01, Milan, 2023

Bacci-Moriniello, la sfiducia nel documento e l’uso delle AI

I due artisti spiegano come anche il concetto di documento sia stato compromesso dall’uso della tecnologia, proprio per la sua capacità di influenzare la percezione del tempo e della memoria. Il documento fa parte di una solidità percettiva a cui affidiamo il nostro passato. Joan Fontcuberta diceva che siamo abituati a credere alle cose perché le vediamo in fotografia, così come anche dobbiamo dubitare tutto quello che ci circonda (presente, passato e tantomeno futuro).

«Gli algoritmi plasmano il modo in cui percepiamo il passato e prevediamo il futuro, e questo influenza profondamente la nostra consapevolezza del presente. Questi sono alcuni temi che vengono affrontati nel lavoro Brave New World (2023)».

L’uso dell’intelligenza artificiale ha da diverso tempo caratterizzato la pratica del duo artistico, interessato soprattutto alle sue ripercussioni individuali e sociali. Nelle prime sperimentazioni che hanno coinvolto i progetti precedenti – Da G. Debord (2018), Automatic for the people (2021) e The Revolution will not be going live (2022) – gli algoritmi non erano generativi ma utilizzati come riconoscitori di schemi e di categorie (image recognition). Gli algoritmi generativi sono stati poi la diretta conseguenza dei processi di riconoscimento ed imitazione, mescolando i risultati e producendo variabili sempre diverse.

Brave New World, Installation view #05, Yoga AI, MEET, Milan, 2024 (photo by Valeria Mottaran)
Brave New World, Installation view #05, Yoga AI, MEET, Milan, 2024 (photo by Valeria Mottaran)

Brave New World

Il progetto del 2023 Brave New World rappresenta una riflessione sull’inaffidabilità della documentazione da cui siamo circondati: le immagini fotorealistiche sono morte, e l’alternativa è diventata quella di creare memorie e documenti nuovi. Si presenta come un racconto della cultura rave, emersa alla fine degli anni ‘80 e negli ultimi anni soppressa (o quasi) delle limitazioni imposte dal decreto legge del 2022. Tutto viene costruito su un’alternanza di ossimori che rendono la narrazione distopica e fuorviante. Il supporto fisico scelto per rendere visibile questa documentazione artificiale sono le immagini istantanee che, se da un lato provoca quella discussione riguardo un’estetica omologata e ripetitiva, che imita e filtra continuamente tutta l’atmosfera analogica; dall’altro lascia sempre quella piacevole sensazione di supporto familiare e fedele, ricordo istantaneo. Quindi usare questo medium così rassicurante ci rende certi di ciò che vediamo? E al contrario, il fatto che le immagini stampate su polaroids siano generate da intelligenza artificiale, le rende per forza dei falsi? Il dibattito intorno ad un mondo visivo sospeso tra realtà e finzione è un altro aspetto molto presente nella ricerca artistica dei fotografi.

«Imprimere un’immagine generata artificialmente su un supporto così affidabile ci è sembrato un modo efficace per incentivare un approccio critico al visibile e a ciò che viene osservato. Questo contrasto invita lo spettatore a mettere in dubbio l’oggetto della visione, nonostante la verosimiglianza del soggetto rappresentato e l’apparente autenticità del supporto utilizzato».

I know, we should have talked about it before, Film still, #01, 2024
I know, we should have talked about it before, Film still, #01, 2024

La cultura rave rinchiusa in polaroids artificiali

Inoltre queste immagini in cui giovani ballano, si riuniscono e si sentono liberi vengono rinchiuse all’interno dello spazio ridotto dell’edicola Redetzky in centro a Milano, non propriamente uno spazio espositivo. Sono messe in diretto contatto con la città e la strada, scoperte al pubblico, quando in realtà la cultura rave si è sempre consumata in spazi isolati, lontani dall’ambiente urbano. La cultura rave è infatti sinonimo di anticonformismo e controcultura, mette in discussione il mito di una società perfetta e soffocata nell’omologazione, per questo non sopravvive. E infatti da qualche anno, con l’uscita del “decreto anti-rave”, viene considerato reato organizzare e partecipare ad un raduno (di più di 50 persone) che comprende l’occupazione abusiva di terreni pubblici e privati, provocando situazioni di pericolo per l’ordine, l’incolumità e la salute pubblica.

Queste feste sono sempre state sinonimo di autogestione di spazio, tempo e divertimento, con un’alta tolleranza all’uso di droghe e nessun limite o regolamentazione. L’unica analogia che si ritrova è quella tra la creazione artificiale di immagini e la musica elettronica che si ascolta durante i rave: in entrambi i casi si produce qualcosa di nuovo a partire dalla rielaborazione e campionamento. Attraverso questo aspetto i due artisti vogliono analizzare come oggi sia completamente inutile parlare di individualismo creativo, genio, infuso in una persona specifica dalla tecnologia di cui siamo messi a disposizione. Questo inno alla collettività che grida la cultura rave è una delle poche cose su cui possiamo fare affidamento.

«La storia dell’umanità è costruita attraverso il lavoro collettivo, le influenze reciproche e le ibridazioni. La creatività è sempre il risultato di interazioni e scambi, non un atto isolato di un singolo».

Brave New World, Untitled #21, 2023
Brave New World, Untitled #21, 2023

La creazione di un documento che non c’è

Questo lavoro mette a disposizione il reportage di un evento reso sempre più difficile da esperire e vedere, che è la nuova espressione delle immagini contemporanee, mostrare quello che altrimenti non esisterebbe. Brave New World mostra visioni generate dall’intelligenza artificiale, una conoscenza collettiva alla quale ci affidiamo come se fosse la chiave-sintesi che interpreta il mondo che attraversiamo. Tutto infatti, spiegano Lorenzo e Flavio, rientra in una categoria precisa e riconoscibile facilmente identificabile e riutilizzabile. Nella loro scelta di rappresentare questa cultura hanno cercato di inserire, all’interno delle oltre 200 immagini generate, un’estetica coerente senza però cadere troppo nello stereotipo.

Lo scopo non era quello di ingannare nessuno, tanto che sono stati volontariamente lasciati alcuni errori tipici della produzione dell’intelligenza artificiale: «in tre immagini appare un astronauta a cavallo al centro di una folla che balla, reso in modo realistico da raggi laser di vari colori. Questo elemento è stato inserito perché è stato a lungo un benchmark per i modelli generativi di immagini. Un altro esempio è la forte presenza delle mani, un noto punto critico per le AI, così come la rappresentazione del linguaggio scritto, un’innovazione recente nell’evoluzione della tecnologia».

Bacci-Moriniello e il rapporto col pubblico

La cosa sconvolgente è che nel mostrare le immagini al pubblico, pochissimi si sono accorti di guardare delle finzioni e anzi molti hanno dichiarato di riconoscere le persone ritratte nelle foto. La parte di esposizione e rapporto con gli spettatori avvenuta all’interno dell’edicola milanese diventa quindi elemento performativo del lavoro di Bacci e Moriniello. Un’analisi su come la ricerca di affidabilità e fiducia sia sempre presente oggi, in una società fatta di verità liquide e riadattabili.

«Si pone come una sorta di esperimento sociale che invita a riflettere sulla tecnologia a nostra disposizione e sulle conseguenze del suo utilizzo. Dimostra come una storia ben narrata venga spesso accettata come vera, anche se, osservandola con attenzione, emergono indizi che ne rivelano la falsità».

I know, we should have talked about it before, Soma, Mesh structure, #02, 2024
I know, we should have talked about it before, Soma, Mesh structure, #02, 2024

Il percorso artistico di Bacci Morinello

Lorenzo Bacci (1989) e Flavio Moriniello (1986) hanno entrambi conseguito il Master in Fotografia e Visual Design presso la NABA di Milano. Moriniello è dottorando di ricerca in IA all’UPV di Valencia, Bacci consegue un master in Culture della Comunicazione all’Università di Milano. La loro ricerca prevede un approccio multidisciplinare ed esamina l’intricato rapporto tra uomo e tecnologia. I loro lavori sono presenti in collezioni pubbliche e private, come il MUFOCO (Milano) e il Centre Claude Cahun pour la photographie contemporaine (Nantes). L’ultimo progetto I know, we should have talked about it before è stato da poco esposto durante il Festival Filosofia di Modena (13-15 Settembre), una performance in cui l’utente attiva ulteriormente la sua interazione e dialogo con un mondo virtuale interamente costruito.

Claudia Bigongiari