
Bugonia: il film di Yorgos Lanthimos smaschera la retorica sostenibile
Il rapimento di una CEO (Emma Stone) diventa critica del presente: il film di Yorgos Lanthimos Bugonia è una satira nera che mette sotto torchio le “parole green” e chiede numeri verificabili su tagli e impatti
Bugonia di Yorgos Lanthimos: il film con Emma Stone che smonta il linguaggio della sostenibilità
Assieme a un complice, un apicoltore ossessionato dalle teorie del complotto rapisce la CEO di una azienda. Crede sia un alieno intenzionato a distruggere il pianeta. La rinchiude in uno scantinato, la filma, la incalza, la costringe a parlare senza il classico fondale da sala riunioni. Azione grottesca, obiettivo lucido: mettere a nudo il linguaggio della sostenibilità quando diventa scudo.
Bugonia di Yorgos Lanthimos non discute l’urgenza climatica: la dà per acquisita e sposta il fuoco sulla credibilità di chi la racconta. È un film che fa cronaca più che morale, perché misura quanto reggono parole già levigate dall’uso – net zero, carbon neutral, rigenerazione – quando mancano prove e contabilità.
Il mito della Bugonia e la rinascita come sacrificio: la trama di Bugonia con Emma Stone e Jesse Plemons
Nelle tradizioni antiche e nella quarta delle Georgiche, Virgilio parla di Bugonia: la credenza secondo cui da una carcassa bovina possono generarsi nuove api. Una rinascita che presuppone un sacrificio. Rigenerare uccidendo. Lanthimos si serve di questa immagine per chiedere dove, oggi, nascondiamo la carcassa.
Quante “rigenerazioni” aziendali promettono vita nuova spostando i costi su habitat, specie e lavoro? La metafora è semplice e cruda: si mostra l’ape, si rimuove il bue. Il film tiene quel corpo fuori campo ma lo fa sentire: nello spazio, nei gesti, nel disagio – perché è lì che paghiamo il prezzo della storia rassicurante che ci raccontiamo.

Linguaggio green e controllo delle parole: la sostenibilità sotto processo in Bugonia
Il cuore del film è un controllo qualità sulle parole. Circolare non significa annunciare riusi futuri; significa tracciare flussi, perdite, scarti, e collegare in modo verificabile l’inizio con la fine. Chiamiamola neutralità solo se i dati di partenza sono pubblici, i tagli sono assoluti e le compensazioni hanno un limite preciso.
“Rigenerazione” vale se implica rinuncia, non cosmetica: meno consumo a monte, meno scarti a valle. Bugonia fa quello che spesso non fa la comunicazione: riportare il discorso a una grammatica operativa con dati, tappe, budget, responsabilità.

La scena della rasatura: purificazione apparente e critica al greenwashing secondo Lanthimos
C’è una scena-soglia che condensa il metodo del film: la rasatura della CEO (interpretata da Emma Stone). È un gesto netto, quasi liturgico, che rovescia l’idea di purificazione. Togliere i capelli non toglie il danno. L’immagine può cambiare in un pomeriggio; una filiera cambia in anni, tra protocolli energetici, contratti di fornitura, attriti e costi.
La sequenza è disturbante perché smaschera la scorciatoia estetica: quando la “conversione” diventa spettacolo, la responsabilità resta intatta. Il film lo ricorda senza proclami, con un taglio che pare chirurgico proprio perché non spiega. Mostra.
Lo scantinato di Bugonia: materia, manutenzione e impatto ambientale reale
Lo scantinato del rapimento ha odore di plastica e polvere. Neon che tremano, corde, nastro, scritte a pennarello, oggetti riparati. È l’opposto del vetro satinato degli headquarter. Questa frizione visiva non è un vezzo: è un metodo per riportare la sostenibilità nel suo luogo naturale, quello della materia.
La realtà dell’impatto sta nell’energia consumata, nell’acqua prelevata, nel rifiuto prodotto, nel suolo impermeabilizzato. È ruvido ciò che costringe a vedere la manutenzione là dove il marketing preferisce una vetrina patinata. È il film a ricordare che la credibilità nasce dall’attrito, non dall’effetto.

Api, biodiversità e industria: cosa racconta Bugonia di Yorgos Lanthimos oltre la metafora
Le api, fuori dallo schermo, sono diventate un’icona perfetta: gentile, comunicabile, seducente. È anche uno schermo facile. Il film suggerisce di cambiare livello: meno santini, più indicatori. Continuità degli habitat, pressione dei pesticidi, qualità dell’acqua, consumo di suolo, corridoi ecologici, cicli di fioritura, mortalità degli impollinatori.
Senza questa grammatica minima, “biodiversità” resta una parola da conferenza; con gli indicatori diventa politica industriale e si traduce in scelte misurabili, verificabili; conflittuali quando serve.

Governance e fiducia: come Bugonia svela il potere dietro la sostenibilità aziendale
La promessa di “salvezza” funziona finché resta generica. Bugonia riporta tutto a volti e territori. Comunità non è un sostantivo tenero: è un insieme di costi e benefici distribuiti. È dignità e diversità che non si esauriscono nel linguaggio inclusivo, ma chiedono che a valle della catena non si calpestino diritti e salute. È fragilità umana presa sul serio: non spettacolarizzata, non monetizzata. La satira diventa cronaca quando ci obbliga a chiedere dove vanno a finire, nel tempo, gli effetti delle nostre scelte “rigenerative”.
Il punto non è la psicologia della dirigente, ma la struttura che la sostiene. Chi decide il ritmo delle riduzioni? Chi assegna budget pluriennali? Chi lega i bonus di vertice a risultati ambientali verificati? Chi accetta sanzioni quando i target saltano? La sostenibilità non è un reparto, è un tavolo di comando. Senza una governance che metta la misura al centro – limite, manutenzione, tempo lungo – il racconto resta ornamentale. L’impegno umano, qui, si misura con la rinuncia: una porzione di margine ceduta in cambio di una porzione di credibilità.

Trasparenza e complotto: fiducia come infrastruttura amministrativa
Le teorie del complotto non nascono nel vuoto: proliferano dove la realtà non è leggibile. Quando i dati scarseggiano, le timeline slittano, i grafici si addolciscono, la sfiducia riempie il campo. Il rapitore è inquietante perché insiste su quel vuoto: trasforma il sospetto in metodo.
La risposta non è ridicolizzare chi dubita, ma togliere ossigeno al dubbio con report chiari, audit indipendenti, calendari rispettati, responsabilità con nome e cognome. La fiducia, pare dirci Lanthimos, non è un’emozione: è un’infrastruttura amministrativa.
Dal film coreano al remake: Bugonia e l’eredità di Save the Green Planet!
Rispetto al film coreano del 2003 da cui Bugonia prende le mosse (Save the Green Planet!, diretto da Jang Joon-hwan), l’iperbole resta ma il baricentro cambia. Dalla paranoia domestica si passa a una satira della governance.
Meno shock narrativo, più controllo dei processi; meno psicologia, più sistemi. È un cambio di scala coerente con l’epoca: oggi la transizione ecologica non è un tema di costume, ma una voce di bilancio. Per questo la satira smette divertire i panni della morale e sceglie quelli della verifica, con un’ironia che non fa sconti.

Falsa circolarità: quando l’economia verde diventa maquillage
Il sogno dell’economia circolare è potente. Diventa trappola quando resta intatto il modello di crescita e si abbellisce la gestione dello scarto. Riciclare tutto è una favola comoda; ridurre a monte è fatica, conflitto, tempo. “Rigenerare” è un verbo nobile se include la scelta del limite: meno volume, meno obsolescenza programmata, meno packaging, meno chilometri inutili. Altrimenti la narrazione torna sempre all’ape, e il bue scompare ogni volta.
Foreste, acqua e suolo: il fuori campo ambientale di Bugonia L’artigianato della scena: etica del fare nel cinema di Lanthimos
La parola “compensazione” scivola rapida, soprattutto quando promette foreste a distanza. La realtà è più testarda: un bosco cresce o brucia, cambia proprietario, viene contato due volte, perde nel tempo l’assorbimento promesso. L’acqua è sottratta qui per essere restituita altrove, il suolo viene reso impermeabile per anni. Il film non elenca casi eclatanti: indica solo l’esistenza del fuori campo, una geografia dell’impatto che coincide troppo spesso con periferie sociali e geografiche.
Sotto la satira scorre un’idea sobria di bellezza: quella della riparazione. Non l’oggetto nuovo scintillante, ma quello tenuto in vita; non il digitale che cancella, ma la manualità che rende visibile il tempo. Trucco, protesi, oggetti costruiti e non simulati: tutto parla la lingua del lavoro concreto. È un’estetica che ha memoria e non teme il grezzo; una forma che non copre, ma scopre; un invito a considerare la manutenzione come valore culturale, prima che tecnico.

Emma Stone e Jesse Plemons: potere, linguaggio e silenzi
La CEO in Louboutin interpretata da Emma Stone comunica anche nel silenzio: ogni pausa sembra un comunicato che non parte. L’uomo che la tiene prigioniera, incarnato da Jesse Plemons, non è un mostro puro: è una lente rovesciata che chiede conto in modo elementare e per questo minaccioso.
Il loro confronto illumina due modi di esercitare potere: uno per linguaggio, l’altro per insistenza. La regia evita il manierismo e lavora di sottrazione; la fotografia non trucca, il montaggio taglia secco, la musica incide senza sovrascrivere. Così si affronta un tema saturo: togliere, non aggiungere.
Dopo i titoli di coda: Bugonia come lente sulla comunicazione green
Finita la proiezione, Bugonia resta utile se diventa lente. Alla prossima presentazione “green” di un marchio, alla prossima partnership culturale, alla prossima conferenza su “transizione”, conviene tornare a poche domande di base, poste in modo discorsivo e con calma. Qual è la misura di partenza? Quali tagli in valore assoluto avete ottenuto e dove? Quanto della vostra impronta sta nella filiera e come la misurate? Quanta compensazione utilizzate, con quali criteri di qualità e per quanto tempo è garantita? Quale budget reale avete allocato per ridurre a monte e quali responsabilità scattano se non rispettate il calendario? Non sono tecnicismi: sono diritti minimi di lettura del presente.

Misura, manutenzione e tempo: tre parole per un’etica concreta
C’è una bussola semplice che il film suggerisce senza didascalie: misura come scelta di limite, manutenzione come cultura dell’esistente, tempo come orizzonte che non coincide con la campagna di comunicazione. Sono parole piane, quasi austere, ma sono le uniche capaci di restituire credibilità a un discorso logoro. Nella stanza dove la retorica evapora, restano queste tre: contare, riparare, attendere. È lì che l’impegno umano perde l’enfasi e acquista forma.
Bugonia
Bugonia è il remake di Save the Green Planet! firmato da Yorgos Lanthimos, con Emma Stone e Jesse Plemons; presentato in Concorso alla 82ª Mostra di Venezia il 28 agosto 2025, il film arriva nei cinema italiani giovedì 23 ottobre (durata 120 minuti).
Federico Jonathan Cusin

