Cross Cultural Chairs||||||||||||||

Cross Cultural Chairs: la sedia come forma di identità e appartenenza nel mondo

Il progetto di Matteo Guarnaccia mette in discussione la standardizzazione globale del design della sedia: posture, materiali e pratiche condivise tra artigiani, designer e comunità locali

L’oggetto sedia come documento culturale

Cross Cultural Chairs nasce come un’indagine sul campo. Otto mesi di viaggio, otto dei paesi più popolati al mondo, un oggetto comune: la sedia. Matteo Guarnaccia, designer siciliano, ha costruito un percorso comparativo basato sull’osservazione partecipante e sulla collaborazione diretta con artigiani, studi di design e comunità locali. Il punto di partenza non è la forma, ma la funzione culturale. La sedia non è mai considerata come oggetto neutro: riflette modelli sociali, gerarchie, spiritualità.

«L’esperienza diretta mi ha permesso di sviluppare una metodologia comparativa basata sull’interazione con le comunità. L’immersione ha evidenziato posture, rituali e significati legati al sedersi che variano profondamente tra le culture», afferma Guarnaccia. In alcune aree, la sedia è assente dalle abitazioni, sostituita da stuoie o superfici di appoggio più basse. In altre, costituisce un simbolo di modernità o un residuo di imposizione coloniale.

Posture, identità, codici visivi: ogni sedia progettata nel corso del viaggio diventa un ritratto antropologico

Ogni sedia progettata nel corso del viaggio diventa un ritratto antropologico. Non una stilizzazione, ma un dispositivo narrativo che restituisce la complessità del quotidiano. «Per evitare semplificazioni ho lavorato con artigiani, designer e studenti locali. Ho cercato di cogliere dettagli minimi che raccontano molto: posture, materiali, forme ricorrenti».

La selezione di ogni elemento – dai materiali alle tecniche costruttive – è stata guidata esclusivamente dal contesto. L’approccio si fonda sulla prossimità, non sulla mediazione teorica. In questo modo, ogni oggetto restituisce le logiche, le risorse e le abitudini del contesto in cui è stato realizzato. «La progettazione ha seguito le condizioni del contesto: ogni sedia nasce da ciò che si trovava, si viveva e si praticava in quel territorio, senza distorsioni né astrazioni». Dalla tatami giapponese alle sedute modulari brasiliane, ogni prototipo si radica nel territorio e ne restituisce le tensioni simboliche.

L’oggetto come dispositivo di traduzione: ogni elemento – altezza, inclinazione, gambe – riflette dei codici

La sedia, nella sua apparente semplicità, diventa uno strumento di mediazione tra codici diversi. Non rappresenta, ma traduce. Ogni elemento – altezza della seduta, inclinazione dello schienale, presenza o assenza di gambe – riflette codici che emergono da pratiche locali e da contesti sociali definiti, mai generalizzabili.

In questo senso, Cross Cultural Chairs lavora per sottrazione: non impone una forma, ma lascia che siano le condizioni ambientali, le consuetudini locali e le risorse disponibili a determinare l’esito finale. La sedia assume così un doppio ruolo: oggetto concreto e interfaccia interpretativa, capace di restituire visivamente pratiche collettive che difficilmente potrebbero essere espresse attraverso altri linguaggi.

Collaborare per progettare, progettare per tradurre. Studio Jose de la O, SP+Architects, Benwu Studio, NM Bello Studio, Mikiya Kobayashi, Brunno Jahara Studio

Il cuore del progetto è la collaborazione. Non uno scambio tra pari, ma un confronto costruito sul fare. «C’è stato un dialogo pratico. Le tecniche tradizionali venivano applicate in tempo reale a nuove idee. Questo ha reso possibile creare oggetti autentici ma anche attuali».

In ciascun paese visitato, Guarnaccia ha attivato una rete di cooperazioni che ha incluso musei, gallerie, studi indipendenti e fotografi. La costruzione dell’oggetto è sempre avvenuta a più mani, in una forma di progettazione situata. Tra i nomi coinvolti figurano Studio Jose de la O, SP+Architects, Benwu Studio, NM Bello Studio, Mikiya Kobayashi, Brunno Jahara Studio.

Localismi e globalizzazione: il ruolo del designer oggi

Il lavoro  interroga i limiti della globalizzazione attraverso un oggetto che, nella cultura occidentale, è spesso dato per scontato. Ma metà del mondo siede ancora a terra. «Il design globale tende ad appiattire le differenze. Ma ogni oggetto porta con sé un modo di vivere. Per questo è importante rimettere al centro le specificità locali».

Nei paesi coinvolti – tra cui India, Giappone, Brasile, Russia, Nigeria – il confronto con le nuove generazioni di designer ha restituito un panorama complesso. Alcuni elaborano forme ibride, altri si confrontano con i lasciti coloniali o con la cultura materiale indigena. «Alcuni adottano posture globalizzate; altri restano ancorati a pratiche locali. Questa dualità racconta il tempo che viviamo».

Il corpo nello spazio come sistema di relazione

La sedia è al tempo stesso uno strumento e un segno. Funziona come protesi del corpo, ma anche come indice di codici sociali, familiari, religiosi. «In alcuni paesi come Giappone o India il gesto del sedersi è rituale. Non è solo praticità, ma un atto che marca uno spazio, un’intenzione, una relazione».

Sedersi a terra significa anche togliersi le scarpe, scegliere indumenti ampi, abitare ambienti vicino al suolo, ridurre le barriere architettoniche. Implica una disposizione simbolica verso il suolo e verso gli altri. In questo senso, Cross Cultural Chairs offre una cartografia inedita del corpo nello spazio, interpretando i mobili non solo come strumenti d’uso, ma come vettori di linguaggio culturale.

Seat-ing Exercises: improvvisazione e riflessione critica

Dal sei al dodici luglio 2025, presso il Domaine de Boisbuchet, in Francia, Matteo Guarnaccia condurrà il workshop Seat-ing Exercises, un’estensione progettuale e pedagogica del lavoro svolto con Cross Cultural Chairs. Il laboratorio si concentra sull’esplorazione materiale e sulla costruzione improvvisata di sedute, a partire da elementi organici, residui di lavorazioni e oggetti di recupero.

«Si lavora con materiali di scarto, senza troppa pianificazione, e si lascia spazio all’improvvisazione. Ma non è solo un esercizio di creatività: serve anche per ragionare sul significato degli oggetti che usiamo ogni giorno e su come possiamo ripensarli in chiave culturale».

Il workshop prende spunto dalla collezione di sedili e selle di Alexander von Vegesack, mettendo a disposizione un archivio di riferimenti storici e contemporanei che alimentano la riflessione. La sella come oggetto nomade diventa simbolo di movimento, adattamento, trasporto. Il gesto progettuale, in questo contesto, si distacca dalla produzione industriale per tornare a essere esperienza critica e consapevole.

Verso una nuova ecologia del design

Cross Cultural Chairs si muove tra artefatto e archivio, tra performance progettuale e documento etnografico. Il progetto non pretende di offrire risposte, ma solleva interrogativi su identità, rappresentazione, appropriazione culturale. L’oggetto diventa soglia tra mondi, filtro di lettura, dispositivo di confronto.

«Con CCC provo a dimostrare che il design non è solo estetica o funzionalità: è anche uno strumento per raccontare storie, per stimolare un pensiero critico sul mondo che ci circonda».

L’intento non è definire modelli replicabili, ma restituire ciò che emerge dall’esperienza diretta nei territori attraversati. La sedia, in questo caso, non è un arredo da mostra, ma un microcosmo sociale. Attraverso la sua costruzione – manuale, collaborativa, contestuale – il design torna a essere uno strumento di lettura della realtà, capace di registrare le variazioni profonde del vivere contemporaneo.

Alessia Caliendo