
Siamo cani randagi: Eva Ferri e le Edizioni E/O
Intervista a Eva Ferri, editrice di Edizioni E/O e di Europa Editions UK: l’indipendenza in editoria, la situazione editoriale, il caso e il successo deL’Amica Geniale
Una casa editrice è un’azienda e come tale deve dare profitto, ma l’editoria è anche cultura. Un atteggiamento culturale non coincide sempre con una strategia di profitto. Eva Ferri è editrice di Edizioni E/O in Italia, e di Europa Editions in US e UK: in questa conversazione/intervista a flusso con l’editor di Lampoon parla della situazione editoriale, degli azzardi internazionali e di indipendenza.
Eva Ferri: L’Est Europa, l’ottimismo culturale, Tatà di Valérie Perrin
Eva Ferri: «Appena ho avuto le funzioni corporee di base, i miei genitori hanno cominciato a farmi lavorare, a preparare i pacchi».
Carlo Mazzoni: «Rifaresti oggi nel 2024 che I tuoi genitori hanno fatto nel ’79?»
Eva Ferri: «Aprire una casa editrice specializzata sull’Est Europa?»
CM: «Si può dire che l’editoria abbia vissuto una bolla durante la pandemia quando sembrava che restare a casa fosse un’occasione per leggere».
Eva Ferri: «Oggi abbiamo superato il crinale. Ho una forma di ottimismo culturale a lungo termine ma l’editoria è un settore in decadenza. Strutture aziendali vecchie, troppo conformismo: non parlo di scelte editoriali, ma di come sono scelte le persone che lavorano, in una casa editrice.»
CM: «A dicembre 2024 siete primi in classifica con Tatà di Valérie Perrin».
Eva Ferri: «Abbiamo stampato e distribuito circa duecentomila copie. Volumi enormi, ti tremano le gambe.
Intervista a Eva Ferri: il marketing e Times Square, il self publishing, l’ego abnorme e una sorte di infantilizzazione
Eva Ferri: «Il marketing fa male all’editoria. Mio padre Sandro Ferri nel suo libro L’editore presuntuoso ha scritto pagine infuocate sul marketing, dice che il marketing lo odia, non ci crede. Anch’io sono di quest’idea. Non abbiamo un dipartimento di marketing, solo un ufficio stampa».
CM: «Ci sono manager in editoria che parlano di social media – un’esposizione fuori misura a livello digitale, per l’editoria più che per altri settori, comporta un abbassamento di reputazione».
Eva Ferri: «Due mie amiche lavorano come pubblicitarie per il mass market – cartelloni a Times Square, per dare un’idea del peso delle loro campagne. Mi parlano con un poco di reverenza del comparto culturale dell’editoria, un settore piccolo rispetto al loro – però, mi dicono, voi spostate le idee delle persone».
CM: «Le case editrici mandano fuori molti libri a settimana. Contano sul network del singolo scrittore. Mandano in stampa mille copie, lo scrittore spinge un poco sul suo seguito, il suo network, il suo famiglia, gli amici – e si raggiunge il budget».
Eva Ferri: «Noi non operiamo così. La maggior parte dei libri pubblicati è in perdita.
CM: «Joel Dicker che ha aperto la sua casa editrice: il suo self publishing spiazza il mercato».
Eva Ferri: «Direi che più che spiazzare “il mercato” spiazza il suo precedente editore, che è probabile l’abbia aiutato ad affermarsi. Non conosco Joel Dicker, ma senz’altro alcuni scrittori hanno un ego abnorme. Anche gli editori sbagliano, però. Io ero una bambina, in casa giravano gli autori pubblicati dai miei genitori. Gli autori a volte venivano trattati come me che avevo cinque anni. Ho visto la dinamica sentimentale che si crea tra gli autori e gli editori: a volte sembra un rapporto tra amanti, a volte sembra un rapporto tra padre e figlio. Capita che ci sia una sorta di infantilizzazione: il libro esce e tu stai lì e fai le coccole all’autore. Non gli dici bene cosa succede perché hai paura che si arrabbi e cambi editore, lo proteggi dalla delusione. Non credo che questo meccanismo funzioni, purtroppo».
Eva Ferri e le Edizioni E/O: i cani randagi e l’indipendenza: un’intervista conversazione
CM: «Un libro è fatto dallo scrittore e dall’editore. Se uno scrittore pensa di poter fare il libro senza l’editore, c’è un problema. Il tema è l’autorevolezza. Essere pubblicati con E/O significa appartenere a un contesto, che non è quello di Adelphi, non è quello di Einaudi. Il contesto di E/O come lo sapresti descrivere».
Eva Ferri: «La domanda più difficile in ogni intervista. Noi siamo una squadra di vagabondi. Non abbiamo il profilo sofisticato di Adelphi, non abbiamo la coerenza editoriale, l’eleganza di Sellerio. Non abbiamo i soldi di cui dispongono altri editori. Abbiamo una sensibilità politica. Pubblicavamo i libri dell’Est Europa fuori dai diktat della propaganda; abbiamo aperto Europa Editions in America, poi in Inghilterra dove tutti dicevano ma chi li legge i libri che arrivano da altri paesi. Siamo tante persone ad acquisire libri, in tante lingue. C’è mia madre – la prendiamo in giro – trova i libri poi che hanno fortuna. La cacciatrice di best seller. Ama la narrativa popolare».
CM: «Il salotto culturale?»
Eva Ferri: «Ne siamo sempre stati fuori. Fuori dai giri degli intellettuali, fuori dai giri degli editori. Ci sono persone a cui vogliamo bene, con cui c’è stima reciproca – ma non facciamo parte di alcun circolo o salotto. Forse anche perché siamo a Roma e non a Milano».
CM: «L’indipendenza aziendale».
Eva Ferri: «In termini di fatturato, abbiamo avuto oscillazioni: picchi a venti milioni per scendere ben sotto i dieci. Siamo una casa editrice media. Negli anni, ho avuto conversazioni con i miei genitori su quale sarebbe stato il futuro delle nostre aziende. Sono figlia unica, bisognava decidere se avrei fatto questo lavoro».
Intervista a Eva Ferri: il successo di Elena Ferrante
Eva Ferri: «Quando entri in un grande gruppo cambia il tuo modo di lavorare. Dentro un gruppo, un successo come quello dei libri di Elena Ferrante non sarebbe probabilmente stato possibile. Un manager legato agli interessi di azionisti non avrebbe avuto facoltà di prendere il rischio che abbiamo preso noi, insistere per tanti anni sul lavoro di un’autrice che non si mostrava.
«Quando è uscita La vita bugiarda degli adulti abbiamo dovuto studiare come mettere i libri sui pallet. Chi pensa all’editoria pensa alla cultura, ma tra le tante attenzioni, ci sono anche la gestione del magazzino e la logistica del magazzino. Siamo venticinque persone a lavorare nella casa editrice in Italia; cinque a Londra, cinque a New York. Abbiamo due ristoranti, uno a Roma e uno in Maremma.
Eva Ferri e il gruppo editoriale: Edizioni E/O, Europa Editions US in America ed Europa Editions UK in Inghilterra
CM: «Europa US era stata fondata dai tuoi genitori nel 2005».
Eva Ferri: «Mio papà è di New York, nato nel Bronx. Europa Editions è nata in un momento in cui mio padre si è reso conto che in Italia non c’era spazio nel mercato per crescere. Se dobbiamo investire altri soldi come li investiamo? Andiamo in America. Nel 2005 è nata Europa Editions negli Stati Uniti. Nel 2011 abbiamo aperto la filiale inglese. Con la casa “madre” Edizioni E/O (fondata nel 1979), sono tre case editrici distinte nei tre paesi. Abbiamo solo una parte dei libri in comune. Succede che un libro è libero solo in uno dei tre paesi, oppure riteniamo che sia opportuno pubblicarlo in un paese e non negli altri».
«Gli inglesi sono più scettici degli americani rispetto alla letteratura in traduzione. La narrativa in traduzione soffre: è considerata materia per lettori sofisticati, per l’élite che ha studiato Cambridge, a Oxford. Questo vale sia in America sia in Inghilterra – ma in Inghilterra di più. In Inghilterra il mercato editoriale è più polarizzato. La mia impressione è che a livello culturale il nostro lavoro sia più difficile che in America. In America non ho mai sentito un senso di distanza profonda come l’ho sentito in Inghilterra».
Eva Ferri, dalle dating app al femminismo giapponese: cani randagi senza pulci
CM: «Il centro del mondo culturale rimane l’Italia – ma la lingua inglese è una lingua in movimento. Gli strafalcioni diventano neologismi, diventano modi di dire. L’inglese è una lingua viva. Si può definire l’inglese come una lingua ruvida?».
Eva Ferri: «No, personalmente non la definirei una lingua ruvida. Semplicemente, quando una lingua non è la tua prima lingua, la capacità di rischiare aumenta, perché (numerosi studi lo dimostrano) la parte affettiva è dissociata – quindi l’inibizione è minore. Io sono sulle dating app. La gente si senta più a suo agio a flirtare o parlare di sesso in lingue che non sono legate a rappresentazioni verbali dell’infanzia».
CM: «In sintesi di questa intervista, possiamo definire il tuo campo d’interesse professionale, nel contesto del tuo lavoro di editrice?»
Eva Ferri: « Gli ultimi esordi italiani di cui mi sono occupata mi hanno resa felice. Mi sembra ci sia un tema comune, il disadattamento: come faccio io a rimanere in rapporto con la società, a essere me stesso senza farmi risucchiare, senza parlare solo di me ma facendo anche qualcosa di politico? Questo è quello che mi interessa. Questo essere attivi. Politicamente, socialmente, intellettualmente, emotivamente, senza farsi risucchiare da un sistema, sempre interrogandolo. Questa è una cosa che mi interessa in letteratura, mi interessa tra gli italiani, mi interessa per esempio anche tra le scrittrici contemporanee giapponesi».
CM: «Il femminismo in Giappone».
Eva Ferri: «II criteri sui libri giapponesi sono diversi da quelli per gli autori italiani o anglosassoni, perché diverse sono le culture di riferimento. Il femminismo in Giappone non è uguale al femminismo in occidente, la società giapponese è ancora più patriarcale della nostra, e quindi emergono figure radicali come Murata Sayaka, scrittrice di mondi ed esperienze stranianti, cannibalismo e incesti, che però raccontano bene chi siamo veramente. Gli autori che amo sono gente che grida forte. Anche loro cani randagi. Noi, come editori, cerchiamo solo di togliergli un po’ di pulci prima che si riavventurino nel mondo.