Guido Guidi

Dall’ombra alla luce: Guido Guidi costruisce un atlante etico del paesaggio, dove ogni fotografia è variazione, scarto, deviazione da una bellezza codificata e dominante

Guido Guidi fotografa silenzi e attese sospese nel tempo. Da giovane studente di architettura riuscì a rivolgersi a Carlo Scarpa, suo professore, solo una volta. Di solito preferiva restare in disparte, ascoltando le sue conversazioni con altri alle sue spalle.

Forse imparò allora che la timidezza poteva non essere un ostacolo, ma un metodo. Stare ai margini gli consentiva di osservare meglio, di cogliere e comprendere dettagli che agli altri sfuggivano. Solo dopo seguiva il gesto: disegnare, fotografare, cercare di restituire ciò che gli altri non vedevano. È la timidezza a spingerlo ad interrompere gli studi dell’Università di Architettura di Venezia e di intraprendere il Corso Superiore di Disegno Industriale: «Volevo fare l’architetto ma per uno come me, proveniente dalla campagna e timido, sarebbe stato difficile trovare clienti. Così ho deviato verso la fotografia, assecondando un interesse nato al liceo. La trovavo congeniale per un tipo nervoso e ansioso come me».

Guido Guidi, Ronta, 2015 – courtesy Viasaterna, Milano
Guido Guidi, Ronta, 2015 – courtesy Viasaterna, Milano

Misura del mondo

Grazie alla fotografia, Guido Guidi prende contatto con il mondo e ne misura la consistenza. Le sue immagini non sono immediate, ma provocazioni dello sguardo, a volte scattate senza guardare, con un gesto che consente un incontro e un’apertura all’imprevisto, nel tentativo di «descrivere le cose del mondo visibile che, come diceva Democrito, è uno spiraglio per il mondo invisibile.»  Per questo motivo le sue fotografie sono spesso presentate in serie, un modo per restituire la profondità di un processo più che la singolarità di un risultato: «credo di lavorare come un jazzista o un pittore informale» spiega Guido Guidi. «Un progetto può emergere dall’approccio, ma non è il punto di partenza, il tempo è una variante imprevedibile: posso eseguire una fotografia veloce, magari è sbagliata, ma intanto c’è. Poi un’altra, magari con delle piccole varianti, o uguale a quella precedente nella composizione, ma la luce nel frattempo è cambiata. Procedo per variazioni. Qual è la migliore? Non importa. Non è il risultato a contare, ma il processo». 

Guido Guidi, Cesena, 1978-79
Guido Guidi, Cesena, 1978-79

L’ombra della luce

Guido Guidi. Da un’altra parte, la mostra in programma alla Galleria di 10·Corso·Como dal 7 maggio al 27 luglio 2025 esalta un altro elemento chiave del lavoro del fotografo: l’ombra come elemento di dialogo tra luce e spazio. Alessandro Rabottini, curatore dell’esposizione, racconta la scelta di isolare le immagini dalle loro serie di appartenenza e di accostarle tra loro secondo un criterio formale, evidenziando la ricorrenza dell’ombra, del riflesso e della luce nel suo linguaggio visivo:

«L’opera di Guido Guidi ha profondamente influenzato generazioni recenti di fotografi e ha oggi una vasta eco anche tra artisti, curatori, architetti, scrittori… All’interno della sua produzione – che è vasta, complessa e generosa – ho voluto cercare una chiave di lettura che fosse specifica ma non riduttiva, che potesse attraversare i molti decenni del suo lavoro e, al tempo stesso, esplorare qualcosa che giace in profondità, al di là delle separazioni tra fotografia di architettura, ritratto, paesaggio etc. Credo che il tema dell’ombra ci permetta di approcciare le molte sfumature dell’opera di Guidi Guido e devo ringraziarlo per la disponibilità e l’apertura che ha avuto nello stabilire con me questo dialogo. Ho sempre trovato nel suo lavoro un raro equilibrio tra rigore concettuale, nitore formale e valori lirici, e nel dispositivo dell’ombra questa sintesi si realizza pienamente: c’è qui tutta la sua ricerca sul trascorrere del tempo, sulla natura stessa del medium fotografico, sulla fragilità e la persistenza dell’esperienza umana, sulla relazione tra come vediamo e come viviamo»

Guido Guidi, Accademia di belle arti, Ravenna 1994
Guido Guidi, Accademia di belle arti, Ravenna 1994

Lo sguardo e il paesaggio

Guido Guidi nasce a Cesena, nella pianura romagnola, lungo quella dorsale adriatica dove sono nati alcuni dei più grandi fotografi del Novecento. Forse perché chi sa fotografare la pianura, sa fotografare tutto. L’ampiezza di paesaggi fatti di campi, filari di alberi e strade dritte è interrotta da centri urbani e capannoni industriali in una soluzione di continuità priva di punti di fuga o elementi che catturino lo sguardo. Guido Guidi comincia fotografando i dintorni di Cesena, paesaggi e architetture povere che continuerà a ritrarre nel corso di tutta la vita: «Ho cominciato fotografando i dintorni di casa per comodità poi, quando qualcuno mi ha pagato i viaggi, ho viaggiato e sono stato in Russia, Turchia, Spagna, in America. Anche lì ho cercato e trovato l’architettura vernacolare, più autentica rispetto a quella progettata a tavolino dagli architetti». 

Esplorazioni a confronto tra Guido Guidi e Luigi Ghirri

La via Emilia, che congiunge Rimini e Bologna, è oggetto di indagini e esplorazioni da parte sia di Guido Guidi, sia di Luigi Ghirri. Delle distanze e delle comunanze con l’amico fotografo, Guido Guidi ricorda: «Quando cominciava un nuovo progetto, Luigi partiva con le idee ben chiare: sceglieva sin dal principio dettagli e tagli utili a costruire un certo discorso linguistico. Il mio progetto, invece, è sempre cominciato con il partire, prendere l’automobile, caricarci a bordo la macchina fotografica e andare. Verso cosa? Non lo sapevo. Se passava a una persona, mi fermavo a parlarci, se incontravo un edificio che mi piaceva, mi fermavo a fotografarlo in una sorta di dialogo continuo con oggetti e persone in cui mi imbattevo».

Guido Guidi, Ronta, 1999
Guido Guidi, Ronta, 1999

Luce, tempo e imprevisto

Nel 1996 il Canadian Centre for Architecture di Montréal commissiona a Guido Guidi l’incarico di documentare quattro siti progettati di Carlo Scarpa. È un progetto che consente al fotografo di entrare in contatto con una delle figure chiave della sua formazione, e di tornare più volte alla Tomba Brion, a San Vito d’Altivole. Attraverso ripetuti sopralluoghi, Guido Guidi osserva l’architettura mutare con la luce del giorno e delle stagioni, con un gioco di luci e ombre che sembrano rincorrersi sulle superfici. Il suo approccio si basa su un equilibrio tra attenzione e casualità. Lo sintetizza con una frase emblematica: “Se ti fermi a mangiare, perdi un’ora di luce”, ma allo stesso tempo il valore dell’imprevisto gioca un ruolo fondamentale, come spiega citando il compositore John Cage e Marcel Duchamp: «Il caso è fondamentale, è quella cosa in più che dona ricchezza a quello che fai. È come incontrare un amico che non ti aspettavi di vedere».

Le fotografie di Guido Guidi sono di piccolo formato: in genere 20×25 centimetri, quasi mai oltre il 50×60 centimetri. Hanno sempre, insomma, le dimensioni del negativo, non sono mai ingrandite. In queste composizioni, l’incontro tra luce e spazio genera l’ombra: «Da quando è stata inventata la fotografia, si è sempre parlato della luce che impressiona anche la pellicola. Ma, sin da subito, si è compreso che la fotografia è l’arte di fissare le ombre, l’ombra portata. In pittura, l’ombra portata è quasi mai stata soggetto, ma nella mia fotografia è diventata un tema dominante. Così come la luce, ma con una differenza: la luce ha una dimensione più spirituale, più religioso, mentre l’ombra ha un carattere più pauroso, più inquietante».

La fotografia come dialogo tra pittura e fotografia

Guido Guidi ha sempre concepito la fotografia come un linguaggio in dialogo con altre arti, in particolare con la pittura e l’architettura. Il suo sguardo si è formato attraverso lo studio di queste discipline, che hanno lasciato un segno profondo non solo nel suo modo di osservare e interpretare lo spazio, ma anche nel suo approccio pratico al lavoro. L’esperienza diretta come designer, architetto e pittore ha contribuito a modellare la sua sensibilità visiva, portandolo a sviluppare una fotografia attenta alla composizione, alla luce e alla costruzione dell’immagine. In questa prospettiva, Guido Guidi stesso afferma: «Lo studio della pittura e dell’architettura mi hanno influenzato moltissimo. Ho lavorato come designer e architetto e anche come pittore». Un percorso, il suo, che muove tra progettazione e intuizione, tra rigore e libertà, restituendo un modo di vedere il mondo che diventa, attraverso l’obiettivo, esplorazione.

Guido Guidi, influenzato dagli insegnamenti di Carlo Scarpa, Luigi Veronesi, Italo Zannier e Bruno Zevi, ha scelto la fotografia come principale mezzo espressivo, divenendo un riferimento internazionale. Le sue indagini spaziano dall’architettura spontanea della Romagna orientale alla via Romea, dalle aree industriali di Porto Marghera e Ravenna alla Tomba Brion di Scarpa, fino a opere di Le Corbusier e Mies van der Rohe. Le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni internazionali, tra cui il Centre Pompidou e il MAXXI. Nel 2024 il MAXXI di Roma gli ha dedicato la retrospettiva Col Tempo. 1956 – 2023. Dal 2013, la casa editrice Mack ha pubblicato numerosi volumi sul suo lavoro.

Elisa Russo

Guido Guidi, Ronta, 1981
Guido Guidi, Ronta, 1981