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Jonathan Bazzi: «Non sono complice delle richieste dell’algoritmo»

Jonathan Bazzi: i temi sociali della periferia e della malattia, l’esperienza da sieropositivo e lo scarto di un attivismo politico: «So cosa dovrei fare per essere virale ma non mi interessa l’algoritmo»

Jonathan Bazzi – «Non voglio cedere all’algoritmo»

Nei settori in cui si muove Jonathan Bazzi, editoria e giornalismo, i temi di cui è diventato portavoce – la sieropositività e lo stato delle periferie su tutti – lo hanno consacrato. Lo hanno reso riconoscibile, anche sui social (su Instagram, 53mila follower), dove parlare di questioni simili attrae una fetta di pubblico appetibile: colto, acculturato, borghese. Qui è però scattata l’aspettativa di essere sempre uguale a se stesso, che lo ha incasellato in un’idea di personaggio da cui vuole prendere le distanze.

«Moltissimi in questi anni si sono creati delle carriere con l’alibi di fare ‘cose politiche’. Le persone usano come marchio di nobiltà il termine ‘politico’. A me non è mai interessato. Penso che ci sia un fraintendimento. Un conto è quello che la politica era nella sua dimensione ideale delle origini, le riflessioni nell’Antica Grecia. Di fatto è invece la lotta per il potere. C’è chi dice che il potere serve per cambiare le cose, ma è tutto fraintendibile. È già frainteso. Se portiamo gli ideali nel corpo di una persona, tutto diventa ripetitivo. Chi decide di fare ‘attivismo politico’ non può nemmeno permettersi di dire davvero quello che pensa: ci sono obiettivi che orientano le parole e i circuiti di pensiero. A me non piace vivere così. Se uno vuole emanciparsi da queste dinamiche può fare solo una cosa: rinunciare a una fetta in palio. Io so cosa dovrei scrivere per diventare virale. So essere aggressivo, ma non voglio più essere complice delle richieste dell’algoritmo».

Intervista a Jonathan Bazzi: Milano – la città più interessante d’Italia, ma un ologramma di inclusività

I motivi per cui Jonathan Bazzi piace a molti sono gli stessi per cui molti altri lo hanno preso di mira. Più volte ha scritto della spirale verso l’alto dei prezzi per vivere in città, mai ricompensata dagli stipendi. Allora che se ne vada, è quello che gli viene risposto dall’esercito di commentatori seriali sui social. Bazzi risponde: «Innanzitutto è la mia città, quella degli studi, degli amici, delle scoperte sentimentali. E poi, a mio avviso, continua a essere la città più interessante d’Italia». Milano «sa vendersi, si è creata un’aura che continua a far arrivare gente, è una piazza ambita». È la città italiana dove «le cose esistono prima che altrove oppure esistono solo qua».

Però le criticità rimangono. È anche una città che è diventata «un ologramma», una sorta di miraggio. È la città che più «assomiglia ai social». Jonathan Bazzi: «Può sembrare un paradosso parlando di Milano, ma il problema più grande oggi è la sua inclusività, di cui a lungo ha cercato di essere la capitale. Se anche c’è una confidenza maggiore del resto d’Italia con le varianti identitarie, la questione economica o di classe è traversale. Te ne fai poco di una città abituata a vedere una coppia queer – e anche su questo ci sarebbe comunque da discutere – se poi quella coppia qui non ci può stare perché a 40 anni per avere una casa accettabile deve affittarla in condivisione e se una stanza la trovi a 900 euro». Il punto è che «tra i fattori di inclusione o di esclusione, quello economico è uno dei più basilari».

Milano tra tensioni sociali e squilibrio economico

Jonathan Bazzi parla di una città ossessionata dalla crescita – «i suoi palazzi sempre più alti sono metafora di un’intenzione generale» – dove la «direzione performativa, così attenta ad attirare i flussi finanziari» ha avuto una «ricaduta diretta anche sulla questione della sicurezza per le minoranze». Dimenticarsi delle periferie, interne o esterne, ha creato dei serbatori di rancore: «Molte persone vivono a pochi metri dall’esibizione di sfarzo e la loro sensazione di esclusione si è intensificata. Alcune se la tengono, altre con i mezzi che hanno provano a conquistare qualcosa. Che sia il telefonino rubato o la catenina che poi si rivendono».

Alla vigilia delle prossime elezioni c’è chi sostiene che sottolineare le lacune della sicurezza consegnerà Palazzo Marino ai partiti di destra. «Io credo invece sia un tema di sinistra. È un tema di redistribuzione. La tensione che c’è in questa città ha a che fare con uno squilibrio economico troppo forte. Tutto è concentrato nel centro, mentre fuori la miseria è la stessa che poteva esserci 20 o 30 anni fa. Non mi sembra un tema di destra», dice Jonathan Bazzi.

Il nome che aleggia sopra queste considerazioni è quello di Beppe Sala: «Sicuramente è uno dei responsabili di questa trasformazione. La verità è che fino a un certo punto è stata anche interessante, ma poi non ci si è più preoccupati di una questione di omeostasi, di equilibrio. Si è andati ciecamente verso la massimizzazione del valore immobiliare. Se si amministra un territorio bisogna tenere conto di tutte le sue anime, a maggior ragione quando c’è un potenziale conflittuale, che se è sottovalutato non fa altro che aggravarsi».

Jonathan Bazzi
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Jonathan Bazzi – Milano, l’emergenza abitativa e la scomparsa dei luoghi di aggregazione

Se le condizioni di vita delle classi meno abbienti sono un dato oggettivo, potrebbe sembrare strano che anche un personaggio nella posizione di Jonathan Bazzi punti il dito contro i prezzi. Torna il tema della casa: «A Milano è ormai impossibile pensare di diventare adulti davvero, dove far crescere dei figli con uno spazio ragionevole. Parlo spesso con vari professionisti, con stipendi buoni, per cui il pensiero dei soldi non c’è mai stato e adesso invece c’è. Una casa di 100 mq adesso è irraggiungibile. Molti mi dicono che stanno guardando a città come Genova o Torino, dove magari metà dei soldi che fai riesci anche a tenerteli».

Un altro elemento di discussione che si sta facendo strada a Milano, anche se più lentamente, è la graduale scomparsa dei luoghi di aggregazione sociale e culturale e l’omologazione di quelli che esistono. Per Jonathan Bazzi si intreccia con una faccenda più complicata: «Stiamo andando verso un mondo disincarnato, passiamo un sacco di tempo online, seppur interagendo con altre persone. Io stesso passo quasi tutto il mio tempo a casa ormai. Quello che resta fuori è più che altro legato a una dinamica di capitalismo spinto e di ricerca di profitto intenso, che va di pari passo con la riduzione delle possibilità di stare insieme fisicamente che le persone hanno in testa».

Intervista a Jonathan Bazzi – «Non voglio fare attivismo»

Chi è Jonathan Bazzi? Per qualcuno è lo scrittore di Febbre e Corpi minori che ha raccontato la sua sieropositività, l’adolescenza di un ragazzo gay e balbuziente tra i palazzi popolari di Rozzano, l’odiare a volte se stesso e a volte gli altri. Per qualcuno è il giornalista che ragiona sull’emergenza abitativa e sugli aperitivi da 40 euro a Milano. Jonathan Bazzi, 39 anni, è tutto questo, ma in parte è stufo di esserlo. L’ascesa letteraria che tra il 2019 e il 2020 lo ha salvato dalla «risacca» in cui era finito – quella di molti trentenni, con speranze affievolite e carriere che non decollano – è diventata anche una gabbia.

Parlare di temi tanto sociali quanto personali, vincere il Premio Bagutta Opera Prima e con lo stesso esordio finire nella sestina del Premio Strega ha creato pretese nel pubblico che lo ha scelto: «Essere uno che aveva attraversato esperienze difficili e che ‘in qualche modo ce l’aveva fatta’ è diventato un’aspettativa nei miei confronti, sia per quello che dovevo raccontare, sia sulle opinioni che dovevo esprimere». Gli elementi del suo vissuto si sono incasellati con le dinamiche parapolitiche di attivismo performativo generate dei social.

Se molti intellettuali digitali o presunti tali pregherebbero per raggiungere la sua notorietà, portare avanti i loro ideali ‘politici’ e guadagnarci sopra, Jonathan Bazzi è più irrequieto: «Non mi piace ripetere slogan, non mi piace parlare per hashtag e parole chiave. Fanno perdere autenticità. Mi annoio facilmente e cerco di cambiare spesso quello che faccio, mi piacerebbe non dover tornare sempre sugli stessi temi». Lo scrive anche su Instagram: «Possiamo ricominciare a divertirci?».

Jonathan Bazzi
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Jonathan Bazzi – la ricerca della perfezione, il rifiuto delle autorità e gli interessi per le «cose da femmina»

Se l’è cercata, potrebbe dire qualcuno. Nessuno lo ha obbligato a eviscerare in maniera lucida e fredda la sua storia. Jonathan Bazzi risponderebbe che lo sa già: «La scrittura mi ha aiutato a desensibilizzare, a spegnere le cose. E poi io ho un’insicurezza di fondo e un bisogno di conferme dall’esterno che sono più intensi della media. Mi piace essere apprezzato e visto dagli altri. All’università se non prendevo 30 o 30 e lode pensavo di mollare, al liceo dovevo avere i voti più alti di tutti».

Ben vengano quindi la notorietà, il contratto con Mondadori e le collaborazioni attive con le testate italiane. Scatta però un altro meccanismo: «Ho bisogno di fare le cose a modo io. Non cerco il consenso più facile. So cosa dovrei fare per intercettare il grande pubblico, ma non voglio nemmeno scomparire nella massa». E quindi? «Per gestirmi medito, faccio yoga da vent’anni e vado da sempre in psicoterapia. Tendo a somatizzare, ho tendenze paranoiche».

Buona parte di questa pulsione tra la ricerca dell’apprezzamento e il rifiuto al conformarsi «alle autorità» viene dall’infanzia, quella raccontata nei primi due romanzi di Jonathan Bazzi. «La mia scarsa sensibilità ai condizionamenti esterni forse nasce da una situazione familiare un po’ caotica. I miei genitori erano molto giovani, io sono cresciuto nelle case dei nonni e a volte nei weekend andavo da mio padre o da mia madre. Ho preso pezzi un po’ da tutte le parti, ma sviluppando una forte autonomia: il perno in tutto questo cambiare ero sempre io». Parla della nascita di interessi che nel posto dove è cresciuto erano «illegittimi». I libri, il disegno, la musica.

«Cose da femmina» a Rozzano, dove la «mascolinità era incentrata sul calcio e sui motorini», ma che potrebbero essere normali nella «borghesia» del centro a Milano. Sono stati i nonni paterni a fargli capire che le sue passioni erano legittime. Sono stati loro a comprargli i primi libri e le «fiabe sonore con le cassette che uscivano in edicola». Jonathan Bazzi ha realizzato così che «l’insensibilità che c’era tra i compagni di classe o nella famiglia di mia madre» non era «la verità», che le persone «possono anche sbagliarsi». Consapevolezza poi diventata «condizione di sopravvivenza».

Le chat gay a 13 anni e il coming out

Per un po’ di tempo Jonathan Bazzi è andato avanti da solo: «Prima dei 16 anni non ho mai avuto amici». Qualche «simpatia» nasceva ma poi finiva «in un quadro conflittuale». Con i maschi non funzionava perché poi bisognava fare «roba da maschi». Con le femmine scattavano le ambiguità. «Alle medie sono andato a fare l’ultimo anno a Milano 3 – idea malsana, io venivo dai palazzi popolari e lì sono tutti ricchi – e c’era una mia compagna di classe che per me era carina. Ci siamo anche fidanzati ma io non avevo slancio fisico. Dopo due settimane, mi ha mollato e ha detto a tutti che ero omosessuale».

Già alle elementari c’era chi gli gridava dietro «ricchiò» e «femminiello», dai dialetti del Sud parlati a Rozzano. Lo stesso Jonathan Bazzi lo ha capito presto: «Ho iniziato a usare le chat gay a 13 anni». Il coming out, a differenza di quello che si potrebbe pensare, non è stato però traumatico. «A 15 anni mi sentivo con un ragazzo di 30 anni. Avevo chiesto a mia madre il permesso per uscirci, ovviamente negato. Quella volta lì, comunque, la questione era caduta nel nulla, non se ne era più parlato. Poi a 18 anni ero rimasto a dormire da un ragazzo che mi piaceva ma avevo detto a mia madre che ero da un compagno di classe. Lei ha indagato e mi ha scoperto».

Jonathan Bazzi
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Le cartomanti, Ray of Light di Madonna, gli insulti omofobi – Post-new age sissy trickster

Crescendo, in Jonathan Bazzi si delineavano tratti identitari conflittuali che oggi rivendica. «Post-new age sissy trickster» si legge sulla bio di Instagram. «Post-new age» viene dalla sua adolescenza «esoterica», circondato dalle donne della sua famiglia che andavano dalle cartomanti ma ne parlavano solo quando nessuno poteva sentire, con pudore. Quando per due anni Jonathan Bazzi ha lasciato la scuola a causa della balbuzie si è immerso nel loro mondo. «Passavo gran parte del mio tempo guardando le cartomanti in televisione, compravo mazzi di tarocchi e rune celtiche. Era diventata un’ossessione. Ho buttato via tutto quando ho ricominciato gli studi per non farmi distrarre. Ho ripreso tutto da adulto».

Adesso scrive l’oroscopo per U di Repubblica. Poi c’è stato l’incontro «fondamentale» con la musica di Ray of Light di Madonna, intrisa di riferimenti a cabala ebraica e yoga, che Jonathan Bazzi ha iniziato a praticare all’ultimo di liceo senza mai smettere. «Sissy» è larivendicazione del «non essere mai stato abbastanza maschio». Il «trickster» è una figura mitologica dalla vena anarchica e ribelle, che sfugge dalle convenzioni e cerca di creare un mondo suo.

Jonathan Bazzi – Rozzano, l’HIV e il primo romanzo

Prima di essere conosciuto, Jonathan Bazzi era un laureato in Filosofia con una tesi sulla teologia simbolica di Edith Stein che si arrangiava come molti altri 20-30enni. Semplificando li definiremmo intellettuali: «Mi mantenevo insegnando yoga e scrivendo per qualche sito». Nel 2014 matura l’idea di lavorare a un libro su tutte le «cose bizzarre» viste durante l’infanzia. «Rozzano è un posto pieno di figure a loro modo estremamente interessanti da raccontare. Me ne sono accorto con il tempo. La famiglia, i soldi, le relazioni negli ambienti delle case popolari non sono mai raccontate dall’interno. Le persone che ci vivono non studiano – ha il tasso di abbandono scolastico più alto del Paese – e quindi non scrivono e non producono immaginario. È un problema quando si concentrano nello stesso punto famiglie con problemi troppo simili, perché si creano circoli viziosi e ci si influenza al ribasso», spiega.

Durante la lenta gestazione di questo progetto, Jonathan Bazzi inizia a sentirsi stanco. A partire da gennaio 2016 il termometro segna in continuazione qualche linea di febbre. Sente freddo. Teme di avere la leucemia. Arriva la diagnosi: HIV. Non sa quando l’ha preso, ma ormai c’è. Spunta il progetto di scrivere un altro libro, per raccontare la convivenza con il virus.

Jonathan Bazzi
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Febbre e Corpi minori

Un anno dopo inizia a prendere forma quello che diventerà Febbre (Fandango). Dentro ci sono sia l’HIV sia Rozzano. «Temevo che venisse confinato nello scaffale dei libri LGBTQ oppure che fosse considerato un libro-testimonianza della malattia, di scarso interesse collettivo. Non volevo diventasse il racconto di un ‘sopravvissuto’ o un manuale su come convivere con il virus». Le aspettative non erano altissime. Il libro esce a maggio del 2019. Non esplode subito. Lo fa quando, quel dicembre, diventa libro dell’anno per Fahrenheit. A gennaio 2020 vince il Premio Bagutta. Entra nella dozzina dei finalisti allo Strega, poi nella sestina.

Jonathan Bazzi è travolto dalla risposta: «Io non sono uno che pianifica. Cerco di fare solo le cose che mi piacciono, ho l’idealismo per cui penso che mi apriranno le porte. Se non succede semplicemente continuo imperterrito a farle. E poi non sono uno che va a prendersi le cose». Mentre promuove Febbre, tra un’intervista e l’altra, Mondadori fa squillare il telefono. Jonathan Bazzi scrive Corpi minori, che esce nel 2022. Un adolescente senza nome e senza genere sessuale definito arriva a Milano, simbolo di distacco dalla periferia rinnegata dove però le dinamiche non sono poi così diverse. Dopo relazioni tossiche e di convenienza, sembra incontrare quello che ci insegnano essere l’amore.

Il secondo romanzo va bene, ma meno del primo. Il terzo arriverà «tra un po’». Corpi minori è stato scritto «nel mezzo del delirio» di Febbre, quando Jonathan Bazzi era «ancora piccolo dal punto di vista editoriale» e pensava che aver firmato con Mondadori significasse dover subito sfornare un altro libro. Il successo e l’esposizione hanno portato ansia e aspettative: «C’è una sottile pressione sui risultati a cui non avevo mai pensato prima, ogni settimana ricevevo l’aggiornamento con il numero di copie vendute». Jonathan Bazzi intanto ha ricevuto un’altra diagnosi, quella dell’ADHD, che spiega diverse sue caratteristiche: «Sono pigro ma sono irrequieto. Stare sempre nelle stesse cose mi annoia. Se non si interrompono da sole, le interrompo io».

Jonathan Bazzi

Jonathan Bazzi è nato il 13 giugno 1985 a Milano. Cresce a Rozzano. Dopo la laurea in Filosofia collabora con alcune testate online, come Gay.it e Vice. Nel 2019 esce il romanzo d’esordio Febbre, seguito nel 2022 da Corpi minori.

Giacomo Cadeddu

Jonathan Bazzi
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