La Scala Milano

Un documentario per umanizzare l’opera – La Forza del Destino e la Scala di Milano 

Mani, voci, sudore, fatica. La regista francese Bonnefont rompe il mito e racconta il corpo vivo della Prima – un dietro le quinte lungo oltre 70 giorni

La Forza del Destino – il meta-documentario di Anissa Bonnefont sulla Prima della Scala di Milano

To break the fourth wall, letteralmente rompere la parete, dicono i media anglofoni quando un personaggio in tv, al cinema o a teatro si rivolge direttamente al pubblico, interrompendo la finzione narrativa. La regista francese Anissa Bonnefont per il documentario La Forza del Destino di pareti ne rompe anche cinque. Ci porta dentro la settantina di giorni di lavoro che hanno anticipato la Prima del Teatro alla Scala di Milano del 7 dicembre 2024, quando si alzava il sipario sull’opera di Giuseppe Verdi che dà il nome anche al film, diretta da Riccardo Chailly con la regia di Leo Muscato e libretto di Francesco Maria Piave. Un po’ come aveva fatto nel 2017 Jean-Stéphane Bron, ma all’Opéra di Parigi, per L’Opéra. Novanta minuti di filmato, 900 le persone a vario titolo coinvolte per la Prima: un meta-documentario per far cadere il velo che separa il pubblico dagli addetti ai lavori. 

Un omaggio agli addetti ai lavori – come umanizzare l’Opera 

Ci sono il Maestro Chailly e Muscato, ci sono i cantanti: il soprano Anna Netrebko (Donna Leonora), il tenore Brian Jagde (Don Alvaro), il baritono Ludovic Tézier (Don Carlo di Vargas). Pensiamo subito a loro quando parliamo de La Forza del Destino, storia di un amore impossibile che si trascina tra scenari di guerra tra diverse epoche. Nel documentario ci sono però anche tutti gli artigiani e le maestranze che tengono in piedi e mettono insieme l’imponente macchina di una Prima. Sappiamo che senza i tecnici non si va da nessuna parte, così come senza le sarte che hanno cucito i vestiti, però non ci riflettiamo più di tanto. Bonnefont, che ha scritto La Forza del Destino insieme a Myriam Weil, ce lo ricorda. Omaggiandoli. Lo fa in un crescendo emotivo e ritmato: buono lo stratagemma per tenere alta l’attenzione per tutta l’ora e mezza di filmato. A ogni giornata corrisponde un capitolo: 70 giorni alla Prima, 60 giorni alla Prima, 40 giorni, 20 giorni e così via. Fino all’apertura della stagione. Più ci si avvicina al 7 dicembre, più sale la tensione. Non c’è bisogno di una voce fuori campo che accompagni lo spettatore, come spesso succede nei documentari. 

La Forza del Destino La Force du Destin – svela l’imponente lavoro umano che trasporta l’opera dal mondo delle possibilità al palco. In questo senso la umanizza, rendendola fruibile e avvicinandola a qualsiasi spettatore. L’opera, come genere, per molti coincide con le sue origini nelle corti europee (Italia in primis), con le etichette, la gerarchia dei posti a sedere, il dress code, i prezzi dei biglietti. Bonnefont, appoggiata dal montaggio capitanato da Guerric Catala e alla musica contemporanea di Jack Bartman che si fonde a quella di Verdi, sposta l’attenzione altrove. Chi costruisce e fa muovere il palco rotante che ospita l’intera scenografia ideata da Federica Parolini? Chi controlla che non saltino mai le combinazioni di luci di Alessandro Verazzi? Poi le prove, interminabili, di chi canta e di chi balla. Truccatori e parrucchieri. Mani, voci, sudore e fatica. I ripensamenti in itinere, quando manca ormai poco alla Prima. I dettagli che nemmeno in sala si vedono così vividi, come il sangue che sgorga dalle ferite che uccideranno Donna Leonora alla fine del quarto atto. Le corse a prendere i fiori con cui addobbare il Teatro in una fredda Milano di dicembre.

Teatro alla Scala di Milano

Una co-produzione tra Italia e Francia – Milano e Parigi riconciliate in nome dell’opera?

Il documentario – prodotto da Federation Studios e MDE Films e realizzato con il sostegno di Rolex – è il primo capitolo di una nuova partnership tra i servizi pubblici radiotelevisivi d’Italia e di Francia, Rai Documentari e France Télévisions. Presentato il 16 ottobre al Maxxi per la Festa del Cinema di Roma, è arrivato alla Scala il 20 ottobre. Nei cinema francesi dal 2 novembre, il 6 dicembre sarà su Rai 3, anche se è rimasto in fondo al palinsesto (va in onda alle 23:30). Ad affiancare Bonnefont c’è la direttrice della fotografia Martina Cocco, italiana. Un nuovo sodalizio tra due culture amiche, ma che spesso finiscono per essere rivali, così come un po’ lo sono le due rispettive città dell’opera: Milano e Parigi. E proprio nell’opera forse possono riconciliarsi. 

Peccato per le scene degli ingressi a teatro. La Prima è un rituale che per Milano è identitario, ancor di più oggi che una certa narrativa la vuole in cerca di se stessa. Tra inchieste e speculazioni immobiliari, tra anni di piombo ed Expo 2015, tra crisi abitativa e Olimpiadi invernali, la Scala è sempre stata lì. Un punto fisso, una bussola, almeno dal 1951, quando il Teatro riaprì dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Una rinascita, un rito civico codificato nella storia della città, che si è fatto identitario e rassicurante. Liturgia laica che ne racchiude l’autorevolezza artistica e culturale. Tanto che coincide sempre con il 7 dicembre, quando si celebra Sant’Ambrogio, il patrono di Milano. Per il momento degli ingressi degli ospiti nel foyer le telecamere sembrano invece preferire su un non so che di caricaturale, nella scelta e nella gestione dei primi piani. Si sarebbe fatto lo stesso per l’inaugurazione della stagione parigina? Eppure, anche se l’anno scorso non c’era il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (era appunto a Parigi, per la riapertura di Notre-Dame dopo l’incendio del 2019), c’erano Alberto Veronesi, Liliana Segre, il sindaco Beppe Sala, Roberto Bolle, Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. 

Una storia di guerra con una soprano russa protagonista – La Forza del Destino e le accuse ad Anna Netrebko

Il documentario non dà risalto ad alcune tensioni che avevano accompagnato la gestazione, e la Prima, de La Forza del Destino. Una storia segnata dalla guerra, che al Piermarini è approdata in un momento in cui i conflitti sono tornati a preoccupare, Ucraina e Gaza in testa e gli altri dimenticati a seguire. Così, il 7 dicembre 2024, fuori dalla Scala si era radunato un gruppo di manifestanti poco contenti per la scelta di affidare ad Anna Netrebko la parte di Donna Leonora. Russa, nata nella città di Krasnodar nel 1971, seppur naturalizzata austriaca nel 2006, è stata accusata dalla comunità ucraina milanese di essere complice di Vladimir Putin, che – denunciava l’associazione Ponte Atlantico – non ha mai perso occasione «per utilizzarla come strumento di propaganda politica, ai fini del suo disegno imperiale». Qualche fischio era arrivato anche da dentro il Piermarini, in mezzo a tanti applausi. Il sovrintendente Dominique Meyer (che poi ha lasciato il passo a Fortunato Ortombina) aveva bollato il tutto come «ridicolo»

In realtà erano mesi che Netrebko camminava sul filo del rasoio ovunque si girasse. Dal 24 febbraio 2022 in poi, data dell’invasione russa d’Ucraina, qualsiasi teatro con cui avrebbe dovuto lavorare le aveva chiesto di prendere una posizione contro Putin, anche se subito aveva condannato la guerra in sé. «Obbligare gli artisti o qualsiasi personaggio pubblico a dar voce alle proprie opinioni politiche e a denunciare la propria patria non è giusto. Come molti miei colleghi non sono esperta di politica. Sono un’artista e il mio scopo è unire le persone al di là delle divisioni politiche», scriveva due giorni dopo la data d’inizio della guerra. Innervosita, aveva dato forfait per l’Adriana Lecouvreur prevista per il 9 marzo 2022 alla Scala, dopo che era saltata la collaborazione con Valery Gergiev, il direttore principale del teatro Mariinskij di San Pietroburgo, vicino a Putin, sempre per non aver preso una posizione chiara. Netrebko aveva poi provato a salvarsi con la condanna della guerra, ma ricordando di amare il suo Paese. Non abbastanza. Era stata mollata di qua e di là, Metropolitan Gala di New York incluso. Alla fine era bastata una timida frase per riabilitarla: «Ho incontrato il presidente Putin solo poche volte in tutta la mia vita, in particolare in occasione di alcuni premi ricevuti in riconoscimento della mia arte o alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Per il resto non ho mai ricevuto alcun sostegno finanziario dal governo russo e vivo e risiedo fiscalmente in Austria. Amo la mia terra natale, la Russia, e cerco solo la pace e l’unità attraverso la mia arte». Così, era però stata scaricata dall’Opera di Novosibirsk, Siberia, per aver «tradito la madrepatria»

La figura di Netrebko, illustre e pesante insieme, ha finito forse per offuscare il fatto che i quattro atti de La Forza del Destino si muovono tutti tra epoche e conflitti diversi. Il racconto prende il via nel Settecento e si spinge poi fino ai giorni nostri, «senza vincolarsi rigidamente a una precisa aderenza storica», spiegavano le note di regia di Muscato in sala. Come a dire che la Storia scorre, ma ci si ricade sempre. Con un’artista russa a gridare «Pace» sul finale. Le polemiche non hanno fatto paura alla Scala. Il 7 dicembre si ritorna con Una Lady Macbeth nel Distretto di Mcensk di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, regia di Vasily Barkhatov, scenografia di Zinovy Margolin, costumi di Olga Shaishmelashvili, luci di Alexander Sivaev. Tutti russi, tranne Margolin, bielorusso.  

Rolex Perpetual Arts

La Forza del Destino si inserisce nell’iniziativa Perpetual Arts di Rolex, con cui l’azienda sostiene da oltre cinquant’anni artisti e istituzioni culturali. L’iniziativa comprende architettura, arti visive, cinema, danza, letteratura, musica e teatro, con l’obiettivo di promuovere l’eccellenza artistica e trasmettere il patrimonio culturale alle generazioni future.

Teatro alla Scala di Milano
Teatro alla Scala di Milano
Teatro alla Scala di Milano