
Michella Bredahl dall’altra parte dell’obiettivo, contro l’oggettificazione della donna
Michella Bredahl usa la fotografia per restituire potere alla rappresentazione della femminilità – Love Me Again mostra lo spazio privato fuori dalle gerarchie e discriminazioni della rappresentazione femminile
Michella Bredahl e il ritrattismo come denuncia
Nella fotografia commerciale non c’è quasi mai amore. Solo lo sfruttamento di corpi simili, snelli e spesso giovanissimi che muovono la macchina del consumismo. Siamo ancora immersi nel pensiero “maschiocentrico” e da un’industria che usa il corpo femminile per vendere.
Al contrario, la storia della fotografia contemporanea ha reso visibili nuovi scenari del ritratto al femminile. Pensiamo all’eredità lasciata dall’attivista americana Nan Goldin, Corinne Day e l’artista francese Lise Sarfati che rappresentano scene di vita quotidiana e di profondo intimismo. La fotografa e video maker danese Michella Bredahl recupera quell’immaginario inserendo un elemento ulteriore: l’autoanalisi. I suoi ritratti femminili di scene private sono un mezzo per riscoprire l’amore verso il corpo femminile, un modo per affrontare i traumi della sua infanzia e adolescenza e per scoprire di non essere sola nella sofferenza. Attraverso le scene che mostra riesce a mettere in campo i suoi sentimenti, le storie che racconta sono la sua, quella di sua madre, sua sorella, le sue amiche di scuola.
Michella Bredahl fotografa vs modella
Nell’industria moda, di cui anche la fotografa ha fatto parte (lavorando come modella a partire dai suoi 14 anni), chi scatta è quasi sempre un uomo ed il suo sguardo annulla quella libertà e gioia che sta nel posare di fronte alla fotocamera perché la motivazione dietro l’immagini finale è molto diversa. Un sistema coercitivo «per cui se non sei un mezzo che porta soldi, nessuno ti riconosce», una gerarchia di persone basata su canoni estetici prevalentemente discussi dagli uomini che o ti escludono o ti selezionano. Non esiste libero arbitrio, se un’immagine di te vende, non interessa a nessuno se non vuoi essere mostrata in quel modo, con quell’intimo, in quella scena.
L’atto di fotografare – invece di stare di fronte all’obiettivo di qualcun altro – segna per Michella Bredahl una ribellione contro questo meccanismo e un percorso di riparazione di tutte quelle insicurezze che le aveva provocato. « Quando si fotografa è come se si prendesse qualcosa dall’anima della persona che hai di fronte, bisogna quindi mostrare rispetto verso di lei e di ciò che ci sta lasciando, custodendolo». Solo così si crea uno spazio di fiducia. L’esperienza dell’artista come modella è avvenuta quando era molto giovane, tra adulti e giovani in quell’ambiente si utilizza quasi sempre un linguaggio abusivo: «il set diventa il riflesso dell’insicurezza degli adulti che maltrattano i giovani solo per elevare la loro posizione».
Michella Bredahl racconta scene familiari
Il libro in cui sono stati raccolti dieci anni di ritratti si intitola Love Me Again (2023), un esercizio costante che ricolloca quel potere attraverso cui l’immagine femminile è sempre stata assoggettata, sfruttata verso un’energia sospesa che appartiene ed accomuna l’essere donna. Prodotto dalla casa editrice Loose Joints che ha scelto una copertina dal colore quasi provocante, rosso bordeaux, Love Me Again racconta l’essenza della femminilità accanto alla sessualità, alla sicurezza e alla realtà semplice e non filtrata dei suoi soggetti. Quelle che fotografa Michella non sono mai modelle ma conoscenti, amiche care con cui è in grado di instaurare uno scambio reciproco e privo di giudizi.


L’aspetto autobiografico del libro si percepisce proprio dalle ambientazioni scelte. Cresciuta nel complicato ambiente delle case popolari (Høje Gladsaxe Vulnerable Residential Area) ha cominciato a fotografare molto giovane la sua famiglia, << sono cresciuta con l’idea che fosse normale fotografare momenti intimi in casa>>. Sopratutto è cresciuta senza un riferimento di amore da parte dei suoi genitori così che la fotografia diventasse un rifugio attraverso cui creare un ordine di ciò che la circondava. La madre ha passato la maggiorate dell’infanzia di Michella stesa nel letto della sua camera perché non si sentiva mai bene; questa posa, “stesa sul letto” nella sua ambivalenza di significato – sensuale e vulnerabile – ritorna spesso tra i ritratti di Michella. La riconnette ai suoi ricordi familiari.
Uno spazio non discriminante
Con le sue immagini Bredahl vuole creare una condizione di agio dove le persone che ritrae si sentano amate nonostante il loro aspetto fisico o la loro identità, questo non avviene all’interno di uno studio che le ricorda la sua esperienza da modella, ma in spazi privati, quelli che quando era piccola percepiva come inospitale adesso è diventato una famiglia allargata, una comunità. Lo spazio circostante è tanto cruciale quanto il soggetto che fotografa : sono camere da letto (la stanza più vulnerabile), a volte camere d’albergo, vasche da bagno dove la fotografa lascia che l’energia femminile agisca da sola nelle più naturali, rilassati e languide scene. Rappresentano una sensibilità comune che non significa debolezza ma anzi recupera quel empowerment tolto dagli sguardi capricciosi degli uomini.
L’energia della femminilità
Quest’aurea che le circonda è come se facesse assomigliare le scene domestiche in scene “religiose”, se pensiamo all’immagine dell’amica Klara col vestivo verde che abbraccia sua figlia neonata, potrebbe tranquillamente rappresentare una Madonna. Sono rimandi inconsapevoli ad un immaginario di cose diverse che si lega all’infanzia e al passare del tempo. Questo modo di mostrare l’immagine femminile nella sua forza e bellezza delicata rende le figure di Michella Bredahl sospese.
Il libro e la ricerca visiva dell’artista non vuole trarre nessuna conclusione. L’essenza della femminilità è qualcosa di costantemente mutevole «è il racconto della mia esperienza con la femminilità, qualcosa presente in ciascuno di noi, che dovrebbe essere permessa in ciascuno di noi, non è prerogativa della donna».
Love Me Again, così come l’archivio decennale dell’artista contiene diversi ritratti di uomini. Nello stesso sguardo della fotografa c’è un’attrazione per entrambi i sessi, con la differenza che di fronte alla vulnerabilità ed intimità di un corpo femminile, Michella racconta come riesca a percepire una fiducia e sicurezza maggiore. La maggior parte degli uomini ritratti sono o gay o in grado di mostrare una sensibilità simile a quella femminile e costruire un ambiente di scambio sicuro. «Al contrario, quando mi trovo da qualche parte sola a dover ritrarre un uomo che non conosco c’è una sensazione latente che mi rende insicura. Potrei sbagliarmi ogni volta ma preferisco perdere quell’occasione». Essere cresciuta in un ambiente misogino, sfruttata e abusata in giovanissima età ha contribuito a crescere una diffidenza ancora maggiore, e così è per chiunque abbia avuto esperienze spiacevoli con la mascolinità.
Il lavoro della fotografa danese si inserisce all’interno di una serie di voci che attraverso la ritrattistica parlano di lotta d’identità, emancipazione e resistenza, che non vogliono essere minimizzati o sostituiti. Michella Bredahl riesce a rappresentare questi valori di empowerment attraverso la grazia e solidarietà di queste donne silenziose, l’energia della femminilità contemporanea.
Michella Bredahl
L’artista visiva e film maker Michella Bredahl (1988, Danimarca) ha studiato regia alla Danish Photography School (2011) e alla National Danish Film School (2019). Oggi vive e lavora a Parigi concentrandosi sulla rappresentazione di determinati gruppi di persone e comunità, come le ragazze adolescenti e le madri.
Claudia Bigongiari




