Patty Pravo, shooting per Playmen, 1981

Chi si vergogna ancora di godere? La serie Mrs Playmen su Netflix

Dalla rivista sequestrata all’alba in edicola alle chat di revenge porn: la serie Netflix su Adelina Tattilo rimette a processo l’educazione sentimentale e sessuale dell’Italia cattolica

Quando Netflix propone il “peccato”, tu clicchi riproduci 

Fuori la sera inizia a far freddo. Coperta, divano, telecomando in mano. A un certo punto compare lei: Mrs Playmen. Locandina in giallo, Carolina Crescentini in tailleur, slogan sulla donna che “ha messo a nudo l’Italia”.

È il 2025: di nudi integrali ne hai quanti ne vuoi, gratis, sul telefono. Eppure questa storia anni Settanta di una madre cattolica che finisce a dirigere una rivista di gnocca in un Paese da pretore ti aggancia subito.

La serie costruisce la sua favola: marito fedifrago che scompare, tre figli, una redazione maschile che la guarda come un incidente, processi per oscenità, sequestri, confessionali, politici scandalizzati. Tutto fotografato in luce calda, montato come empowerment story con eyeliner e sigaretta. 

Funziona. Scorre. Ti fa tifare per lei. Ma se resti lì, fermo alla serie, ti perdi la parte interessante: quella in cui l’emancipazione non è glamour, ma puzza di inchiostro, tribunale, sudore, soldi.

Prima di Netflix: le suore, i pretori, Playmen

Adelina Tattilo viene dal Sud, dal collegio delle suore, da un’Italia in cui il corpo femminile è proprietà privata della morale cattolica. Roma le offre il boom, la pubblicità, la carta stampata.

Nel 1967 decide: basta cronache d’attualità e rivistine tiepide. Vuole la risposta italiana a Playboy. Nasce Playmen. Nudo soft, atmosfere borghesi, più erotismo che pornografia, foto patinate, titoli ironici, nomi propri in copertina.

Playmen non è solo seni e paginoni: tra una ragazza del mese e l’altra compaiono interviste a Federico Fellini, Michel Foucault, Peggy Guggenheim, Susan Sontag, Giorgio de Chirico, Allen Ginsberg, Herbert Marcuse, Jean-Paul Sartre; accanto scorrono reportage d’arte, pezzi firmati da Carmelo Bene, Tennessee Williams, Henry Miller. Il mensile mette sullo stesso livello figa e filosofia, cinema d’autore e politica dei corpi, in un impasto che nessun’altra rivista italiana osa nemmeno tentare.

La formula prende fuoco. Nel giro di pochi anni la tiratura arriva intorno alle 450 mila copie: cifre da quotidiano nazionale per una rivista che stampa nudi e interviste a Marcuse nella stessa cucitura.

Ogni mese la stessa scena al bar-tabacchi: uomini che comprano la rivista alle sette del mattino, la infileranno dentro La Domenica del Corriere o Famiglia Cristiana, e poi, più tardi, i carabinieri che arrivano a sequestrare quello che è rimasto in nome del buon costume. Tattilo e i suoi imparano il trucco: consegnare in edicola il sabato, quando la polizia controlla meno.

Il Paese ufficiale brucia Playmen nelle cancellerie; il Paese reale lo nasconde dietro il giornale “serio” sul comodino. È già tutto lì, in quel gesto: sesso in edicola, rosario sul comodino.

Brigitte Bardot, le italiane, Jackie Kennedy: diplomazia in topless su Playmen

All’inizio le Ragazze del mese sono quasi timide: Brigitte Bardot che copre il seno con le braccia, attrici italiane che si spogliano a metà, giochi di teli bagnati più che di corpi spalancati. Tattilo capisce presto che il vero colpo non è il corpo, è il nome.

Passano dalle pagine Patty Pravo, Ursula Andress, Nastassja Kinski, Ornella Muti, una genealogia di volti che il cinema, la TV, la musica stanno già trasformando in icone; qui diventano qualcos’altro: la prova che il desiderio italiano non è più confinato alla fantasia ma stampato, numerato, venduto in edicola.

Poi arriva lo scandalo da manuale: Jackie Kennedy Onassis fotografata nuda alla piscina di Skorpios, l’ultima first lady sacra, la vedova di tutte le vedove, trasformata da Playmen in donna qualunque col costume tolto fra una bracciata e l’altra. Diplomaticamente, una mina; editorialmente, un picco di vendite che definisce un’epoca.

Il messaggio è ruvido, quasi crudele: nessuno è intoccabile. Non lo è la santa vedova, non lo è la diva, non lo è la studentessa che posa per pagarsi l’affitto. Se ti esponi, ti vedono. Se ti vedono, ti consumano. Tattilo non cerca di addolcire la cosa: ci costruisce un impero editoriale sopra.

Mrs. Playmen, serie Netflix con Carolina Crescentini
Mrs. Playmen, serie Netflix con Carolina Crescentini

“Mi hanno messa in galera”: quando l’emancipazione è business 

Nel trailer di Mrs Playmen, alla domanda «Come ci è finita una donna come te a pubblicare riviste erotiche?», la Tattilo di Carolina Crescentini risponde: «È molto semplice, in realtà. Mi hanno messa in galera». La serie apre da qui, trasformando in battuta quello che, nella sua biografia, è stato un vero corpo a corpo con pretori, sequestri e processi. 

L’incontro con la giustizia italiana è fisico: questura, corridoi, celle, processi, non hashtag. Le riviste di Tattilo sono letteralmente prove a carico. La serie Netflix questa parte la smussa. La trasforma in scena da drama: la protagonista che esce dal carcere, gli abbracci, la musica che sale. Nella realtà è stato sudore, umiliazione, rischio d’impresa, soldi che saltano, famiglia che trema.

Per Adelina Tattilo l’emancipazione non è lo slogan. È un bilancio economico che regge o crolla a seconda di quante copie riesci a vendere prima che il PM ordini il sequestro.

Playmen: rivista “per uomini”, laboratorio per donne

Sulla carta, Playmen è “per uomini” (etero). Lo dichiarano la grafica, i claim, il paginone centrale pensato per lo sguardo di lui.

Eppure, se guardi dietro le copertine, trovi un altro disegno. Tattilo usa i soldi del nudo per finanziare dizionari della letteratura erotica, un libro pro-marijuana che fa sobbalzare più di un magistrato, numeri speciali che ricodificano il fascismo in chiave grottesca e sessuale, e soprattutto testate come Libera, rivolte a una borghesia femminile che non si riconosce più nella casalinga di Carosello.

L’erotismo diventa cavallo di Troia: la rivista entra in salotto per le tette, resta perché dentro si parla di aborto, divorzio, lavoro, sessualità, con la stessa serietà con cui altrove si discutono piani regolatori o leggi finanziarie.

Tattilo non abolisce il male gaze, ci danza sopra. Sa benissimo di usare i corpi delle ragazze per attirare un pubblico maschile e sa altrettanto bene che senza quel flusso di denaro non potrebbe stampare nulla che parli di libertà femminile. L’operazione è spuria, moralmente scomodissima. Proprio per questo, politicamente interessante.

L’Italia moralista: desiderio, vergogna, colpa

L’Italia cattolica non è mai stata un Paese senza sesso. È sempre stata un Paese che pretende di non parlarne.

Playmen rompe la diga: porta il sesso sul banco dell’edicola, lo mette accanto al giornale sportivo, al settimanale di gossip, alla settimana enigmistica. Quel passaggio dalla camera da letto al marciapiede è uno scandalo metafisico: ciò che doveva restare nel confessionale diventa merce fiscale, fattura, tiratura.

La risposta del sistema è schizofrenica. Da una parte i processi per oscenità, i blitz in tipografia, le copie sequestrate e distrutte. Dall’altra le lettere dei lettori, le file all’alba, la mania di collezionare ogni uscita, di rilegare i numeri, di costruirsi un archivio erotico privato dietro una porta chiusa a chiave.

La serie Mrs Playmen restituisce bene il folklore – le parrucche, i preti, gli avvocati, le madri che sbiancano quando scoprono che la figlia ha posato. La domanda che ci riguarda oggi è: quanto di quel riflesso – eccitarsi e poi condannare – ci è rimasto addosso?

Dalla pagina patinata allo screenshot: chi controlla il corpo?

All’epoca, per finire su Playmen, dovevi passare da un set, firmare un contratto, incontrare un fotografo, una redazione, un direttore responsabile. C’erano luci, trucco, rullini, pellicole, laboratori, camion che distribuivano i fascicoli. Un’intera filiera di corpi che lavoravano sui corpi.

Oggi basta un telefono. Una foto a un partner, un video in webcam, un topless in spiaggia caricato in una cartella cloud. Lo spazio tra intimo e pubblico è un tap di distanza.

L’Italia che metteva Adelina sotto processo ha aspettato il 2019 per introdurre un reato specifico sul revenge porn e ancora oggi è abilissima a trasformare le vittime in materiale da talk show: lacrime, prime serate, scaricabarile morale. Abbiamo scambiato il pretore che sequestra in edicola con l’influencer che commenta la “vergogna” della ragazza di turno in diretta streaming. La pulsione è la stessa: guardare, consumare, giudicare.

Playmen era una macchina esplicita: sapevi chi ti guardava, dove finivi, chi prendeva i soldi. Oggi la pornografia è ovunque e da nessuna parte, dispersa fra siti, gruppi Telegram, archivi personali. L’ipocrisia è la stessa, solo più veloce e meno tracciabile.

Carolina Crescentini in una scena di Mrs. Playmen su Netflix
Carolina Crescentini in una scena di Mrs. Playmen su Netflix

Dalle ragazze del mese alle creator di Onlyfans: il denaro del desiderio

Una domanda che la serie Mrs Playmen sfiora appena è: chi monetizza il desiderio?

Negli anni Settanta, i soldi entrano in cassa a Roma. Vanno alla casa editrice, alla tipografia, ai distributori, ai fotografi, alle modelle. È un sistema patriarcale, certo, ma ha nomi, cognomi, contratti, cifre, vertenze.

Oggi il denaro del desiderio scorre altrove. Finisce nelle casse delle piattaforme pornografiche globali, nei wallet criptati, nei bilanci dei social network che ti avvisano che “alcuni contenuti potrebbero essere sensibili” e intanto vendono pubblicità sopra e sotto quei contenuti.

Le ragazze del mese sono diventate creator, camgirl, sex worker digitali, che spesso prendono la parola, si organizzano, rivendicano diritti. Attorno a loro c’è una nuova infrastruttura di sfruttamento: commissioni sulle transazioni, shadow banning moralista, moderazioni algoritmiche che puniscono più il capezzolo di una donna che l’insulto di un uomo.

Tattilo, almeno, non si nascondeva dietro la neutralità di una piattaforma. Firmava, rispondeva, ci metteva faccia e cognome. Playmen era il suo “peccato” dichiarato.

Playmen chiude, la pornografia resta

Nel 2001 Playmen chiude, non sconfitta dalla morale cattolica ma dalla concorrenza spietata dell’hard online gratuito e della televisione satellitare. La pornografia diventa infrastruttura di base di internet: come l’acqua dei rubinetti, c’è sempre, da qualche parte, gratis.

Zoppica la carta, non muore il meccanismo. Anzi, si perfeziona: il desiderio viene atomizzato in clip, categorie, tag, preferenze, playlist. Il corpo femminile viene spezzettato, ottimizzato, raccomandato. Nessuno rischia più il carcere. Qualcuno rischia ancora il suicidio.

Nel frattempo, la stessa estetica softcore di Playmen – luce morbida, nudità suggerita, sguardo in camera, erotismo “chic” – viene riciclata da moda, beauty, profumi. Il nudo sparisce dove era onesto e riappare dove è venduto come lifestyle.

A cosa serve oggi Mrs Playmen

Cosa ce ne facciamo, allora, di Mrs Playmen?

Al netto della fotografia bella, dei costumi, delle trovate narrative, la serie vale se la usiamo per sporcare di nuovo una storia che stiamo ripulendo troppo.

Adelina Tattilo non è un santino femminista da appendere tra Frida Kahlo e le suffragette. È una figura scivolosa, commerciale, contraddittoria. Una donna che ha usato il desiderio maschile, le fantasie, le tette in prima pagina per finanziare un pezzo di modernizzazione del Paese: il diritto al divorzio, la discussione sull’aborto, la possibilità di dire “io voglio” senza aggiungere “mi dispiace”.

L’Italia di oggi ama raccontarsi come molto più avanti. Fa campagne contro la violenza di genere, organizza giornate contro il femminicidio, mette panchine rosse in ogni quartiere. Poi, ogni volta che una ragazza decide di spogliarsi – per arte, per lavoro, per piacere, per soldi – è una troia. Parte lo stesso copione: curiosità famelica, consumo, condanna.

Sesso in edicola, rosario sul comodino. Ieri bastava cambiare la copertina della rivista per sentirsi a posto con la coscienza. Oggi basta chiudere una finestra del browser e aprirne un’altra, più pulita.Guardare Mrs Playmen senza questa consapevolezza significa trasformare una storia ruvida in un’ennesima comfort series. Guardarla con addosso il presente, invece, vuol dire riconoscere che quel Paese lì – quello dei pretori, delle suore, delle ragazze del mese – non è morto. È solo passato a fibra ottica.

Federico Jonathan Cusin

Patty Pravo per Playmen, 1981
Patty Pravo, shooting per Playmen, 1981
Patty Pravo, shooting per Playmen, 1981
Adelina Tattilo nel 1979
Adelina Tattilo nel 1979
Adelina Tattilo