Atrio

Uomini di Milano: Roberto Spada e le sue complicazioni

Complicazioni, flussi di anni che corrono e restano: dal suo studio in un edificio di Caccia Dominioni, Roberto Spada racconta il suo lavoro, i suoi amici, compone una sua immagine di Milano

Roberto Spada a Cuneo, una cena con Marisa Bellisario quando aveva vent’anni, l’idea abbandonata di una tabaccheria

Roberto Spada è un nome che torna e ritorna, che muove e smuove, più di quanto sia lecito pensare possa gestire un commercialista, anche se tra i più operativi in città. «Marisa Bellisario era nata a Cuneo come me. Ritornava ogni tanto, lì vivevano i suoi genitori. Io ero un ragazzo di vent’anni, ero inibito da questa donna che appariva su tutti i giornali e di cui il mondo parlava. Una sera era a cena a casa nostra. A tavola, mangiai in silenzio. Mi guardò e mi chiese cosa volessi fare da grande. Risposi che volevo fare il manager. Mi chiese se potesse darmi un consiglio e mi disse che fare il manager non sarebbe stata la strada giusta per me. Disse che sarei stato bravo come professionista. Era la stessa parola che mi ripeteva mio padre, professionista – pensai guarda questi due farabutti che si sono messi d’accordo».

«Sono nato nel 63, a Cuneo. I cuneesi andavano a Torino, e io a Torino ero andato per studiare Economia. Volevo fare l’archeologo, oppure avrei aperto una tabaccheria e me ne sarei rimasto a Cuneo. Sono finito a lavorare in una banca in Svizzera. Un amico di mio padre aveva un cognato commercialista a Milano e mi propose di iniziare lì. Andai a Milano. Milano – per chi nasceva a Cuneo – era come dire Hong Kong».

Da Cuneo a Milano, Roberto Spada e le operazioni: le complicazioni, i primi clienti

Arrivò a Milano e iniziò a lavorare. Roberto Spada era un dipendente alle prime armi ma comprese subito che alcune operazioni erano lontane da quanto si fosse immaginato. «Acquisizioni, strategie, complicazioni. Mi presi una seconda laurea in giurisprudenza e cominciai a lavorare come un pazzo. Il primo che ha creduto in me fu Gianfilippo Cuneo» da notare la coincidenza tra il cognome di un mentore e la città di provenienza di Roberto Spada. «Gianfilippo Cuneo mi ha accreditato nel mondo delle operazioni di acquisizione. Avrò avuto 28, forse 29 anni. Le operazioni con Cuneo erano fatturato che portavo allo studio. Arrivarono altri clienti, allo studio, sì – ma cercavano me. Dicevano se questo qua, giovane, sveglio, lavora con Cuneo, vuol dire che è capace. Non mi sono mai spaventato davanti alle complicazioni, mai davanti ai piccoli dettagli. Non chiedermi i nomi dei miei clienti – non te li direi, e comunque alcuni li sai». 

La sede dello studio di Roberto Spada in Corso Italia, un edificio di Caccia Dominioni, Ornella Vanoni

Siamo seduti nel suo studio di Corso Italia, l’edificio del Caccia Dominioni la cui facciata è ricoperta da un mosaico di tesserine in vetrini opachi color terra, stampate in rilievo, come se l’impasto della ceramica avesse mescolato radici, sassi e fango. Complicazioni. La ruvidità del razionalismo di Milano: il disegno geometrico tra linee ortogonali per un parallelepipedo disteso. Le torri laterali – e all’ingresso le scale ellittiche, i cortili ovali. Questa sede è stata acquistata da Roberto Spada nel 2015.

«Prima stavo in Mascagni, un ufficio borghese, con lo scalone padronale. Insieme all’agente immobiliare iniziai il giro, visite e sopraluoghi. Quando arrivo di fronte a questo palazzo, dico che non sarei neanche entrato. Non volevo edifici anni Cinquanta, non mi importava fosse stato disegnato dal Caccia. L’agente insisteva, sono arrivato fino a lì, che almeno salissi – io mi rifiutavo. L’agente mi chiese un favore, la proprietà era lì presente, se non fossi salito gli avrei fatto fare una figura misera».

«Questo posto era distrutto. Il film del Fracchia. Sono entrato e uscito. Sono tornato giù, convinto sul no – poi ho visto la magnolia nel cortile interno e la magnolia ha smosso il mio diniego. Sono risalito, ho fatto un altro giro, ho notato questa finestra da questa stanza dove siamo adesso noi. Ho detto lo prendo. L’agente mi ha guardato, mi prendeva per pazzo – ma se non voleva neanche salire? Lo compro – ripetei. Tornai in ufficio, dissi ai miei soci che avevo comprato un ufficio di 1200 metri quadrati. Erano dieci anni fa. Al restauro lavorò Massimiliano Locatelli. Decidemmo di lasciare il sapore degli anni Cinquanta pensato dal Caccia».

Pareti in kinkler, cortile interno, Corso Italia 22
Pareti in kinkler, cortile interno, Corso Italia 22
Dettagli scala ingresso, Corso Italia, Milano, architetto Luigi Caccia Dominioni
Dettagli scala ingresso, Corso Italia, Milano, architetto Luigi Caccia Dominioni
dettaglio, lampadario Ingazio Gardella
dettaglio, lampadario Ingazio Gardella

Lo studio di Roberto Spada e l’arte contemporanea complicata: una serie fotografica di Maria Morganti, il colore come sedimento

L’ufficio di Roberto Spada è una galleria di arte contemporanea, interconnessa e complicata: una collezione che si dispiega in ogni vano, e che prosegue nelle sue abitazioni private. Maria Morganti (1965) è un’artista di Venezia che lavora con il colore inteso come sedimentazione di materia. Nel corridoio che segue il perimetro ovoidale del cortile, Roberto Spada mi spiega il lavoro: una serie fotografica è disposta a coprire l’intera parete. Forse un centinaio, ma magari anche il doppio, sono le fotografie stampate e incorniciate, grandi come fogli di stampante, che ritraggono lo stesso identico spigolo, tra muro e acqua, di un canale veneziano. La fotocamera è rimasta ferma per oltre un anno, puntando un muro in mattoni rossi, calce e intonaco, lambito dall’acqua del canale, dove le muffe e le alghe variano con la temperatura, le maree e la pioggia. Il calore brucia la clorofilla, questa diventa substrato per altro calore, cambiando colore. Complicazioni.

«Andammo in India una settimana, io e Claudia Gianferrari, a caccia di artisti per la sua galleria di Brera. C’era un tacito accordo tra noi – prima a lei la scelta, poi compravo io. Come a riconoscere una priorità professionale. A una certa, questa deferenza mi annoiò – presi in mano il catalogo, vidi queste due statue e dissi di fretta le compero – senza sapere cosa compravo, quanto costassero. Soprattutto, feci confusione i pollici con i metri. Pensavo arrivassero due statue da tavolo – alla consegna mesi dopo a Milano, il portiere avvisò che era arrivato un fattorino con due bare». 

Roberto Spada e il suo giro di amici – dalle sorelle Cosma ad Ariela Goggi, andando al Plastic la notte – una festa al Super Studio

Roberto Spada vira il racconto sui primi anni a Milano. «Fuori dallo studio commercialista non conoscevo nessuno. Ero arrivato a Milano un po’ come il pirla con la valigia – ma dietro alle mie spalle avevo una famiglia che poteva sostenermi, non facevo il poverello. Un’amica di mia madre aveva sposato Tino Cosma, le sue cravatte negli anni Ottanta facevano il giro del mondo. Viveva a Milano e aveva due figlie della mia età, circa – 23, 25 anni. Furono le prime persone che ho cominciato a frequentare a Milano. Raffaella e Sandra Cosma erano nel giro delle riviste di moda – con loro ho conosciuto Letizia Schatzinger, Giulia Masla, Antonio Mancinelli, Ariela Goggi. Questo era il mio gruppo di amici. Chiara Sciolla, Alessandra Corvasce, Emanuela Testori. Andavamo a ballare al Plastic. Io sono arrivato qui nell’87, I primi anni di rodaggio, 88, 89. Diedi una festa per i miei trent’anni, nel 93 insieme ai miei amici, al Super Studio. Apparteneva a Fabrizio Ferri, prima che lo prendesse Gisella Borioli». 

Roberto Spada e l’incontro con Ornella Vanoni, l’Hotel de Milan, la casa in Porta Romana, i Bolivento, Roberta Balsamo ed Eva Robbins

Il racconto di Roberto Spada porta fuoco su una Milano di fine anni Novanta, quando la città borghese era il centro della sua vita sociale, quando una reazione alla ricchezza sfrontata definiva chiunque si sentisse giovane. Si andava al Paper Moon, in piazza San Marco, da Bebel. Al Garibaldi e in corso Como da Carla Sozzani –si andava poco in Piazza San Babila. Mentre mi parla suona il suo telefono, è Ornella Vanoni, gli dice di raccontarmi dei suoi capelli bianchi anche da giovane. «Dopo due anni che vivevo a Milano, conobbi Ornella. All’epoca era una belva, una grande diva tormentata. Un personaggio di prima linea. Una donna intelligente. Ci siamo presi per la testa. Mi disse: Ah, ma tu sembri sveglio. Una donna di 45 anni – io un ragazzino di 28 anni. Ero un bambino, ma avevo già i capelli bianchi. Mi invitò a cena dopo pochi giorni. A casa sua c’erano Elio Fiorucci e Lina Sotis».

Si dice che a Milano non esista più la società. Che le case sono piccole, i tavoli apparecchiati per pochi. Si va al ristorante, si sta poco a casa degli altri. Ai tempi, si usava andare a trovare gli amici dopo cena, dalle dieci a mezzanotte. Adesso, a Milano, si va a letto alle undici e un quarto, durante la settimana, non più tardi.

La casa in Porta Romana al 57: Roberto Spada voleva invitare chiunque – dagli avvocati quelli seri, fino ai tossici. Incontro dopo incontro, piano piano, il cerchio si allargava. «Fin da quando ero ragazzino, anche a Cuneo, mi piaceva invitare gente a casa. L’appartamento di Porta Romana non aveva corridoi, una stanza dava dentro la successiva. Si ballava. C’era Donato Maino mio amico per la pelle, ex marito di Carla Sozzani. C’erano Pucci e Claudio Bolivento, il produttore cinematografico che aveva lavorato con Aznavour e che aveva diretto Telemontecarlo con Montanelli e che lanciò attori e registi italiani in quegli anni Novanta – Marco Tullio Giordana, Michele Placido. A casa dei Bolivento ho conosciuto Alba Parietti. Roberta Balsamo, la moglie di Saro Balsamo, che era l’editore di riviste porno. Una delle signore della città. Andavo in giro con lei e con Marta Marzotto – abitavano nello stesso pianerottolo, in via Manzoni. Daniela Bertazzoni e suo fratello Jerry conducevano l’albergo di loro proprietà, l’Hotel de Milan, come fosse un salotto».

«Di ritorno da una trasferta a Roma con lo studio, penso di fermarmi a Bologna. Il treno passa dalla stazione alle sei del pomeriggio – viene a prenderti una mia amica, aveva organizzato Eva Robbins. Scendo dal treno, il gruppo di colleghi sul vagone mi osservavano dal finestrino. Mi trovo davanti un travestito, alto e forte e bello, con gambe lunghe chilometri e peli sulle braccia. Sei tu l’amico dell’Eva? Io ho detto sì – mi ha preso la valigia col dito»

Tasselli in ceramica, architetto Luigi Caccia Dominioni
Tasselli in ceramica, architetto Luigi Caccia Dominioni
Ingresso, Corso Italia, Milano, architetto Luigi Caccia Dominioni
Ingresso, Corso Italia, Milano, architetto Luigi Caccia Dominioni
Robertro Spada e Ornella Vanoni
Robertro Spada e Ornella Vanoni

«Per i miei quaranta anni ho preso il Ragno d’Oro. Il tema era Priscilla, la Regina del Deserto. Avevo reclutato 30 o 40 trans belli che facevano i padroni di casa. Per i miei cinquanta anni, ho invitato 1250 persone all’Excelsior del Lido durante la festa del Cinema di Venezia. Per i sessanta ho fatto un picnic a Cuneo».

Locali, localacci, feste e festacce – una Milano Pop che era la parafrasi della Milano da Bere, ma già ne mostrava i codici. Tutto finiva, o meglio, proseguiva, al Plastic – così come succede anche oggi. Lucio Nisi oggi non c’è più – ma Nicola Guiducci, Sergio Tavelli e la Pinky tengono il volume alto. Si torna a casa alle dieci del mattino, con gli occhiali da sole mentre le mamme portano i bambini al parco. A trent’anni ti senti in colpa, a quaranta va tutto bene così. Ballare, stare con gli amici – crescendo non capita più tutte le sere, ma quando capita, ti piace di più.

«A trent’anni pensi di avere il mondo in mano e non sai cosa sia la vergogna. Se io potessi tornare indietro a trent’anni, non che abbia alcuna voglia di tornare – ma con l’esperienza che ho oggi, certe cose non le avrei lasciate sul tavolo. Ho perso occasioni – non a livello professionale, sul lavoro ho realizzato tutto quello che avrei voluto – ma a livello personale. Ho perso occasioni con persone che non avrei voluto perdere».

Milano, la città e le donne: una responsabilità per le istituzioni d’arte, le opinioni di Roberto Spada: Fondazione Prada, Hangar Bicocca e Brera

Milano è anche il luogo dove le persone hanno il terrore della solitudine. Soprattutto per le donne – signore e vedove, non più giovani, che fanno fatica a trovare un compagno. «Non credo che in città ci siano pochi uomini – anche se potrebbero essere non così tanti quelli interessati alle donne – ma sicuramente, nel centro città, si sta diffondendo uno stereotipo di donna o signora che non si è evoluta nel corso dei suoi anni, e che l’utilizzo di un social media ha addirittura portato a una involuzione psicologica, se non anche diseducativa»

Roberto Spada la mattina arriva in ufficio a piedi, camminando da casa sua in via Chiossetto. Attraverso Largo Augusto, costeggia la Statale. Guarda i tetti. «È chiaro che una città come Milano sarà pedonalizzata. La politica non vuole dichiarare questa intenzione, con parole chiare e semplici. Non so se io senta una responsabilità verso Milano – sei il primo che mi incastra su una domanda del genere. Ho tanti ragazzi giovani che lavorano nel mio studio. Pugliesi, sardi, napoletani: si fidanzano qui, si sposano qui a Milano. Fanno i figli qua. Milano ha una responsabilità verso di loro. Letizia Moratti è una delle donne più in gamba in città. Ha preso 42 mila preferenze. Possiede lo spessore culturale, morale, economico».

«Se qui a Milano non avessimo due istituzioni private come la Fondazione Prada e l’Hangar Bicocca saremmo forse l’unica tra le grandi città a non avere un vero museo di arte contemporanea. Tutto un quartiere, oggi si chiama Fondazione Prada. Grazie a Lia Rumma, l’Hangar Bicocca ha le Torri di Kiefer. La BAM dei Catella potrebbe avere lo stesso potenziale: potrebbe diventare il terzo luogo culturale della città per l’arte contemporanea. Forse un quarto è la Triennale, dedicata all’architettura e al design – ma non la vedo allo stesso valore culturale di Fondazione Prada e Hangar Bicocca. Brera deve sottostare a un accrocchio di norme diverse. Dopo anni, per l’Accademia di Brera non è ancora previsto il trasloco in via Vincenzo Monti. Follie»

Carlo Mazzoni

Scala, Corso Italia 22, architetto Luigi Caccia Dominioni
Scala, Corso Italia 22, architetto Luigi Caccia Dominioni
Atrio, Corso Italia, Milano, architetto Luigi Caccia Dominioni
Atrio, Corso Italia, Milano, architetto Luigi Caccia Dominioni
Roberto Spada e Letizia Schatzinger
Roberto Spada e Letizia Schatzinger