
Thaddaeus Ropac a Milano: custodire la forma a Palazzo Belgioioso
Elettrico al posto del gas, viaggi via terra, una piazza attiva: Elena Bonanno di Linguaglossa traccia la rotta di Thaddaeus Ropac – la galleria ha inaugurato a Milano, nel restaurato Palazzo Beglioioso
Lampoon in conversazione con Elena Bonanno di Linguaglossa, direttrice di Thaddaeus Ropac Milano: riportare alle origini 280mq di Palazzo Belgioioso
Elena Bonanno di Linguaglossa, direttrice di Thaddaeus Ropac Milano, ha seguito il restauro degli spazi che ora ospitano la sede milanese della galleria, all’interno di Palazzo Belgioiso. Racconta: «Me ne sono occupata insieme all’architetto Vittorio Dubini (la professione dell’architetto è di famiglia da lungo tempo, a cominciare dal fratello della nonna, Luigi Caccia Dominioni, ndr). La visione condivisa con il Sig. Ropac è di rispettare gli elementi già presenti, limitare alterazioni. L’idea di white cube non ci appartiene».
«Lo spazio in cui si estende la galleria era la libreria al piano nobile del palazzo; abbiamo poi altri due piani in Belgioioso. Partendo da questa storicità, abbiamo eliminato tutto ciò che non era attinente all’epoca, come pannelli in cartongesso. Abbiamo recuperato i legni grazie alle competenze di restauratori veneti e l’illuminotecnica è stata affidata allo Studio Adrien Gardère – già apprezzato per i suoi interventi a Versailles – così da non intaccare muri o soffitti del palazzo». L’idea è semplice e radicale: sottrarre, non imporre.
Palazzo Belgioioso: storia e architettura milanese di matrice neoclassica
Palazzo Belgioioso, progettato da Giuseppe Piermarini per Alberico XII Barbiano di Belgiojoso, viene edificato tra 1772 e 1781 nel cuore di Milano come una delle matrici del neoclassico cittadino. Facciata a risalto centrale su alto basamento rustico a bugnato, ordine gigante e timpano: impianto severo, calibrato sulla simmetria e sul rapporto tra strada, androne e cortile d’onore.
La struttura si articola attorno a tre cortili: quello principale è scandito da archi su colonne doriche in granito; da qui un criptoportico conduce al giardino retrostante, che storicamente si estendeva verso l’attuale area di piazza Meda. All’interno, lo scalone con vasi a calice e i parapetti in ferro lavorato impostano il lessico dei materiali; al piano nobile gli stucchi di Giocondo Albertolli e gli affreschi di Martin Knoller — programma iconografico di Giuseppe Parini — definiscono la galleria. Una cappella gentilizia completa il percorso tra rappresentanza e devozione.
Palazzo Belgioioso abita un paradosso tipicamente milanese: nel cuore di una città che offre sempre meno verde in superficie, il verde resiste spesso dietro portoni, nei cortili e nei giardini interni — preziosi, ma poco condivisi. Qui, l’architettura storica (cortile d’onore, criptoportico, giardino retrostante) e la cura dei materiali mostrano che conservazione e contemporaneità non sono termini opposti. Ospitare arte nel palazzo significa rendere permeabile un sistema chiuso: far dialogare sale, corti e piazza Belgioioso, spostando una quota di qualità — attenzione, tempo, manutenzione — dallo spazio privato allo spazio comune. In questo passaggio, il “verde segreto” non scompare: diventa misura e contesto per l’opera, e l’opera, a sua volta, diventa un dispositivo civile che apre la storia alla città.

Thaddaeus Ropac: sostenibilità come metodo, una governance che misura e corregge
La Galleria Thaddaeus Ropac si dichiara membro attivo della Gallery Climate Coalition. Decide di legare la propria identità a un percorso: dimezzare le emissioni entro il 2030, tendere a rifiuti quasi zero, trasformare il lessico della sostenibilità in procedura quotidiana. Non è un’etichetta: è un canovaccio operativo che chiede baselines, raccolta dati, piani di riduzione, revisione periodica. La governance diventa così parte dell’estetica: non ciò che si vede in sala, ma ciò che rende la sala possibile, coerente e responsabile.
Commenta Bonanno, «affianchiamo all’impegno umano verso gli artisti che rappresentiamo quello verso la sostenibilità ambientale. Dal 2024, la galleria Thaddaeus Ropac ha un officer interno che verifica e monitora la nostra condotta sostenibile. Dalla sede di Salisburgo, Laura Springer, Global Head of Environmental Sustainability, guida lo sviluppo del piano d’azione per il clima della galleria, basandosi sulle misure già in atto, inclusa la transizione all’energia elettrica verde a livello globale. Si favorisce l’approccio delle “5 R”: rifiutare, ridurre, riutilizzare, riallocare, riciclare. Al momento non abbiamo condiviso pubblicamente nessun dato, essendoci iscritti alla Gallery Climate Coalition solo un anno fa. Stiamo raccogliendo tutti gli elementi necessari per valutare il nostro andamento interno: ad esempio, ogni volta che viaggiamo compiliamo dei report legati al carbon footprint».






Elena Bonanno: la logistica come racconto – pianificazione, consolidamento, prossimità
La circolazione delle opere non è un dettaglio tecnico: è narrazione. Programmare con anticipo, consolidare le spedizioni, preferire terra e mare all’aereo quando la conservazione lo consente; accorciare le distanze tra i luoghi di partenza e di destinazione; trattare gli imballaggi come materiali con una seconda vita, non come usa e getta. È un racconto perché cambia la geografia della mostra: tempi più lunghi, meno tappe, trasferimenti più brevi, maggior attenzione alla qualità dell’arrivo. Anche il digitale — cataloghi, viewing rooms, call mirate — non sostituisce l’esperienza fisica: la prepara, riducendo spostamenti inutili e rendendo più preciso il bisogno di vedere dal vivo. Si potrebbe dire che la logistica, quando è pensata, educa l’occhio: toglie rumore di fondo, restituisce tempo alle opere, chiede alla città di farsi spazio ospitale.
Commenta Bonanno, «privilegiamo la circolazione via terra delle opere d’arte in Europa. Negli USA, ci siamo dotati di magazzini in loco, così che la logistica si semplifica, oltre a rappresentare artisti americani come Alex Katz e fondazioni statunitensi come quelle dedicate a Robert Rauschenberg e Donald Judd. In generale, la tecnologia ha cambiato le dinamiche di vendita dell’opera: non è raro che un collezionista la compri a distanza».
Thaddaeus Ropac a Milano: filiere corte ed energia pulita come scelte curatoriali
Ridurre la distanza non è solo un costo in meno: è una forma di qualità. Prestiti di prossimità, tragitti brevi via terra, alimentazione elettrica al posto del gas: sono decisioni curatoriali che incidono sull’impronta e sul senso. Una sala all-electric, in un palazzo storico, racconta un’idea di contemporaneità che non nega la memoria ma la abita; il riuso degli imballaggi, quando possibile, prolunga la vita della materia; la scelta di artisti e opere già presenti in città evita itineranze superflue.
Prosegue Elena Bonanno, «per la sede milanese di Thaddaeus Ropac è stato scelto di utilizzare energia rinnovabile: no gas, solo elettrica. Inoltre, le opere che presentiamo con questa prima mostra hanno limitato al massimo l’inquinamento per il loro trasporto: quelle di Fontana si trovavano già a Milano, quelle di Baselitz hanno impiegato poche ore per arrivare da Salisburgo via terra».

La piazza come dispositivo culturale: Thaddaeus Ropac per Milano
Milano si misura bene a piedi. Camminare espone alla città, ai suoi vuoti di verde, ai suoi cortili improvvisi; suggerisce una forma di fruizione lenta che la galleria vuole amplificare nello spazio pubblico. Portare le opere in Piazza Belgioioso significa costruire alleanze con le istituzioni, gestire permessi e protezioni, ma soprattutto immaginare prossimità: l’opera che non chiede un biglietto ma un momento di attenzione; la piazza non come passaggio ma come pagina su cui scrivere. In questa dimensione, il marketing smette di essere seduzione e diventa cultura: riguarda la qualità del tempo condiviso, non il numero delle visualizzazioni.
Afferma Bonanno: «chi lavora con me a Milano raggiunge la sede a piedi, non usiamo auto o mezzi pubblici. Siamo un team di cinque persone al momento e cresceremo fino a dieci circa. Camminando ci si rende conto di quanto mancano gli alberi in città, ma sembra che stia maturando una apertura verso il verde. Parlando di spazi pubblici, mi sto adoperando per installare opere d’arte in Piazza Belgioioso. Si tratta di lavori sociali, opere come quelle di Antony Gormley. È nella natura della galleria collaborare con le istituzioni locali e offrire al grande pubblico la possibilità di relazionarsi con le opere. Siamo vicini al Comune di Milano e alla comunità milanese. Abbiamo già collaborato per mostre come quella dedicata a Robert Rauschenberg al Museo del Novecento, co-curata da Gianfranco Maraniello, abbiamo ottimi rapporti con Angelo Crespi, direttore di Brera, e Tommaso Sacchi. Inoltre, ci siamo impegnati in una donazione per il Museo Poldi Pezzoli, iconico luogo culturale milanese».
Impegno umano: la ricerca prima delle scelte di mercato
Un’esposizione può scegliere di spostare la conversazione prima ancora di spostare merci. La programmazione milanese punta a costruire dialoghi che interpellano genealogie e linguaggi — anche quando la quota di opere in vendita è minoritaria. È un atto di trasparenza e di cura verso il pubblico: dichiarare che la mostra è anche ricerca, non soltanto vetrina.
Commenta Bonanno, «solo il 30% delle opere è in vendita. Questa è una prima mostra che celebra il dialogo tra le opere di due figure chiave della storia dell’arte contemporanea. Teniamo molto alla qualità intellettuale delle mostre che presentiamo. La prossima sarà dedicata a VALIE EXPORT in dialogo con Ketty La Rocca. Le due artiste non si sono mai conosciute ma sono accomunate da una ricerca focalizzata sulla poesia visiva attraverso la fotografia. Il ruolo del gallerista deve essere anche di ricerca. Non c’è una strategia di mercato dietro. L’idea è nata da una riflessione. Grazie a Alberto Salvadori ho conosciuto il figlio, Michelangelo Vasta, il quale cura l’archivio dell’artista. Ho apprezzato la recente mostra a lei dedicata, Ketty La Rocca: you you alla Estorick Collection».

Tempo umano degli artisti: selezione come cura
Nel sistema dell’arte, dire no può essere un atto di rispetto. Evitare che un artista approdi troppo presto a una grande galleria significa proteggere la traiettoria, non rallentarla: evitare esposizioni prematuramente “definitive”, concedere la sperimentazione, i fallimenti, le scoperte laterali. La selezione non è esclusione: può essere cura dei tempi umani. L’etica del lavoro culturale si riconosce anche da qui: dall’attenzione alle biografie, dalla capacità di non usare l’urgenza come criterio.
Afferma Bonanno, «siamo aperti alla ricerca e anche ai giovani artisti ma selezioniamo moltissimo. Colleziono personalmente opere di giovani artisti. Non è mai un bene approdare subito a una grande galleria».
Thaddaeus Ropac a Milano: l’identità vale più dell’estetica
Palazzo Belgioioso è una scuola di pazienza. Insegna che la leggerezza — quella cara a Calvino — non è superficialità, ma precisione: togliere senza impoverire. In questo senso, il lusso etico non è una formula, è una postura: energia pulita come condizione, filiere corte come coerenza, logistica lenta come grammatica nuova. La Gallery Climate Coalition, letta come metodo, rende tracciabile ciò che spesso resta intuizione: un modo per dire che l’identità — la relazione con i luoghi, con la comunità, con i tempi dell’arte — vale più dell’estetica intesa come superficie. A Milano, l’arte torna cultura vivente quando la sala storica non è una reliquia, ma un interlocutore; quando la città non è platea, ma complice. Quando la misura non è rinuncia, ma diventa forma.
Elena Bonanno di Linguaglossa
Executive Director della sede milanese di Thaddaeus Ropac Milano, incarico assunto nel 2025 per guidare la settima sede della galleria. Quasi 25 anni nell’arte moderna e contemporanea, con un focus su arte italiana e americana; in precedenza è stata Senior Director per l’Italia di Lévy Gorvy Dayan e ha ricoperto ruoli presso Haunch of Venison, Blain|Southern, Albion Gallery e Fondazione Pastificio Cerere. Ha una laurea in Giurisprudenza alla LUISS Guido Carli ed è stata docente all’Istituto Europeo di Design di Roma su mercato dell’arte contemporanea.
Federico Jonathan Cusin
