
Anna Wintour e Donald Trump: stessa cultura, stesso atteggiamento da Boomer
Met Gala 2025: la stessa inutile strafottenza, perché contano solo i soldi: niente futuro né sostenibilità – il Drill Baby Drill di Trump diventa Drill Baby Dance, per Wintour
Americani, padroni del mondo: il Met Gala – per la moda, Anna Wintour è il riflesso di Donald Trump
Che si stiano abbuffando ai tavoli del Four Seasons o chiusi in un van con l’aria condizionata al massimo quando fuori c’è la migliore delle primavere, gli americani tracannano, neanche divorano. Padroni del mondo: una caricatura che vorremmo chiedere a Forattini di riassumere. L’altra sera, il Met Gala e ieri le immagini sparse per il pianeta come sassolini al posto di confetti.
Un evento che rappresenta, sintetizza e riassume – così come la moda dovrebbe fare – il tempo attuale che l’America sta vivendo. Il tempo del chissenefrega, il tempo del prendiamo tutto quello che possiamo che tanto ci divertiamo – il tempo americano. Il mondo, l’Europa urla di rabbia contro Donald Trump, facendo ricadere su questo ottantenne il male dello Zio Sam – ma la sua compare, la signora che a parole vorrebbe prenderne distacco, Anna Wintour è la declinazione in party del suo nervosismo. Il Drill Baby Drill diventa Drill baby – and dance. Del suo presidente, Anna Wintour professa il rigetto, ma ne esprime il riflesso. Per il primo contano solo i soldi, per la seconda contano i soldi quando servono a comprare vestiti colorati chiacchiere e convenevoli.
Metropolitan Museum: Superfine, l’umanità nera e il dandismo. La cancel culture: Tailored for you
Dalla pagina introduttiva sul sito del Metropolitan Museum, Il titolo della mostra recita: Superfine, Tailoring Black Style. Leggendo il comunicato, il testo che vuole porre l’argomento, si rimanda a una disamina storica dello stile Black – inteso come umanità, etnia di pelle nera – dal 1700 a oggi, attraversando una revisione del concetto di dandismo. Il testo elenca parole che non esplicitano il rigore della speculazione. Si amplificano tensioni tra il movimento, il fuori misura nel rapporto con il visitatore. Si fa riferimento ad André Grenard Matswa, rivoluzionario del Congo, il primo Sapeur di una comunità formatasi negli anni Venti del Novecento – per poi atterrare su Iké Udé con la sua vita da dandy; concludendo su una selezione di immagini che raccontano la confidenza tra uomini neri ben vestiti.
La mostra appare così come un caso studio sullo stato dell’arte della classe intellettuale di New York, di una società culturale americana affranta nella sua cancel culture che la trascina nel fango come una sabbia mobile. Una mostra dedicata alla storia dell’umanità nera che, ancora lottando contro il retaggio di abominio storico, diventa comunità, prima emarginata poi coesa quindi suprema. Sempre sul sito del Metropolitan Museum si legge che il dress code per il gala ad apertura della mostra è Tailored for You. Tale è il terrore di agitare gli stagni polemici, che la strategia è aggrovigliare il messaggio in un incastro di nonsenso: con la speranza che nessuno capisca, così che nessuno si offenda. Solo evidenze – mi limito a ripetere le più evidenti: Anna Wintour ha 75 anni, Donald Trump ha 78 anni.
Il nero, la tintura più inquinante, lo spreco di acqua
Gli americani ricchi, famosi e truccati, quasi tutti, si presentano vestiti di nero. Nero intenso, compatto, lucido. Tingere di nero un tessuto è il processo di colorazione più inquinante per la quantità di acqua che deve essere utilizzata in più bagni e risciacqui affinché il pigmento chimico penetri nelle fibre. Altri bagni di fissaggio del colore e di finissaggio del tessuto per ottenere una mano lavorabile. Le fibre si riconoscono: la seta, in taffettà, il poliestere nei pizzi, l’elastan nei volumi, il cotone. Tra tutte è la prima, la seta, quella che più si rileva nella moda che sfila su quegli scalini: insieme alla sua versione artificiale, la viscosa, filo sintetico da estrusione, ottenuto da una miscela di cellulosa e materiale collante – fonte di microplastica.
Commercialmente, in questi anni, le case che nascono da un’identità sartoriale – persino gli atelier napoletani che sono diventati celebri oltre oceano – dismettono la sartorialità formale per tagli non impostati, per fibre naturali. Si parla di Quiet Luxury. I dati finanziari vedono per le aziende che lo cercano – si possono citare Hermès e Loro Piana – le crescite di fatturato, nonostante la crisi del mercato. La mostra al Metropolitan decide di non coglierne l’attualità.
La mostra al Metropolitan, la sostenibilità, l’applauso del circo
La mostra al Metropolitan non coglie alcun tema che possa essere rilevante per la moda. Niente, di quell’unico argomento che la moda dovrebbe ostinarsi a professare, sperimentare, anche sproloquiare, pazienza. Davvero non c’è altro di cui parlare: la sostenibilità. Che possa essere intesa in manifattura o in rispetto umano, o semplicemente come un pensiero positivo. La moda, l’intero settore del lusso, oggi trova forza e presa quando racconta al suo pubblico uno sforzo, più possibile onesto, un pensiero sostenibile che possa concretizzarsi in almeno una goccia d’acqua pulita. Senza niente di ciò, l’eco mediatico del Metropolitan ottiene gli stessi applausi di un circo. Una mostra che vuole traslare la questione ancora così violenta della umanità nera in una elucubrazione di doppiopetto, velluti e trucco. Che non c’entri niente, è dato – ma il fuoco è sul perché si debba parlare di dandismo nero oggi?
