La Spagna domina il mercato dell’olio d’oliva coprendo il 20% del fabbisogno mondiale, ma qual è il prezzo da pagare in termini ambientali? Interviene il designer spagnolo Jorge Penadés, che ha ideato il progetto Uprooted
Jorge Penadés presenta il progetto Uprooted nato dallo studio dell’industria olearia spagnola
La ricerca del designer spagnolo Jorge Penadés è composta da diversi elementi, linguaggi e metodologie che insieme danno vita ad un’entità poliedrica. A fare da collante è l’attenzione alle materie prime naturali e alle loro proprietà intrinseche. Uno fra tutti il legno: «Agli inizi della mia carriera mi affascinava la pelle, tanto che ero soprannominato “the Leather Guy”, poi ho scoperto il legno – spiega Penadés. É un materiale fondamentale nel mio lavoro per via delle sue proprietà, è l’unico che si auto-rigenera ed è carbon neutral. È il materiale del futuro».
Nel suo ultimo progetto, Uprooted che verrà presentato ufficialmente in occasione del Madrid Design Festival 2025, Penadés si è focalizzato sul legno di ulivo, un materiale difficile da lavorare per via della sua ruvida conformazione naturale e della sua crescita irregolare e imprevedibile. Unendo ricerca sul campo ed esperimenti di design, ha dato vita ad un’esplorazione empirica dell’industria olearia del sud della Spagna e alle narrazioni ad essa collegate, dai metodi di coltivazione e raccolta tradizionali alla recente industrializzazione del settore che, incrementando la produttività, causa però gravi problemi ambientali e un considerevole dispendio di risorse naturali.
Il valore economico e culturale dell’olio d’oliva nel sud della Spagna
La Spagna è il principale produttore mondiale di olio d’oliva; si stima che la sola Andalusia, terra natale di Penadés, sia attualmente responsabile di oltre il 20-25% della produzione globale e dell’80% di quella spagnola. Secondo il Ministero dell’Agricolutura, della Pesca e dell’Alimentazione spagnolo, più di 350.000 agricoltori si dedicano alla coltivazione dell’olivo, il settore garantisce circa 15.000 posti di lavoro nell’industria e ogni stagione genera salari per più di 32 milioni di euro. Proprio questi dati sono stati il punto di partenza di Uprooted, nato come un progetto universitario oltre dieci anni fa: «Durante il master mi è stato chiesto di guardare alle mie radici e al mio background culturale per cercare ispirazione e spunti di riflessione. Sono nato in un piccolo villaggio di pescatori nell’estremo sud della Spagna, vicino a Malaga, in Andalusia. La mia regione è il principale produttore di olio d’oliva al mondo e gli ulivi hanno sempre fatto parte della nostra cultura di andalusi, così come di tanti altri paesi mediterranei, come Italia, Grecia, Turchia e Marocco».
«Negli ultimi dieci anni ho portato avanti questa ricerca intermittenza. Grazie ad un amico proprietario di un piccolo oleificio di Granada, molto attento alla sostenibilità ambientale e sociale, e alle sue numerose conoscenze nel settore, sono riuscito ad acquisire molti dati e informazioni veritiere. Purtroppo, il greenwashing non è un fenomeno raro tra le grandi aziende del settore», spiega Penadés.

I danni ambientali e sociali dell’agricoltura intensiva
Come ricorda Penadés, negli ultimi anni il paesaggio andaluso è cambiato radicalmente e degli imponenti ulivi centenari che un tempo sorgevano disseminati qua e là tra campi e colline scoscese ne sono rimasti solo pochi esemplari. «Quando qui in Andalusia abbiamo capito che l’olio è un prodotto molto richiesto, abbiamo iniziato a produrlo in quantità sempre più grandi. Per prima cosa gli agricoltori si sono chiesti come raccogliere le olive in modo più efficiente», spiega il designer. Il metodo di raccolta tradizionale prevede che gli agricoltori utilizzino un bastone per scuotere i rami degli alberi e far cadere i frutti su grandi teli stesi sul terreno. Recentemente, sono stati inventati macchinari che, per accelerare la raccolta delle olive, danneggiano irreparabilmente gli ulivi. «Queste invenzioni hanno segnato l’inizio dell’agricoltura intensiva e super-intensiva – continua Penadés. Entrambi i metodi necessitano che gli ulivi siano posizionati ad una certa distanza gli uni dagli altri, ma tutti sanno che gli esemplari autoctoni, così come ogni altro elemento naturale, cresce dove e come gli pare. Così, quando l’agricoltura intensiva e super-intensiva hanno preso il sopravvento, centinaia di migliaia di olivi autoctoni sono stati sradicati per fare posto a nuovi alberi piantati sistematicamente in griglie ottimizzate per una raccolta rapida ed efficiente».
Si stima che le campagne di industrializzazione messe di recente in atto faranno aumentare la produttività dei terreni andalusi coltivati del 76,6%. Irrigazione automatica a goccia, sensori per controllare il grado di umidità e la maturazione dell’oliva sono altre strategie messe a punto per contrastare gli effetti della crisi climatica sui raccolti. Ciononostante, quotidiani internazionali come il Financial Times identificano nell’implementazione degli olivicoli super-intensivi la maggiore minaccia per i piccoli produttori che ancora si affidano a modelli tradizionali, meno efficienti e più costosi.

Il pop-up store di Camper alle Galeries Lafayette: la seconda vita degli ulivi secolari dell’Andalusia
Preso atto di questo processo di industrializzazione della natura, Penadés iniziò a chiedersi quale fosse il destino di tutti quegli alberi sradicati e mai ripiantati. «Capii immediatamente che questo tipo di legno non è adatto all’industria manifatturiera, che vuole infatti tronchi lunghi e dritti da cui possono essere estratti numerosi pannelli utili per la produzione seriale di mobili. Il legno d’ulivo, al contrario, è corto, piegato e nodoso. Quindi le radici e i tronchi d’ulivo vengono tagliati, asciugati, seccati e poi venduti come legna da ardere a bassissimo prezzo». Convinto del potenziale di questa materia prima, Penadés iniziò a proporre la sua idea a diversi carpentieri e aziende spagnole: «Mi accorsi che nessuno voleva dare fiducia al mio progetto per un semplice motivo: le radici degli ulivi, crescendo organicamente sottoterra, creano articolati intrecci in cui spesso inglobano sassi e piccole pietre. In poche parole, nessun falegname voleva lavorare con me per paura di rompere i macchinari. E non avendo nessun pezzo da mostrare alle aziende, era impossibile convincerle della bontà del mio progetto».
«Solo nel 2021 ho trovato un giovane falegname disposto ad aiutarmi, dopodiché ho presentato immediatamente la mia idea a Camper». L’azienda spagnola ha commissionato a Penadés un pop-up store all’interno delle Gallerie Lafayette di Parigi. Per l’occasione ha disegnato sgabelli di forma esagonale portatili, riutilizzabili e multifunzione che richiamavano l’estetica ruvida dei brulli paesaggi spagnoli. «Nel 2024 il Victoria and Albert Museum di Londra mi ha invitato a presentare il progetto realizzato per Camper durante il simposio Make Good: Rethinking Material Futures. La cosa mi colpì molto perché si trattava di un progetto commerciale. È stato allora che ho capito che c’era qualcosa in più in questa ricerca che dovevo esplorare e sviluppare più a fondo», racconta il designer.

Imparare ad ascoltare i materiali attraverso il “Material led approach”
Da quel momento Penadés si è dedicato ad una serie di esperimenti pratici attraverso i quali ha indagato i limiti e le proprietà del legno di ulivo. In questa fase si è rivelato fondamentale il contributo della curatrice Seetal Solanki, autrice del libro Why Materials Matter. Responsible Design for a Better World (2018) e ideatrice del “Material led Approach”. Questo approccio progettuale si basa sulle volontà del materiale, conseguenze dirette delle sue proprietà e qualità intrinseche. «Tutto è nato da una mia preoccupazione legata agli sgabelli realizzati per il pop-up di Camper – ricorda Penadés. Appena usciti dalla ditta di falegnameria erano perfetti, ma solo qualche settimana più tardi, hanno iniziato a piegarsi e, improvvisamente, non erano più così stabili. Non avevo idea di cosa stesse succedendo finché il mio falegname mi disse “È perfettamente normale, il legno è vivo”».
Solanki che nel suo libro ha dimostrato come anche gli elementi più basilari della terra possono essere trasformati in materiali completamente nuovi, ha invitato Penadés a riflettere sulla relazione che, come designer, instaura con i materiali con cui lavora. «Mi ha detto che stavo forzando il materiale a comportarsi secondo la mia volontà. Mi ha esortato ad ascoltarlo e a provare a capire cosa vuole, al fine di includere e accogliere le sue caratteristiche nel mio design e non il contrario. In fondo so di essere nato in un mondo patriarcale dove, in quanto uomo bianco ed eterosessuale, mi aspetto che le cose siano e si comportino secondo il mio volere e i miei bisogni. Questo dialogo con Seetal mi ha fatto capire che tutti noi dovremmo sforzarci di capire cosa ci succede intorno, facendo più domande e forzando di meno».

L’incoerenza della natura deve essere uno stimolo creativo per i designer
La consapevolezza di non poter forzare la natura e le sue materie prime, ha permesso a Penadés di adottare una nuova prospettiva più adattabile e morbida nei confronti della propria pratica progettuale che spesso si scontra con l’incoerenza e imprevedibilità di mezzi e possibilità. «Penso che tutte le cose della vita siano incoerenti. Se pensi al cibo, sai che in natura non puoi trovare gli stessi ingredienti tutto l’anno, ci sono stagionalità che devono essere rispettate. Con il legno è la stessa cosa: non esiste un tipo di legno coerente da cui nascono oggetti che possono essere replicati all’infinito perché, in quanto elemento naturale, è cresciuto in condizioni naturali, che sono tutte molto diverse. Saper godere di questa incoerenza è il più grande lusso che possiamo concederci».
Attraverso il “Material led Approach”, Solanki vuole esortare i designer ad uscire dalla loro zona di comfort invitandoli a mettere in discussione le loro certezze instaurando un dialogo con i materiali. Penadés, paragonando il proprio ruolo di progettista con quello di giornalista, ha sottoposto al legno di ulivo novantanove domande in forma di piccoli esperimenti pratici. «Ho sezionato il legno in tanti piccoli campioni su cui ho svolto delle azioni mirate, prima manuali e poi utilizzando utensili meccanici, per stimolare delle reazioni nel materiale. In certi casi non ho neanche ricevuto una risposta e ho imparato che in futuro quelle domande avrei dovuto riformularle. Dopodiché, ho applicato le mie considerazioni e quelle del materiale al product design».

Uprooted al Madrid Design Festival 2025
Il prossimo febbraio, durante il Madrid Design Festival, Penadés presenterà il risultato di questi ultimi dieci anni di ricerca presso Espacio Gaviota con una mostra che integra elementi di collectible design, opere fotografiche e installazioni. L’allestimento della mostra, curato da Penadés con la supervisione di Solanki, fornirà una panoramica completa dell’intero progetto, dalle prime fasi esplorative dell’olivicoltura spagnola fino ai più recenti esiti pratici. La mostra sarà suddivisa in quattro sezioni; la prima fornirà al pubblico un po’ di contesto sull’industria olearia spagnola, ci saranno grandi radici di ulivo, una catasta di legna da ardere e una serie di scatti realizzati dal fotografo Max Creasy. La seconda riguarderà invece le prime sperimentazioni pratiche, con alcuni dei prodotti disegnate per il Camper pop-up store di Parigi, accompagnati da testi e immagini. La terza presenterà al pubblico il progetto Uprooted attraverso una selezione delle novantanove domande poste da Penadés al legno di ulivo e altrettanti campioni fisici che rappresentano invece le risposte-reazioni del materiale alle sollecitazioni; il punto di partenza sarà la provocazione di Solanki “I designer sono pigri?”. Il percorso espositivo si concluderà con una serie di oggetti e prodotti di collectible design in legno di ulivo, testimonianze dell’influenza che relazioni ponderate con i materiali possono avere sui processi e le nuove frontiere del design.
«Dobbiamo liberarci di questo atteggiamento da macho che pensa di poter controllare tutto. Come un medico deve conoscere gli effetti e le reazioni di un medicinale prima di prescriverlo a un paziente, un designer deve conoscere le proprietà di un materiale prima di suggerirlo a un cliente o applicarlo a un progetto. Vorrei che Uprooted fosse un invito rivolto ad altri designer a mettersi in discussione, ad avere una comprensione più profonda di ciò che li circonda e a lanciarsi in questa nuova metodologia, più rispettosa e inclusiva».

Jorge Penadés
Jorge Penadés (Málaga, 1985) unisce e fonde contesti che raramente si incontrano, creando materiali, mobili, interni, installazioni, mostre e metodi educativi. Tra i suoi progetti più recenti spiccano: il negozio Camper accanto al Centre Pompidou di Parigi (2023); la mostra The Final (Group) Show, co-curata con Matylda Krzykowski presso Dropcity a Milano (2023); e una collezione esclusiva di mobili e accessori realizzata in collaborazione con Kris van Assche per Berluti, LVMH (2021). Penadés ha tenuto conferenze in prestigiose istituzioni culturali, tra cui il Victoria & Albert Museum di Londra. La presentazione del progetto Uprooted al Madrid Design Festival 2025 coincide con il decimo anniversario del suo studio.