Asilo nido e Centro Civico Grottaperfetta_©Marco Cappelletti
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L’architettura a chilometro zero di Alvisi Kirimoto

Un progetto per volta, come fosse il primo. Con questa dichiarazione di metodo si apre il volume di Forma Edizioni Architetture scelte 2012–2025, che raccoglie oltre un decennio di lavoro dello studio Alvisi Kirimoto

“Un progetto per volta, come fosse il primo.” Con questa dichiarazione di metodo si apre il volume di Forma Edizioni Architetture scelte 2012–2025, che raccoglie oltre un decennio di lavoro dello studio Alvisi Kirimoto. È una frase che racconta molto dell’approccio dello studio Alvisi Kirimoto: la volontà di sottrarsi alla standardizzazione del gesto architettonico, la fiducia nel tempo lento della progettazione, l’ascolto del contesto e delle persone.

Alvisi Kirimoto – il tempo, materiale del progetto

Massimo Alvisi spiega: «Junko ed io abbiamo avuto maestri come Massimiliano Fuksas e Renzo Piano e nei loro studi abbiamo lavorato a grandi progetti che coinvolgono centinaia di persone e richiedono un’organizzazione complessa affinché sia possibile produrli, realizzarli, progettarli. Sin quando abbiamo fondato il nostro studio, però, abbiamo cercato una via più lenta, più sartoriale. Il nostro approccio slow è una scelta di metodo, una dimensione artigianale, che ci fa pensare al luogo, al committente, al momento storico e alla dimensione culturale in cui ci si trova. I nostri progetti non hanno una dimensione standardizzata: ciascuno è diverso dall’altro perché diverso è il contesto, diverso è il materiale disponibile, diversa è la mano di chi lavora con noi.»  

Questo approccio non si esaurisce nella fase progettuale, e continua a interrogarsi sul tempo e sulla trasformazione, su ciò che accade agli spazi quando iniziano a essere vissuti. «Nella nostra slow architecture, il tempo assume un ruolo fondamentale: la vita di un progetto non finisce con l’inaugurazione. Continua a vivere, a trasformarsi con chi lo abita, con la luce che lo attraversa, con il paesaggio che lo circonda. Penso, ad esempio, alla Cantina Bulgari. È un edificio che cambia. Il cemento armato assorbe la luce, si modifica con l’umidità, con i gesti minimi di chi lo frequenta ogni giorno. Se torni lì dopo tre anni, lo ritrovi diverso – ed è giusto così. Perché un’architettura viva è un’architettura che evolve, che si adatta, che si lascia attraversare dal tempo e dalle persone.» 

Parlare piano, per lasciare il segno – Alvisi Kirimoto

Fin dall’inizio, Alvisi e Kirimoto hanno scelto una via controcorrente: quella dell’architettura che non grida, che non cerca l’effetto immediato, ma lavora per sedimentazione, lasciando che il progetto si sveli nel tempo: «Quando abbiamo scelto di fondare lo studio abbiamo fatto una scelta radicale e consapevole: non affidarci all’architettura che strilla perché certo, l’urlo spesso è potente e cattura l’attenzione, ma non sempre è la risposta giusta, né la più interessante.» Ci sono contesti, però, che richiedono un gesto più deciso, un’architettura più visibile. Anche in quei casi, però, la scelta non è mai formale: nasce sempre da un ascolto profondo del luogo e da un equilibrio tra forza e misura, tra presenza e rispetto: 

«Penso all’asilo e al Centro Civico di Grottaperfetta:  lì il luogo ci ha chiesto un’architettura più visibile, più radicale. In quel caso, abbiamo scelto consapevolmente un’espressione più intensa, perché il contesto lo richiedeva.  Ma in situazioni più sensibili – come The Dome, il nuovo padiglione universitario della Luiss, accanto a Villa Ada, in un paesaggio già così ricco e fragile – sarebbe stato impensabile forzare il linguaggio. In quel caso, e in molti altri, l’architettura deve sapersi fare discreta e dialogante, mettersi in relazione, ascoltare. In fondo questo è il cuore della slow architecture: essere incisivi nel tempo. Preferiamo sedimentare, lasciare che l’architettura parli piano ma a lungo. È quello che abbiamo cercato di fare negli ultimi quindici anni.»

Alvisi Kirimoto_Nuovo edificio scolastico LUISS ©Marco Cappelletti
Alvisi Kirimoto, Nuovo edificio scolastico LUISS – Marco Cappelletti
02_Alvisi Kirimoto_Nuovo edificio scolastico LUISS ©Marco Cappelletti
Alvisi Kirimoto, Nuovo edificio scolastico LUISS – Marco Cappelletti

L’architettura a chilometro zero di Alvisi Kirimoto

Anche se l’approccio di Alvisi Kirimoto incarna i principi dell’architettura sostenibile, raramente i loro progetti vengono associati esplicitamente a questa parola – tanto che Massimo Alvisi stesso preferisce evitarla: «Non amo usare la parola “sostenibilità , per due motivi: il primo è che, troppo spesso, viene utilizzata come un ornamento retorico. Il secondo è perché credo che la sostenibilità dovrebbe far parte del DNA di ogni progetto: dovrebbe essere una responsabilità imprescindibile. Esistono almeno quattro forme di sostenibilità – tecnica, economica, sociale e culturale – e tutte dovrebbero coesistere in un progetto. La sostenibilità tecnica riguarda l’intelligenza dell’edificio, la sua capacità di funzionare in modo efficiente, quella economica i costi per il suo funzionamento nel tempo di vita del progetto stesso.» 

«C’è poi una dimensione sociale, che per noi significa coinvolgere le comunità locali. Si parla spesso di cibo a chilometro zero: credo che anche l’architettura debba essere, per quanto possibile, “a chilometro zero”, realizzata insieme alle persone del luogo, con le loro competenze, i loro materiali. Infine esiste la sostenibilità culturale. Un edificio deve avere rispetto del contesto in cui si inserisce, deve dialogare con la storia, le abitudini, la sensibilità di quel luogo. Se un progetto è sostenibile, lo è in tutte queste forme insieme.» 

Dove il progetto prende forma: Alvisi Kirimoto

In ogni progetto, anche il più ampio, lo studio riserva un’attenzione quasi affettiva al dettaglio: non come esercizio di stile, ma come un lavoro che si compie nel cantiere, insieme alle maestranze, dove il progetto prende forma nella relazione. «Fin dall’inizio del nostro lavoro, ci siamo accorti che è nei dettagli che si concentra il nostro coinvolgimento più viscerale: il dettaglio non è mai uguale e cambia a seconda di chi lo realizza. E questo apre una dimensione ulteriore, quella del cantiere, dove possiamo lavorare fianco a fianco con le maestranze, confrontarci con chi dà forma concreta al progetto, e trovare insieme le soluzioni migliori. 

Alcuni clienti a volte trovano questa nostra attenzione “maniacale”. Ma è proprio perché ci piace, ci coinvolge profondamente.» 

Alvisi Kirimoto_Cantina Podernuovo a Palazzone_©Fernando Guerra
Alvisi Kirimoto, Cantina Podernuovo a Palazzone – ph. Fernando Guerra

A ogni materiale la sua intelligenza

L’idea che innovazione e tradizione non siano in contrasto, ma possano coesistere in equilibrio, attraversa tutta la visione di Alvisi. Un principio che affonda le radici in una delle sue esperienze più formative: il lavoro accanto a Renzo Piano: «L’Auditorium Parco della Musica di Roma, rappresenta in modo emblematico la coesistenza tra innovazione e tradizione. È un progetto radicato nella storia e nella cultura romana, basti pensare all’uso del travertino o del mattone romano, materiali che sembravano quasi contraddire l’approccio che Renzo Piano aveva seguito fino a quel momento. Per Roma, dopo un lungo percorso di confronto, si è deciso che la scelta più giusta fosse tornare alla tradizione.» Il progetto rende possibile la sintesi tra passato e futuro, con l’accostamento di materiali antichi e tecnologie contemporanee: «Abbiamo utilizzato il mattone, posato con malta a un centimetro di spessore – proprio come facevano i Romani. Ma allo stesso tempo, all’interno dell’edificio, c’è un’esplosione di tecnologia e innovazione, soprattutto nelle sale. per garantire una delle migliori prestazioni acustiche al mondo. Ogni materiale ha una sua intelligenza, e così ogni tecnologia, e non sempre quella più nuova è la più efficiente. Ci sono soluzioni antiche che ancora oggi funzionano meglio di innovazioni contemporanee: sono più semplici, più sostenibili. Noi cerchiamo sempre di lavorare con entrambe.»  

TAM TAM: architettura in movimento

Al Fuorisalone 2025, Alvisi Kirimoto ha portato la propria idea di architettura fluida e partecipata nella corte dell’Università Statale di Milano. L’installazione, parte della mostra-evento “Interni Cre-Action”, si intitola “TAM TAM. Tempio, Azione, Movimento” e reinterpreta il concetto di tempio come organismo dinamico, plasmabile, aperto al gesto umano. «Al Fuorisalone stiamo presentando un allestimento che si chiama TAM TAM, un tempio composto da sei colonne mobili. Chi entra nel padiglione può muovere le colonne e creare il proprio spazio. È un gesto semplice ma potente: ciascuno costruisce il proprio luogo, personale e mutevole, in cui fermarsi, riflettere, meditare. L’idea è quella di un tempio fluido, che si adatta alle persone che lo attraversano, una riflessione sullo spazio della cultura oggi: non più rigido, statico, ma aperto, in movimento, plasmabile.»

Alvisi Kirimoto, TAM TAM. Tempio, Azione, Movimento_©Giuseppe Miotto - Marco Cappelletti Studio
Alvisi Kirimoto, TAM TAM. Tempio, Azione, Movimento. ph. Giuseppe Miotto – Marco Cappelletti Studio

Piccoli gesti, impatti profondi

Nel 2013, Renzo Piano dà vita al gruppo G124 – un laboratorio permanente sul futuro delle periferie italiane – subito dopo la sua nomina a senatore a vita. Tra i primi membri vi è anche Massimo Alvisi, che condivide ancora oggi quello sguardo discreto ma radicale: piccoli gesti architettonici capaci di generare impatti profondi e duraturi. «Quell’intuizione ha portato a interventi normativi importanti come le prime leggi sulla rigenerazione urbana, i bandi per il recupero delle periferie. Spesso si parla di grandi visioni – biblioteche, piazze, centri culturali – ma gli effetti sono fatti anche di piccoli “rammendi” che migliorano la vita delle persone. Un esempio su cui stiamo lavorando è Piazza ex Campari, in una zona periferica di Roma: oggi è un parcheggio, presto diventerà una piazza di comunità. Ed è questo, alla fine, il senso del nostro lavoro: piccoli interventi che rendono felici poche persone, ma che possono avere un impatto duraturo sul rapporto tra città e cittadini. Anche in questo caso, è un processo “slow”, quasi omeopatico. Non ha l’impatto di un gesto eclatante, ma si sedimenta nel tempo. E il tempo, in architettura, è fondamentale.»

Alvisi Kirimoto è uno studio internazionale che si occupa di architettura, urbanistica e design. Fondato da Massimo Alvisi e Junko Kirimoto nel 2002, si distingue per l’approccio sartoriale alla progettazione, l’uso “sensibile” della tecnologia e il controllo dello spazio a partire dalla manipolazione di “fogli di carta” – The Hands Work. Il dialogo con la natura, la rigenerazione urbana e l’attenzione ai temi sociali rendono i loro progetti unici nel panorama dell’architettura internazionale.

Elisa Russo

Asilo nido e Centro Civico Grottaperfetta_©Marco Cappelletti
Asilo nido e Centro Civico, Grottaperfetta – ph. Marco Cappelletti
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