
Bioedilizia e canapa industriale in Italia tra sostenibilità e limiti di filiera
Mario Catania spiega come la canapa possa essere una risorsa concreta per la transizione ecologica, coniugando produzione industriale, sostenibilità ambientale e sviluppo sociale
Dalla memoria agricola alla materia del futuro: la canapa come linguaggio dell’abitare
Da fibra tessile a materiale da costruzione, da coltura agricola a strumento di rigenerazione del suolo: la canapa torna a definire la materia del presente. Dopo decenni di silenzio industriale, una pianta un tempo comune nelle campagne italiane riappare come risposta a molte delle domande che oggi ruotano intorno alla sostenibilità, all’uso del suolo e alla produzione locale.
«La canapa è una pianta che si scontra con interessi economici di terzi — case farmaceutiche, tessile sintetico, petrolio. Se iniziassero a usarla, la strada si aprirebbe» spiega Mario Catania, giornalista e fondatore di Canapaindustriale.it. Dal 2013, attraverso la testata, documenta l’evoluzione di una filiera ancora incompleta ma in fermento, che intreccia agricoltura, edilizia, ricerca scientifica e politica industriale.
Una pianta dimenticata che torna a far parlare di sostenibilità
Fino a pochi anni fa in Italia la coltivazione della canapa si limitava a pochi ettari destinati alla produzione di olio alimentare o a sperimentazioni isolate nel settore cosmetico. Il suo utilizzo come fibra e biomateriale era frenato da un impianto normativo incerto e da un pregiudizio linguistico: parlare di cannabis significava automaticamente evocare l’uso ricreativo.
La legge del 2016 ha segnato una svolta, riconoscendo la canapa come coltura capace di ridurre l’impatto ambientale, contenere la desertificazione e restituire fertilità al terreno: «Quella norma ha riportato fiducia agli agricoltori e agli investitori, aprendo la strada a nuove filiere e alla ricerca industriale». I finanziamenti iniziali — settecentomila euro l’anno — sono stati sufficienti a riaccendere un dibattito, ma non a costruire un’infrastruttura produttiva stabile.
Nel 2025 il quadro legislativo è cambiato nuovamente. Il cosiddetto Decreto Sicurezza ha introdotto il divieto di produzione, distribuzione e vendita di infiorescenze di canapa, anche con livelli minimi di THC, equiparandole alle sostanze stupefacenti. Una misura contestata da regioni, associazioni di categoria e produttori, che la considerano un ostacolo alla crescita di un comparto agricolo ed economico già fragile.
Le piante coltivate per uso tessile o edilizio richiedono fibra lunga e pulita, ottenibile solo attraverso macchinari specifici per la stigliatura e la separazione del canapulo: «In Italia la meccanizzazione si è fermata con il proibizionismo e con l’arrivo delle fibre sintetiche. La Cina, invece, ha continuato a sviluppare macchine per la trasformazione, diventando il primo fornitore mondiale di fibra di canapa».
Economie circolari e nuovi distretti: la materia che rigenera il territorio
La canapa è una coltura che si integra nei sistemi agricoli esistenti: rigenera il terreno, assorbe anidride carbonica, si adatta a rotazioni e climi diversi. È al tempo stesso materia prima e strumento ecologico. Per questo la sua reintroduzione in Italia coincide con la ricerca di un modello economico più radicato nei territori: «La canapa è l’unica filiera carbon negative che l’uomo conosca. Un metro cubo di canapa toglie dall’ambiente circa sessanta chili di CO₂. L’edilizia immette da sola il quaranta percento delle emissioni globali: se cambiassimo materiale, cambieremmo sistema».
Il concetto di economia circolare si traduce qui in un ciclo chiuso: la pianta cresce, assorbe CO₂, viene trasformata in biomateriale, restituisce valore all’ambiente e al paesaggio. Tuttavia, secondo le associazioni di categoria, la recente stretta normativa rischia di compromettere oltre tremila aziende e trentamila addetti, con un fatturato stimato di circa mezzo miliardo di euro l’anno. Una battuta d’arresto che mette a rischio anni di sperimentazione in un comparto che aveva cominciato a connettere agricoltura, manifattura e ricerca.
Rigenerazione urbana e architettura rurale: abitare la sostenibilità
Nel campo dell’edilizia, la canapa sta ridefinendo il concetto stesso di abitare: «Oggi una casa in canapa costa poco più di una tradizionale, ma con molti vantaggi in più, a partire dalla salubrità dell’aria e dell’umidità costante, fino alla mancata formazione di muffe e alla regolazione termica naturale».
Il materiale più utilizzato è il biocomposito di calce e canapulo, la parte interna del fusto. Secondo uno studio del Politecnico di Milano, un metro cubo di questo composto sottrae all’atmosfera circa sessanta chilogrammi di anidride carbonica. Il risultato è un sistema costruttivo carbon negative, che continua a catturare CO₂ anche dopo la messa in opera.
In Italia, la prima abitazione in calce e canapa è stata costruita tra il 2009 e il 2012 a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, da Olver Zaccanti. L’edificio resistette senza danni al terremoto del 2012, confermando le proprietà antisismiche del materiale. A Bisceglie, in Puglia, lo studio Pedone Working ha realizzato i complessi Case di Luce e Case nel Verde utilizzando materia locale e tecniche a basso impatto.
Anche le amministrazioni locali iniziano a riconoscere la canapa come risorsa: nel 2025 la provincia autonoma di Trento ha inserito la pianta tra i materiali destinati alla bioedilizia e alla fitodepurazione, nel quadro di progetti per la bonifica dei suoli e la forestazione rurale.
Materie prime naturali e architettura: dagli Etruschi alla ricerca contemporanea
L’uso della canapa come materiale da costruzione non è una scoperta recente. Nelle grotte di Ellora, in India, la miscela di calce e canapa ha permesso la conservazione di affreschi e strutture per oltre quindici secoli. Nelle vicine grotte di Ajanta, dove la canapa non fu impiegata, l’attività degli insetti ha distrutto almeno un quarto dei dipinti.
Anche gli Etruschi conoscevano le proprietà della pianta. Le loro murature in pisè, ottenute pressando argilla e paglia di canapa fra due casseforme, anticipavano i principi dell’isolamento termico moderno. La memoria di quella tecnica — un impasto di terra, fibra e calce — ritorna oggi come modello di architettura organica, basata su materie prime naturali e reperibili in loco: «Costruire case e condomini in canapa equivale a seminare ettari di bosco. È un modo per restituire ciò che abbiamo tolto all’ambiente».
Quando l’innovazione passa per l’etica: aziende italiane e cantieri del futuro
L’Italia ospita oggi imprese che hanno trasformato la bioedilizia in un settore competitivo e riconosciuto a livello internazionale. Tecnocanapa by Senini ha curato il cantiere in canapa e calce più grande d’Europa, a Divinya, in Svezia: seimilatrecento metri quadrati di edifici in legno e canapa, destinati a ospitare attività di formazione e meditazione. Il progetto immagazzina centonovanta tonnellate di CO₂ all’interno delle strutture.
In provincia di Cuneo, il progetto europeo Eco-Bati punta sulla ristrutturazione di edifici pubblici con materiali naturali disponibili in un raggio di centocinquanta chilometri. Obiettivo del progetto è aprire la strada a un’edilizia etica, capace di ridurre l’impatto ambientale e generare economie circolari su scala regionale.
Oltre la materia: la canapa come questione politica e culturale
Se la bioedilizia rappresenta la parte più visibile della filiera, la canapa rimane un tema politico, intrecciato con il diritto alla salute e la gestione istituzionale della ricerca: «In Germania, Stati Uniti e Canada la produzione di cannabis terapeutica è seguita e monitorata dallo Stato. In Italia la risposta nasce dal basso».
La produzione nazionale, concentrata nello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, non copre la domanda e mantiene vivo il mercato sommerso. Il caso di Walter De Benedetto, incriminato per aver coltivato cannabis a uso terapeutico, ha riportato l’attenzione sull’assenza di una strategia comune: «I pazienti dovrebbero essere messi al primo posto. Arrivano alla cannabis dopo qualsiasi altro farmaco».
Sul piano normativo, il contrasto tra il diritto nazionale e quello europeo è evidente: Bruxelles ha avviato una procedura di verifica sulla compatibilità delle restrizioni italiane con le regole del mercato unico. Le associazioni del settore denunciano che il decreto italiano penalizza le filiere dell’innovazione e della rigenerazione urbana.
Una pianta che restituisce: verso una sostenibilità misurabile
Dall’agricoltura all’edilizia, la canapa riemerge come strumento di sostenibilità reale. Non si tratta solo di sostituire materiali, ma di ridefinire la relazione tra produzione, ambiente e responsabilità: «È una materia che restituisce più di quanto prende. Una pianta che ci costringe a ripensare l’economia e il modo in cui costruiamo il futuro».
Tra coltura e cultura, la canapa definisce un cambio di paradigma: non solo un materiale, ma un modo di concepire il paesaggio produttivo. La sua crescita dipende dalla capacità del sistema italiano di trasformarla in risorsa stabile, parte di una strategia e non di un’eccezione.
Mario Catania
Mario Catania (Roma, 1983) è giornalista e autore. Nel 2013 ha fondato Canapaindustriale.it, piattaforma di informazione dedicata agli sviluppi economici e normativi della filiera della canapa in Italia e in Europa. Collabora con testate nazionali e si occupa di sostenibilità, politiche agricole e innovazione nel settore dei biomateriali. Nel 2019 ha pubblicato il volume Cannabis. Il futuro è verde canapa.
