Floating Island, Bruno Muzzolini

Un’isola di plastica che mette radici: la Floating Island di Bruno Muzzolini

Flaconi di detersivo, sole, acqua e talee: l’isola artificiale di Bruno Muzzolini, nata in una valle argillosa emiliana, approda da Banquet a Milano come scultura organica e dispositivo di responsabilità ecologica

Floating Island di Bruno Muzzolini da Banquet: un’isola di plastica che diventa ecosistema vivente

Un’isola fatta di flaconi di detersivo, taniche e scarti domestici che, invece di affondare, mette radici, fiorisce, attira rane, uccelli e gamberi della Louisiana. Floating Island di Bruno Muzzolini è insieme scultura organica, esperimento ecologico e film a cielo aperto: un ecosistema nato in una valle emiliana che approda a Milano, nello spazio Banquet, portandosi dietro tutte le sue trasformazioni.

La mostra Floating Island, ospitata da Banquet dal 28 ottobre al 5 dicembre 2025, segna il primo progetto personale di Bruno Muzzolini nello spazio milanese. Al centro dell’esposizione si trova l’omonima Floating Island, un’installazione composta da materiali plastici di scarto, assemblata come una vera isola e posta a galleggio su un piccolo lago delle colline emiliane, dove è stata colonizzata da forme di vita vegetale locale, trasformandosi progressivamente in un ecosistema autonomo.

L’isola galleggiante, recuperata e riposizionata all’interno della galleria, è presentata insieme a fotografie e video che ne documentano la vita e le metamorfosi, seguendo l’intero processo di insediamento nel territorio attraverso le varie fasi, registrate con costanza dall’artista.

Al termine della mostra da Banquet, l’installazione verrà smontata: cosa ne sarà dei materiali? 

L’opera prende origine in una valle argillosa, un paesaggio fragile e segnato dall’erosione. Per Muzzolini questa instabilità diventa un margine fertile, un’apertura al possibile: «Mi affascinava l’idea che l’intero sistema potesse evolversi in direzioni imprevedibili», dichiara. Seminata con verdure e talee composte dallo stesso artista, irrigata grazie a un pannello solare e a una piccola pompa, l’isola si è lentamente trasformata in un habitat capace di accogliere gamberi della Louisiana, rane, folaghe e altre specie. La materia plastica si intreccia con quella organica, assumendo una funzione insieme strutturale e vitale.

Al termine della mostra da Banquet, l’installazione verrà smontata: i materiali plastici saranno riciclati, mentre piante e forme di vita vegetali nate sull’isola verranno donate dall’artista ad amici e parenti, disseminando il lavoro in una pluralità di nuove traiettorie viventi.

Giovedì 4 dicembre, in occasione della chiusura della mostra, Banquet ospiterà il talk Ecosistemi reciproci. Un dialogo tra arte e scienza, un incontro che intreccia prospettive diverse per interrogare la materia, le immagini e i loro ecosistemi. Parteciperanno l’artista Bruno Muzzolini, Francesco Saliu, chimico ambientale, e l’artista Giacomo Mercuriali, con la moderazione di Giulia Fossati, esperta in comunicazione culturale.

Sostenibilità come responsabilità operativa: dagli scarti plastici al supporto di un paesaggio vivente

La base dell’installazione nasce da un anno di raccolta di scarti plastici prodotti dall’artista e dalla madre: flaconi di detersivi, taniche e contenitori domestici sono stati trasformati nel supporto dell’isola, convertendo materiali potenzialmente nocivi in terreno fertile per nuove forme di vita. L’isola è stata rimossa dal lago prima dell’inizio del processo di degradazione della materia, evitando di scaricare microplastiche nell’ambiente.

La temporalità dell’opera è inscritta nel suo stesso incipit: un esperimento aperto alla contaminazione, al caso, alla possibilità che ciò che nasce come progetto artistico diventi qualcos’altro. Floating Island non parte da una progettualità rigida, ma da una postura di ascolto, aperta al territorio circostante e al modo in cui esso decide di rispondere.

Materia, desiderio e altre forme di vita: Floating Island come dispositivo post-antropocenico

La ricerca di Muzzolini approfondisce la relazione con ciò che vive, cresce o si muove al di fuori della sfera umana, interrogando quella condizione che molte teorie contemporanee definiscono post-antropocenica: un orizzonte in cui l’uomo non rappresenta più il riferimento unico né il centro dell’azione, ma uno dei molti agenti che abitano e modellano il pianeta. «Siamo parte dei sistemi che studiamo, immersi nelle stesse trasformazioni che osserviamo. Non c’è osservatore esterno: c’è soltanto partecipazione, esposizione reciproca», osserva l’artista.

Questa posizione si riflette anche nella postura aperta del progetto, che Muzzolini definisce «una scultura organica». «Mi interessava costruire un ecosistema reale», spiega, «un organismo complesso, capace di vivere e mutare indipendentemente dalla mia volontà».

Il suo approccio dialoga con le riflessioni di Bruno Latour, che ha mostrato come reti di umani e non-umani co-producono il mondo, con l’ecologia oscura di Timothy Morton, che invita a pensare oltre le frontiere della specie, e con il lavoro di Laura Tripaldi sulla materia come realtà viva, porosa, relazionale. Queste traiettorie teoriche si intrecciano nell’opera senza mai diventare didascaliche: emergono come sfondo sensibile, come forme di pensiero che risuonano nei processi biologici messi in atto dall’isola.

Floating Island diventa così un luogo di contatto, un ambiente che evolve settimana dopo settimana, seguito dall’artista attraverso fotografie a pellicola e riprese video. L’opera registra trasformazioni continue: fioriture, proliferazioni, presenze animali inattese, interazioni tra plastica, acqua e piante. È un diario ecologico, una narrazione per immagini di un sistema vivente che, proprio perché reale, sfugge a ogni controllo autoriale.

E, come ogni organismo, non si esaurisce nella sua presentazione in mostra, ma si dissemina. I fiori e le piante dell’isola hanno attirato api e calabroni; le verdure nate al suo interno sono state raccolte e consumate; e anche dopo la fine dell’esposizione ogni elemento – pianta, fiore, radice, ma anche plastica riciclata – troverà una nuova collocazione altrove.

Milano, il verde diffuso e la responsabilità dello spazio pubblico urbano

Interrogato sul sistema urbano e, nello specifico, su Milano – centro industriale ed economico del Paese, ma anche città in cui Muzzolini insegna e osserva quotidianamente le trasformazioni territoriali – l’artista evidenzia la distanza ancora marcata tra retorica verde e attuazione concreta. «Gli orti condivisi sono frammenti isolati, quasi episodi», afferma. «Perché diventino un modello urbano serve una regia più ampia».

Milano, negli ultimi anni, ha moltiplicato i progetti di verde diffuso, dalle aree di rigenerazione alle micro-piantumazioni di quartiere. Spesso, però, questi interventi si configurano come dispositivi puntuali, non come parti integrate di una strategia ecologica complessiva. Il discorso si estende anche alla forestazione urbana, frequentemente evocata come parola d’ordine nelle politiche cittadine: piantumare alberi non significa automaticamente costruire un ecosistema, né garantire una reale compensazione ambientale.

Senza continuità ecologiche, suolo permeabile, reti d’acqua, manutenzione e monitoraggio a lungo termine, la forestazione rischia di ridursi a gesto simbolico. Secondo Muzzolini, le politiche ambientali richiedono un salto di scala: dall’episodio al progetto strutturale, dalla sperimentazione locale alla pianificazione consapevole. «Restituire spazi alla natura e alla comunità dovrebbe far parte di un disegno condiviso», osserva, «non di iniziative sporadiche o di narrazioni ottimistiche che non affrontano la complessità dei sistemi viventi».

In questo quadro, Floating Island diventa anche un modello in miniatura, una metafora operativa di ciò che potrebbe accadere se la città affrontasse gli ecosistemi come sistemi complessi e non come semplici scenografie verdi.

Bruno Muzzolini, Floating Island

Politico e poetico come pratica unica: dal giardino di Derek Jarman a una micro-gestione ecologica consapevole

In continuità con la riflessione sulla necessità di interventi ecologici strutturali e consapevoli, un riferimento fondamentale nella ricerca di Muzzolini è il giardino realizzato da Derek Jarman a Dungeness, situato volontariamente davanti a una centrale nucleare. Un contesto ostile, scelto con piena consapevolezza, in cui poetico e politico coincidono.

Nel lavoro di Muzzolini, l’esempio di Jarman non si limita alla suggestione estetica, ma si traduce in un principio metodologico: assumere pienamente la responsabilità del contesto concreto in cui si interviene, sviluppando il proprio lavoro come un rizoma deleuziano, capace di interfacciare senza linearità riflessioni che attraversano l’arte, l’ecologia, il gioco e il desiderio. «L’arte che si dichiara politicamente impegnata ma lo fa senza tenere in considerazione le dinamiche del suo linguaggio è banale e ridondante. È una questione delicata, in cui il linguaggio non è solo forma».

Floating Island utilizza materiali problematici, condizioni instabili e forme di vita autonome, riconoscendo gli esiti del processo – tanto quelli positivi quanto quelli imprevisti – come parte integrante dell’opera. In questo modo, l’installazione diventa una micro-gestione ecologica consapevole, un laboratorio in cui l’arte incontra la pianificazione sostenibile, la cura del vivente e la riflessione sulle possibilità concrete di rigenerazione ambientale.

Precedenti nella pratica artistica: dal basso materialismo alle trappole, dagli zoo agli ecosistemi artificiali

Pensando all’intervento artistico in contesti naturali, la prima associazione va a figure come Richard Serra e Robert Smithson, e al dialogo profondo che le loro immense installazioni instaurano tra estetica e ambiente. Contrariamente a questo filone di land art, però, il lavoro di Muzzolini si distingue per un approccio che potremmo definire di basso materialismo, vicino alle dinamiche dell’informe nel pensiero di Georges Bataille: l’attenzione non è rivolta alla monumentale alterazione del paesaggio, ma alla materialità minuta, al mondo animale e ai processi vitali spesso invisibili.

Guardando a lavori passati e on-going, questi elementi ritornano in forme diverse. La serie Trappole, per esempio, rappresenta trappole per orsi o grandi animali costruite nei boschi, fotografate e poi smontate. Le immagini conservano la tensione del rischio e del predatorio, ma sospendono l’atto stesso, creando una grammatica del contatto tra uomo, animale e oggetto che anticipa le questioni sviluppate in Floating Island. Qui l’attenzione non è spettacolare, ma relazionale: il rischio, il movimento e la potenziale violenza diventano strumenti di riflessione sui rapporti tra specie e sulla responsabilità dell’uomo nei confronti dei contesti naturali che abita.

Lo stesso principio si manifesta in Linea di fuga, un’opera video in cui Muzzolini documenta per mesi la vita di uno scimpanzé dello zoo di Belgrado, il cui nonno era fuggito più volte negli anni Novanta, diventando una leggenda urbana. Il lavoro esplora la tensione tra libertà e costrizione, natura e artificio, adattamento e controllo. L’attenzione meticolosa al comportamento animale, ai tempi e agli spostamenti, crea una narrativa che interroga l’artificialità degli ecosistemi, le strategie di adattamento delle specie e il ruolo dell’uomo come co-agente, piuttosto che come osservatore esterno.

In entrambi i lavori emerge una poetica che precede e prepara Floating Island: un interesse costante per i sistemi viventi, per la loro autonomia, complessità e, soprattutto, profonda e imprevedibile resilienza.

Tecnologia, immagine e ascolto: tra pellicola, suoni subacquei e responsabilità ambientale del digitale

Parlando della materia artistica concreta, Muzzolini lavora con fotografia e video come strumenti dotati di consistenza scultorea, capaci di occupare spazio e tempo in maniera tangibile. L’artista utilizza prevalentemente la pellicola, affascinato dai passaggi chimici che trasformano la luce in immagine, e allo stesso tempo mostra cautela nell’uso della tecnologia digitale: «Verso la tecnologia sono generazionalmente curioso, ma temo la poca capacità di avere una possibilità critica. Un impoverimento che mi spaventa».

Nel contesto di Floating Island, Muzzolini integra dispositivi come l’idrofono per registrare i suoni subacquei dell’isola. Alcuni di questi ritmi profondi, come gli ha indicato un biologo con cui collabora, corrispondono a veri e propri processi biologici legati alla fotosintesi, aprendo una dimensione sensoriale inedita e rivelatrice della vita dell’ecosistema.

Questa attenzione al suono, all’immagine e ai processi naturali convive con una consapevolezza più ampia relativa all’impatto ambientale della tecnologia contemporanea. Se da un lato Muzzolini riconosce il potenziale creativo degli strumenti digitali – dall’AI alle tecniche di elaborazione avanzata – dall’altro rimarca la necessità di interrogarsi sulla loro sostenibilità: l’energia richiesta per alimentare sistemi complessi, la produzione di hardware, l’impronta ecologica delle infrastrutture tecnologiche. In questo senso, la sua cautela non è nostalgica ma politica: un invito a non separare l’innovazione dalla responsabilità ecologica, a mantenere uno sguardo critico su ciò che consumiamo per creare.

«Mi affascina la capacità di alcuni giovani di attivare un livello alto di attenzione verso la natura e, al contempo, di utilizzare strumenti tecnologici avanzati», afferma. «Questa doppia competenza possiede un enorme potenziale». È proprio nel dialogo tra sensibilità ecologica e tecnologie ad alta intensità che Muzzolini intravede nuove forme artistiche, purché sostenute da una vigilanza critica verso le risorse che tali strumenti richiedono.

La sua formazione pittorica, infine, emerge come radice di tutto: fin dall’infanzia, il suo rapporto con l’immagine è stato un modo di osservare e modellare il mondo. Fotografare, filmare, registrare diventano oggi per lui strumenti per sondare il caso, la dissipazione, l’interazione tra materiali e organismi e, allo stesso tempo, per riflettere sulle strutture – biologiche e tecnologiche – che rendono possibile ogni forma di percezione.

Sara van Bussel

Bruno Muzzolini: Biografia dell’artista

Bruno Muzzolini (Italia, 1964) vive e lavora tra Brescia e Milano. La sua pratica attraversa disegno, fotografia e video, esplorando il rapporto con altre forme di vita, materiali e processi naturali. Ha esposto in numerosi contesti nazionali e internazionali, tra cui la 54ª Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Corderie dell’Arsenale, oltre a musei e gallerie in Islanda, Messico, Colombia, Turchia, Grecia, Paesi Bassi. Ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e lo IUAV di Venezia. Attualmente insegna Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.

Banquet: lo spazio che ospita Floating Island

Banquet è uno spazio curatoriale e una galleria dedicata a progetti contemporanei di ricerca artistica. Fondata a Milano, promuove pratiche interdisciplinari che integrano installazione, fotografia e performatività, privilegiando opere che indagano la relazione tra ambiente, materiali e società. Banquet sostiene la produzione, documentazione e diffusione di opere che coniugano sperimentazione estetica e riflessione critica.

Floating Island, Bruno Muzzolini
Bruno Muzzolini, Trappola 4, 2021. Courtesy of the artist and banquet
Bruno Muzzolini, “Linee di fuga”, 2022, video 4K, durata 25’11’’. Courtesy of the artist and banquet