
Canapa tessile e industria: perché la cotonizzazione resta ancora un processo sospeso
Il punto in cui la fibra si ferma prima dell’industria: in Italia la cotonizzazione della canapa resta una fase interrotta: un passaggio tecnico legato alla filatura presente solo in studi accademici e progetti di ricerca
Cotonizzare o non cotonizzare: la doppia via della canapa tessile
La canapa può essere filata senza cotonizzazione, seguendo la via della fibra lunga e della filatura a umido, come avviene per il lino. Questo percorso conserva la brillantezza e la resistenza tipiche delle fibre bast — lino, canapa, ortica — perché mantiene intatta la lunghezza originaria della fibra. La filatura a umido, che ne è alla base, richiede una catena produttiva complessa: macerazione controllata in acqua corrente o calda, scotolatura meccanica, pettinatura fine e filatura su bagnato. Ogni fase deve avvenire in continuità, con personale formato e ambienti a temperatura costante.
In Europa occidentale queste infrastrutture sono quasi scomparse: gli ultimi impianti attivi per il lino si trovano in Normandia e nelle Fiandre, mentre le linee dedicate alla canapa, presenti in Francia fino agli anni Ottanta, sono state dismesse o convertite ad altri usi. Oggi la fibra lunga di canapa viene in gran parte inviata in Asia per la filatura, dove i processi a umido restano diffusi e sostenuti da costi energetici e manodopera inferiori.
Cotonizzazione della canapa
La cotonizzazione della canapa è il processo che rende la fibra lunga della pianta compatibile con i macchinari del cotone. Consiste nel separare e accorciare le fibre, eliminando pectine e lignina attraverso trattamenti chimici, meccanici o enzimatici. Il risultato è un fiocco di circa trenta, cinquanta millimetri, più morbido e regolare, adatto alla filatura industriale. Questo passaggio permette di produrre filati misti con cotone o altre fibre naturali, ampliando gli usi tessili della canapa. In Italia, oggi, la cotonizzazione della canapa non è praticata su scala industriale.
La via cotoniera accorcia la fibra e la rende compatibile con gli impianti diffusi. È la strada che permette miste con cotone e altre fibre corte, standardizzando i parametri di processo e riducendo la barriera d’ingresso industriale. In Italia, per ora, nessuna delle due vie ha trovato una vera applicazione industriale. La filatura a umido è scomparsa insieme agli impianti che la rendevano possibile, mentre la cotonizzazione resta confinata alla ricerca e a qualche progetto pilota, lontana dalle quantità e dalle condizioni necessarie a trasformarsi in produzione.
La canapa nasce lunga, rigida, difficile da piegare alle regole della macchina. La cotonizzazione ne modifica la struttura: riduce la lunghezza delle fibre, ammorbidisce la superficie, elimina parte delle sostanze vegetali che ne impediscono la torsione. Alla fine del trattamento resta un fiocco corto e regolare, capace di scorrere nei macchinari del cotone.
La lunghezza della filiera mina la sostenibilità dell’industria tessile
La sostenibilità dell’industria tessile non finisce nei campi. La canapa cresce con poche risorse, migliora la fertilità del suolo e assorbe anidride carbonica in quantità significative, ma la sua impronta ambientale dipende anche da ciò che accade dopo la raccolta. Quando la fibra deve essere spedita all’estero per le fasi di lavaggio e filatura, una parte del vantaggio iniziale si riduce: la distanza diventa parte integrante del processo, tanto quanto l’acqua o l’energia utilizzata per trasformarla.
I differenziali di costo riflettono la struttura industriale. In Asia, dove la filiera è integrata, un chilo di fibra corta pronta per la filatura costa in media quattro euro. In Europa, dove la lavorazione avviene in impianti certificati e con standard più elevati di tracciabilità e controllo ambientale, il prezzo sale a sei, otto euro al chilo. In Italia, quando la materia prima viene inviata all’estero per essere trattata e rientra come semilavorato, il costo effettivo supera spesso i dieci euro al chilo.
La ricerca sulla cotonizzazione: dove la fibra diventa un dato misurabile
Tra il 2019 e il 2025, una rete di progetti europei e italiani ha prodotto dati concreti sui processi di cotonizzazione della canapa. In Italia, il Politecnico di Torino e l’Università di Bologna hanno sperimentato cicli combinati a base di perossido e trattamenti enzimatici per ridurre l’uso di soda caustica e migliorare la regolarità del fiocco. L’Università di Camerino ha analizzato il bilancio energetico di questi sistemi, stimando un consumo medio di 2,8 megawattora per tonnellata di fibra trattata.
I risultati convergono su un equilibrio preciso: temperature tra settanta e ottanta gradi con pH alcalino controllato garantiscono una rimozione delle gomme vegetali fino al limite ottimale dell’otto per cento, soglia necessaria per la filatura senza interruzioni. Scendere a sessanta gradi è possibile, ma richiede tempi più lunghi e un supporto enzimatico che faciliti la separazione dei fasci senza intaccare la tenacità.
A livello europeo, progetti come Hemp4Circularity e Sustainable Bast Fibres 2030 hanno definito parametri comuni per misurare l’efficacia della lavorazione: lunghezze di fiocco comprese fra trenta e cinquanta millimetri, finezza di uno, due tex e una distribuzione regolare del diametro, che garantisce miste stabili con il cotone fino al cinquanta per cento. La qualità del risultato, più che dalla formula chimica, dipende dalla precisione con cui la fibra viene asciugata e raffreddata: solo così mantiene la resistenza necessaria per sopportare la velocità della macchina.
Cotonizzare senza mercato: perché in Italia la tecnologia resta ferma ai prototipi
Il mercato europeo dei filati a base di canapa cresce, ma parte da quote basse: la quota destinata al tessile rimane intorno a una frazione del totale della fibra bast trasformata, con il resto assorbito da edilizia, biocompositi, cartario. In Italia, la domanda effettiva di filati in pura canapa o in miste stabili non raggiunge ancora livelli tali da giustificare un impianto dedicato.
I prezzi seguono la logica dei volumi e della continuità: senza conferimenti regolari e contratti di lungo periodo, l’ammortamento degli investimenti resta incerto. A questo si aggiungono i costi energetici e idrici che, nel contesto nazionale, incidono più che in aree con energia a costo inferiore o con reti industriali già ottimizzate per il lavaggio e l’asciugatura in continuità.
Il risultato è una situazione sospesa: la canapa tessile torna nei discorsi sulla materia, ma non entra nelle pianificazioni di investimento. La tecnologia è disponibile e misurata nei suoi parametri, ma l’ecosistema — dall’agricoltura alla trasformazione — non è ancora allineato.
