
Cosa significa editoriale? Definizione di una parola abusata
Un editore è colui che garantisce il contesto e la fiducia che tale contesto promette: l’editore permette al talento creativo di esprimersi in libertà su un messaggio condiviso
Editori e talenti creativi
Su un giornale come Lampoon così come su altre riviste indipendenti, i fotografi, gli stylist e i creativi coinvolti devono essere lasciati liberi di fare quello in cui credono. C’è un controllo e un coordinamento centrale che in qualche modo vuole preservare la visione della casa editrice – ma questo succede già con la scelta di un talento creativo a cui l’editore chiede di collaborare. La sintesi del concetto editoriale è qui: la priorità è dell’autore, non del committente – l’editore è colui che tale priorità garantisce all’autore, tramite la coerenza del messaggio che l’editore vuole trasmettere.
La libertà editoriale è quella che premette il successo commerciale
Esiste una regola che la storia conferma nonostante molti vorrebbero non darle credito: un prodotto andrà bene sul mercato quando l’industria editoriale lo apprezza.
Negli anni scorsi, nel mio ruolo di editore, osservavo come i creativi di tutto il mondo ci chiedevano di poter scattare abiti e accessori di Bottega Veneta – quelle collezioni il cui disegno primario era stato creato da Daniel Lee e che Matthieu Blazy aveva saputo bene evolvere e declinare. Io personalmente non mi ero accoro subito della rinascita di Bottega Veneta – ma il continuo sollecito da parte del sistema editoriale mi aveva subito dato l’allarme e la nota.
Al di là che un’azienda come Prada sia un investitore pubblicitario o no, i creativi dell’industria visiva chiedono di poter elaborare la loro immagine sull’estetica di Prada. Il successo costante di Prada vive ancora di questo – anche se una strategia di placement su celebrità per un riscontro numerico e commerciale, come mai prima Prada aveva condotto, ultimamente rischia di farne cadere il percepito.
Aggettivo, sostantivo “Editoriale”: definizione da enciclopedia
Potremmo partire dalla Treccani, perché quando c’è confusione è bene richiamare le basi. Treccani definisce editoriale un aggettivo che riporta all’attività di una casa editrice; se diventa sostantivo, l’editoriale è l’articolo di fondo che di solito appare in prima pagina, a commento o introduzione da parte dell’editore o di un giornalista la cui opinione è vicina a quella dell’editore. Un editore è consapevole come, nonostante una cronaca oggettiva, l’attività giornalistica conduca inevitabilmente a una presa di parte.

Il sistema editoriale – nella teoria, nella storia, nei giorni attuali
Le case editrici di testate giornalistiche sono sostenute anche dalla vendita di spazi pubblicitari, in un equilibrio che spinge una casa editrice a produrre contenuti editoriali per i quali un’azienda voglia acquisire tali spazi. Succede che i contenuti di un editore perdano l’attenzione alla cronaca giornalistica, concentrandosi a essere contenuti che possano essere funzionali alla promozione della vendita di spazi. Succede che una casa editrice oggi somigli a un’agenzia di comunicazione. Per l’Italia, Milano è sia capitale dell’editoria sia capitale della pubblicità – i confini tra questi due settori stanno diventando labili.
Editoriale: una parola usata e abusata – come sostenibilità
Ci sono parole di cui abusiamo l’utilizzo: editoriale è una di queste. Un’altra è sostenibilità – talmente abusata che provoca oramai fastidio e diffidenza, quando viene proferita – invece che trovare l’attenzione che dovremmo dare a un’urgenza che ci riguarda. Un’altra ancora, resiliente – c’è chi alza gli occhi come faceva la mia insegnante del liceo davanti ai miei luoghi comuni di ragazzino sedicenne, prima di scrivere quattro in rosso sul foglio protocollo. Resilienza è diverso da resistenza.

Per definizione, un contenuto editoriale non può essere prodotto da un’azienda del commercio
L’editoria fa parte dell’industria, non fa parte del ramo del commercio. Un contenuto editoriale non può essere prodotto o rilasciato da un’agenzia di comunicazione, né da un social media manager, né da un singolo individuo che scrive sul proprio profilo in un social media. Tutti possono scrivere quello che pensano sul proprio feed – un’emozione e un’ode da fan, un’esternazione personale, uno sfogo sopra tono, un manifesto che è una propaganda e che in tanti condivideranno applaudendo. Non si tratta di un contenuto editoriale.
Che cosa è un contenuto editoriale? Che cos’è un editore? Che cos’è una casa editrice?
Un contenuto editoriale è un contenuto – un testo, un’immagine, un video – che è avvalorato da un editore. Serve allora definire cosa sia un editore o una casa editrice: un professionista, o un gruppo di persone dirette da un professionista, che prima di rilasciare tale contenuto, lo editano garantendone una veridicità, un’obiettività – una razionalità – in un contesto di rispetto civile prima ancora che legale. Non solo: l’editore è tale se presenta tale contenuto quale lavoro di un autore, garantendo il valore intellettivo di un autore e difendendone il diritto.


Il valore editoriale di un’immagine, il rispetto di un autore
Il ragionamento sembra rivolto ai testi – ma elaboriamolo su un’immagine. Una fotografia – intendo una fotografia realizzata su commissione di un’azienda o di un’agenzia incaricata da tale azienda – non sarà una fotografia editoriale ma un’immagine commerciale, realizzata per promuovere la vendita di un prodotto che l’azienda mette sul mercato.
Una fotografia editoriale è commissionata da un editore presso il quale la stessa azienda ha comprato – o potrebbe comprare – uno spazio pubblicitario: l’editore sceglie un fotografo la cui ricerca estetica possa incontrare alcune caratteristiche di questo prodotto, e chiede a questo fotografo di raccontare una sua storia personale, una sua estetica, una sua visione.
L’editore si limita a questo: alla scelta dell’autore al quale spiegherà perché sia stato scelto e contattato: per una coerenza di visione tra creatività di questo autore e il messaggio che l’editore vuole trasmettere, anche attraverso la scelta dell’azienda a cui decide di vendere uno spazio pubblicitario. Questo è da sottolineare: un editore non deve vendere i suoi spazi a chiunque, ma a quelle aziende che rimangono comprensibili osservando la sua direzione editoriale. Come dicevamo sopra, ogni cronaca giornalistica, per quanto razionale, oggettiva possa riuscire a essere, sarà sempre di parte, vorrà sempre lasciare un messaggio, una traccia, una coerenza e un’identità.

Accezione positiva di sovranismo: fare squadra, trovare orgoglio
Quando morì la Regina Elisabetta, il giornalista della BBC apparve vestito a lutto. BBC è un editore. Un testo incorniciato fu appeso al cancello di Buckingham Palace, e poco più in alto, la bandiera salì a mezz’asta. La prima informazione della morte della sovrana era però già stata pubblicata dalla famiglia reale su Twitter.
Non sarebbe stato più rispettoso, nei confronti della regina stessa, della storia che tale regina ha lasciato scrivere nei suoi anni, che fosse un canale ufficiale britannico, inglese, quale la BBC, ad annunciare l’ufficialità della fine? Quante decine di secondi si sarebbero persi, prima che il mondo sapesse ugualmente? La regina pare fosse morta già nel primo pomeriggio, ore prima che l’annuncio fosse dato – perché non prevedere l’ufficialità dell’impatto mediatico tramite un canale titolato a tale ruolo?
I Social Media sono di proprietà privata e americana e contribuiscono a parte della supremazia commerciale che l’America detiene sul globo. Era un social media il canale idoneo ad annunciare la morte della Regina d’Inghilterra? Poco dopo la scomparsa della Regina assistemmo alla stessa procedura da parte del Vaticano per la morte di Benedetto XVI. Può apparire coerente affidare ai Social Media americani le informazioni politiche, quelle notizie davanti al quale una nazione si sente unita nella storia e nel futuro?

I Social Media non sono un mezzo di informazione, ma di trasmissione
In Italia, un primo ministro non dovrebbe parlare tramite Meta. Molte informazioni, purtroppo, che possono cambiare la nostra quotidianità ci arrivano tramite un canale americano. Il Social Media non prevede alcun lavoro editoriale per il contesto in cui tali informazioni sono rilasciate: un contesto senza autorevolezza, che non stimola riguardo, rispetto e rigore da parte di chi questo messaggio riceve e che in tale messaggio si sente coinvolto. Un contesto che non ci trasmette fiducia.
Il sovranismo italiano e un editoriale di Ferruccio de Bortoli
In Italia, siamo tra i leader mondiali dell’economia circolare, campioni di una filiera alimentare a chilometro zero che è tra i nostri primi asset di export. Siamo sovranisti nell’arredamento, nel vestirsi e nei viaggi – come scrive Ferruccio De Bortoli su Corriere Economia – eppure ci pieghiamo a un broadcaster americano. Il sovranismo è un concetto discusso ultimamente, ma preso da questo punto di vista, diventa un modo di vivere che costruisce il nostro orgoglio.
Carlo Mazzoni

