
La Generazione Z non ha smesso di leggere: ha solo cambiato luogo, linguaggio e regole
Dai caroselli alle newsletter, dai social ai podcast: i dati mostrano una dieta informativa frammentata, algoritmica e ibrida, dove sostenibilità, servizio pubblico e IA riscrivono le regole del giornalismo
La Generazione Z non legge più? In realtà legge ovunque: il problema è che l’industria continua a cercarla nel posto sbagliato
La Generazione Z non legge più. O almeno: non legge come il Novecento si aspettava che facesse. I dati citati nel Digital News Report Italia 2025 ribaltano l’assunto: quando si chiede agli italiani quale formato preferiscano per informarsi online, il testo resta al primo posto con circa il 55% delle preferenze, davanti al video (poco più di un quinto) e all’audio (circa un decimo). E la fotografia cambia poco anche sotto i 25 anni: il testo guida ancora, il video cresce ma non sorpassa, l’audio resta minoritario. Quello che cambia non è la lettura, ma il suo domicilio: meno “pagina”, più micro-testi che vivono dentro caption, sottotitoli, caroselli, thread, newsletter e schede snelle che si consumano nello scroll.
Il paradosso italiano dell’informazione: motivazioni alte, consumo frammentato e algoritmo come direttore ombra
Il report descrive un “paradosso italiano” ormai strutturale: curiosità e voglia di partecipare alla vita culturale restano alte, ma la fruizione è rapida, interrotta, spesso guidata dall’algoritmo. Non è solo un tema di attenzione: è un tema di contesto. Se il feed diventa la prima pagina, la notizia viene giudicata per chiarezza immediata, riconoscibilità e utilità pratica. Per chi produce informazione, la sfida non è scegliere tra “serio” e “leggero”, ma rendere accessibile la complessità senza banalizzarla, tenendo in piedi metodo, verifica e responsabilità pubblica.
Social come homepage e “motore di ricerca”: la notizia nasce nel feed e poi, se serve, diventa approfondimento
Molti under 30 usano piattaforme e short video non solo per intrattenimento, ma anche per orientarsi su prodotti, luoghi e notizie: il feed, di fatto, diventa una homepage informativa. In questo spazio entrano politica, diritti, identità, minoranze, famiglia, rispetto: temi che circolano tra creator, pagine editoriali e contenuti generati dagli utenti. Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it (testata nativa digitale del gruppo Ciaopeople), racconta un esempio concreto di questa saldatura tra vita digitale e vita reale: una lunga diretta legata alla flottiglia per Gaza, seguita per ore finché un jammer interrompe i segnali, mentre nei commenti si formano cortei spontanei in decine di città. La definizione è secca e rivendicata: “Questo è stato servizio pubblico”. È un passaggio che sposta il discorso dal formato alla funzione: non conta solo “dove” pubblichi, ma che cosa abiliti in termini di comunità, reazione, partecipazione e responsabilità.
Podcast: pubblico grande e fedele, ma sulle hard news resta una nicchia (e il business da solo non basta)
Il podcast in Italia cresce e consolida abitudini: una ricerca NielsenIQ per Audible citata nel testo parla di circa 18 milioni di italiani che hanno ascoltato almeno un podcast nell’arco di un anno nel 2025, con una sessione media sopra i 28 minuti e una quota di ascoltatori quotidiani intorno al 16%. I generi più seguiti includono crime, storia, politica e benessere: l’audio funziona per compagnia e approfondimento, e spesso la scelta è guidata più dal tema che dal conduttore. Ma quando si guarda alle notizie “dure”, la scala si restringe: il Digital News Report ridimensiona il peso dell’audio per le hard news e indica una quota intorno al 6% che dichiara di aver ascoltato un podcast di news nell’ultima settimana. Tradotto: il podcast è potente, ma raramente è autosufficiente per un modello di massa; rende di più dentro ecosistemi ibridi che tengono insieme testo, video, audio, community, eventi.
Factanza e la regola anti-paternalismo: spiegare senza dare per scontato e portare dentro chi era fuori
Factanza nasce come progetto social-first e costruisce la sua efficacia su un principio che è insieme editoriale e culturale: Francesca Arrighini, cofondatrice di Factanza (media company nata su Instagram e poi cresciuta su più canali), sintetizza così la regola di base: “Non dare per scontato che le persone sappiano. Non è un loro dovere sapere, è nostro dovere informare”. È la logica del “portare la notizia dove già sei”, trasformando temi complessi in unità minime e chiare: titolo netto, contesto essenziale, un passaggio che orienta. Da qui discendono anche implicazioni economiche: branded content, progetti con istituzioni, formazione e prodotti editoriali diventano sostenibili solo se percepiti come coerenti con i valori della community, in un clima in cui consumo consapevole e reputazione contano quasi quanto la reach.
Fanpage.it e l’inchiesta nativa digitale: impatto pubblico alto, vulnerabilità alta alle piattaforme e alle pressioni
Fanpage.it è una testata nativa digitale che negli anni ha costruito peso anche grazie a inchieste capaci di incidere sul dibattito pubblico. Proprio qui emerge il nodo: la scala di audience dà visibilità, ma non garantisce protezione. La monetizzazione dipende in parte da piattaforme terze, e quindi dalle loro regole: reach, limitazioni, rischi di demonetizzazione, soprattutto quando i contenuti sono “scomodi”. In parallelo, gli stessi strumenti che rendono possibile la cronaca in tempo reale possono diventare vettori di sorveglianza, attacchi mirati e pressione politica. Non è un dettaglio tecnico: è un tema di libertà di stampa e di resilienza del metodo giornalistico dentro un ambiente ostile.
Will Media e la fine del feticcio del formato: se risponde a un bisogno, è giornalismo anche in un reel
Will Media costruisce un ecosistema che attraversa Instagram, TikTok, YouTube, podcast, newsletter, eventi e formazione. Eugenio Zaffarano, responsabile editoriale e figura chiave del progetto, mette a fuoco un cambio di identità professionale: “Si fa giornalismo, non si è giornalisti”. In questa prospettiva, un reel, una newsletter, un podcast o un articolo possono valere allo stesso modo se fanno davvero servizio al pubblico. Il formato smette di essere un totem; diventa uno strumento. Ed è anche un modo pragmatico per parlare di sostenibilità: non una sola gamba (solo sito, solo social, solo audio), ma più entrate e più canali che si sostengono a vicenda.
Intelligenza artificiale e informazione: supporto utile, rischio fabbrica di clickbait e la domanda su chi controlla la verità
L’arrivo dell’IA generativa apre una linea di frattura: usarla per aiutare il lavoro umano o usarla per sostituirlo a basso costo. Arrighini distingue l’uso di supporto (brainstorming, traduzioni, task ripetitivi) dalla scorciatoia industriale: redazioni rimpiazzate da testi generati, alimentati da contenuti non retribuiti, con qualità bassa e rischio alto di disinformazione. Sul piano più ampio, entra l’idea della Gutenberg Parenthesis di Jeff Jarvis: l’epoca della stampa come parentesi in cui pochi producevano testi uguali per molti, mentre oggi l’informazione tende a diventare personalizzata e “risposta” più che “articolo”. Da qui la domanda politica e culturale: l’IA dirà la verità o dirà ciò che l’utente vuole sentirsi dire? E se le infrastrutture dell’IA sono concentrate in poche aziende, chi diventa, di fatto, il “super editore” che decide che cosa passa e che cosa no? Zaffarano, però, rifiuta l’apocalisse automatica e la mette sul terreno competitivo: non sarà l’IA in sé a togliere lavoro ai giornalisti, ma chi saprà usarla meglio. Gli esempi più concreti riguardano produzione e post-produzione: correzioni, editing audio, supporto al fact-checking, traduzioni rapide.
Come si comincia a fare giornalismo oggi: pubblico, sperimentazione e identità costruita sul metodo (non sulla sigla)
Alla domanda su che cosa dire a chi vuole iniziare, Zaffarano parte da un criterio semplice e operativo: guardarsi attorno e chiedersi come si vorrebbe ricevere una notizia, poi sperimentare formati e canali senza aspettare l’investitura della redazione tradizionale. Arrighini insiste sulla possibilità di partire in autonomia: scrivere, registrare, imparare strumenti essenziali di grafica, costruire un portfolio pubblico. Ne deriva un messaggio anti-stereotipo: non esiste più un solo canale legittimo per “diventare giornalisti”. Esistono tanti luoghi in cui si può fare giornalismo, e l’identità professionale nasce dalla pratica: verifica, chiarezza, responsabilità, trasparenza.
La chiusura torna alla provocazione iniziale, ma la capovolge: la Generazione Z non legge meno, legge diversamente. Legge in frammenti che si incastrano, e premia chi riesce a rispettare il suo tempo senza insultare la sua intelligenza. La sfida vera per i nuovi media italiani non è scegliere tra testo e audio: è costruire modelli duraturi che non sacrificano il giornalismo all’algoritmo, e che tengono insieme sostenibilità, comunità e libertà.
Contesto dell’incontro
Queste riflessioni prendono spunto da un evento ospitato alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano, nella sede di viale Pasubio. Il titolo dell’incontro era “Nuovi media, nuovi pubblici, quali business? Social, podcast e sfide dei modelli sostenibili”. I nomi citati (Francesca Arrighini di Factanza, Francesco Cancellato di Fanpage.it, Eugenio Zaffarano di Will Media) sono qui trattati come fonti intervistate e non come “relatori” nel racconto, con moderazione affidata a Luna.
Alessia Caliendo

