
Bonificare i suoli con la canapa industriale: così Green Valley trasforma i rifiuti in rinascita
A Roccasecca, nel basso Lazio, Green Valley utilizza la canapa industriale per bonificare terreni inquinati e restituire al lavoro agricolo un ruolo nella rigenerazione ambientale
Green Valley: la canapa industriale come progetto di rigenerazione ambientale e sociale
A Roccasecca, in provincia di Frosinone, la canapa è tornata a crescere tra i capannoni dismessi e i terreni resi sterili dalle discariche. Qui nasce Green Valley, un progetto che unisce ricerca, agricoltura e bonifica, trasformando un territorio segnato dall’inquinamento in un laboratorio di sperimentazione: «Siamo nati nel 2017 con l’idea di riportare la canapa in Italia come risorsa concreta», racconta Jacopo Paolini, co-fondatore. «La pianta fa ciò che l’uomo non riesce più a fare: ripulisce, assorbe, restituisce. Abbiamo iniziato su pochi ettari abbandonati e abbiamo visto la terra tornare viva».
La canapa di Green Valley agisce dove le bonifiche industriali falliscono. Attraverso il fenomeno della fitodepurazione, assorbe i metalli pesanti e riduce la tossicità del suolo. L’obiettivo, comunque, non è solo ambientale. Il progetto punta a riattivare una filiera agricola che possa restituire occupazione, identità e continuità economica: «Non coltiviamo solo una pianta. Coltiviamo un modo di stare sul territorio. La canapa cresce in fretta, richiede poca acqua, non impoverisce il terreno. È una materia che lavora per noi anche quando noi non possiamo farlo».
Canapa e sostenibilità: un’impresa agricola che resiste tra sequestri e vuoti di legge
Nel 2024 l’azienda ha vissuto il momento più critico della sua storia, sei mesi di sequestro giudiziario per una partita di biomassa priva di THC: «Abbiamo avuto la merce bloccata da febbraio a fine agosto. Il giudice poi ha dissequestrato tutto, ma nel frattempo il valore era dimezzato e il lavoro di un anno compromesso».
Il caso Green Valley evidenzia la fragilità normativa che pesa sulla sostenibilità della canapa industriale in Italia: «Siamo imprenditori agricoli, non trafficanti, ma la legge 309 ci equipara a chi produce sostanze stupefacenti. In nessun altro Paese europeo succede. In Italia coltivare canapa significa rischiare di essere arrestati».
La conseguenza è un clima di sospetto permanente: «Noi denunciamo tutto, paghiamo contributi, lavoriamo con dipendenti. Ogni volta che parte una spedizione, dobbiamo giustificarla alle autorità. È frustrante. Chi prova a fare le cose in regola viene trattato come un problema».
Dietro la difficoltà c’è una contraddizione culturale, la canapa come simbolo di innovazione e allo stesso tempo di diffidenza istituzionale: «Il nostro lavoro nasce dalla volontà di fare impresa nella legalità, ma in un sistema che non distingue più tra ciò che è agricoltura e ciò che è droga, la sostenibilità diventa una forma di resistenza civile».
Economie circolari sospese: il valore della materia e la mancanza di infrastrutture
Green Valley si fonda sul principio delle economie circolari: nulla della pianta viene scartato. La biomassa diventa compost, materiale da costruzione, base per bioplastiche o substrato per nuovi terreni. In Italia, però, non è possibile chiudere il cerchio: «Ci mancano gli impianti di trasformazione. Il contadino può seminare, ma non sa dove portare il raccolto. Senza infrastrutture la filiera non esiste. E senza filiera non c’è economia circolare».
Il modello Green Valley punta alla produzione locale e al riuso continuo delle risorse: «Vorremmo creare un piccolo polo di lavorazione qui nel Lazio, ma ogni passo richiede permessi e certificazioni che si perdono nei corridoi ministeriali».
Ad oggi, la canapa viene raccolta e per lo più venduta come biomassa grezza all’estero: «Lavoriamo con Francia, Portogallo e Spagna. Lì la canapa è parte della transizione ecologica. Da noi è ancora una pratica da giustificare. È paradossale: esportiamo sostenibilità e importiamo diffidenza».
Dietro la mancanza di infrastrutture si nasconde una mancanza di visione politica: «Ci sono tanti giovani pronti a lavorare, tanti terreni da recuperare, ma servono regole e luoghi per trasformare la materia. Senza un punto di caduta, la filiera agricola si ferma alla semina».
Agricoltura rigenerativa come atto politico: la canapa che cura il suolo
L’agricoltura di Green Valley è un processo di rigenerazione. Non produce solo materia, ma modifica la composizione del terreno: «Dopo due anni la differenza è visibile. Il colore diventa più scuro, l’odore più dolce, tornano le erbe spontanee. È la prova che la terra sta reagendo».
L’agricoltura rigenerativa è anche un gesto politico, coltivare significa occupare uno spazio, ridare valore al tempo lungo della crescita: «Noi lavoriamo in modo lento. Non abbiamo bisogno di pesticidi, non usiamo irrigazione intensiva. La canapa lavora da sola, ma ci chiede pazienza».
Il ritorno della canapa nel basso Lazio ha generato anche nuovi posti di lavoro: «Oggi coinvolgiamo giovani che non avevano mai messo piede in un campo. C’è chi era emigrato, chi faceva tutt’altro. Adesso imparano un mestiere che ha un senso e un futuro. È poco, ma è un segnale».
La dimensione rigenerativa tocca anche la memoria collettiva: «In Ciociaria la canapa si coltivava fino agli anni Cinquanta. Era parte dell’economia locale, usata per corde e tessuti. Quando abbiamo iniziato, alcuni anziani sono venuti a vederci lavorare. Dicevano: “Era ora che qualcuno la ripiantasse”. In quei momenti capisci che la rigenerazione non è solo chimica, ma culturale».
Un settore che cresce senza norme: la fragilità silenziosa della canapa italiana
Per Paolini, la sostenibilità non è possibile senza un quadro normativo chiaro: «In uno Stato liberale i mercati si regolano, non si reprimono. In Italia la canapa vive in una zona grigia che scoraggia gli investimenti e spinge molti a chiudere».
La critica si rivolge anche al settore stesso: «Molti operatori hanno contribuito alla confusione vendendo fiori come profumatori per ambiente. È un’ipocrisia che danneggia tutti. Se è un prodotto da fumare, deve avere le sue regole e le sue tasse. Finché continueremo a girarci intorno, resteremo un settore fantasma».
La proposta di Green Valley è costruire una voce comune: «Dobbiamo unirci e scrivere un regolamento. Paghiamo giuristi invece che avvocati. Presentiamo al governo una bozza condivisa. È l’unico modo per costringere le istituzioni a rispondere».
Il linguaggio di Paolini è pragmatico: «Non chiediamo incentivi o sussidi. Chiediamo solo di lavorare nella legalità. Se il prodotto è legale, va regolato; se non lo è, va vietato. Non possiamo restare sospesi tra queste due opzioni».
Il paradosso della canapa: una materia sostenibile in un sistema che non lo è
La canapa rappresenta una delle colture più sostenibili in assoluto: assorbe CO₂, migliora la struttura del suolo, riduce l’erosione. Eppure, in Italia continua a essere considerata marginale: «Siamo un Paese che parla di economia verde ma che non permette di coltivarla davvero».
«A volte penso di smettere», confessa Paolini. «Poi torno nei campi, vedo le piante e mi passa. È come un dovere verso la terra. Dopo dieci anni, la domanda di canapa non è mai diminuita. Significa che qualcosa di buono c’è, anche se non lo vediamo nei bilanci».
L’impresa oggi vive tra resilienza e precarietà: «Abbiamo un mercato estero stabile, ma in Italia non possiamo crescere. Lavoriamo a singhiozzi: due anni in attività, otto mesi fermi. Non si può fare impresa così, ma continuiamo perché crediamo che la canapa sia il futuro dell’agricoltura».
Economie circolari e comunità: un modello di produzione che diventa relazione
Il modello Green Valley non si misura solo nei numeri, ma nei legami che genera: «Abbiamo coinvolto agricoltori locali, piccoli produttori, tecnici che lavorano sul campo. Ogni raccolto è frutto di una rete. È questo che intendo per economia circolare: non solo materia, ma comunità».
La canapa diventa così un punto di connessione tra mondi diversi: università, amministrazioni pubbliche, imprese agricole. «All’inizio ci guardavano con curiosità, adesso ci chiedono di spiegare come funziona la fitodepurazione. Significa che qualcosa si sta muovendo».
Nel territorio, la presenza di Green Valley ha aperto nuove collaborazioni: recupero di terreni incolti, piccoli laboratori di trasformazione, progetti di formazione per i giovani. «Non vogliamo creare un distretto industriale, ma un modello replicabile. Un sistema che dimostri che la canapa può essere coltivata, trasformata e venduta senza paura».
Coltivare come forma di resistenza: rigenerare è un atto collettivo
«La canapa cresce anche quando tutto si ferma» afferma Paolini. «È una pianta che non tradisce. È la nostra metafora: una radice che resiste e che non smette di cercare spazio».
L’obiettivo di Green Valley pèer il futuro è riportare la sostenibilità alla sua dimensione originaria, fatta di lavoro, territorio, continuità. «La canapa è economia, ma anche dignità. Bonifica il terreno e restituisce senso al tempo. È la prova che la sostenibilità non è un obiettivo, ma una condizione di vita. Abbiamo già i progetti tecnici pronti. Ci manca solo il permesso di poterli realizzare».
Intanto, nei campi di Roccasecca, in una terra che per anni è stata scarto industriale, la canapa continua a crescere: «Ogni stagione è un rischio, ma anche una prova di fiducia. La terra ci mette alla prova e noi rispondiamo coltivando. Forse è questo il senso della sostenibilità: continuare a credere che rigenerare sia ancora possibile».
Green Valley
Green Valley è un progetto nato nel 2017 a Roccasecca, in provincia di Frosinone, che utilizza la canapa industriale per bonificare terreni contaminati e favorire la ripresa agricola del territorio. Attraverso la fitodepurazione, la pianta assorbe metalli pesanti e rigenera il suolo. L’attività, sostenuta da collaborazioni con enti di ricerca, mira a creare una filiera fondata su economie circolari e agricoltura rigenerativa, restituendo valore ambientale e produttivo a un’area segnata dall’abbandono industriale.






