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Chi è Hedi Slimane? Il fantasma più potente della moda

L’uomo che ha fatto dimagrire Karl Lagerfeld e vestito generazioni di Hedi boys: glamour, sigarette, cavalli gotici e un’idea di giovinezza che il corpo reale non può reggere. Genealogia di un mito

Dopo Celine, solo silenzio: l’uscita di scena più rumorosa del sistema moda

Hedi Slimane nel 2024 lascia Celine. Nessuna intervista-confessione, nessuna lettera al mondo, nessun documentario riparatore: un comunicato secco della Maison, qualche retroscena industriale sulle trattative contrattuali finite male, poi di nuovo silenzio. In un’industria in cui ogni cambio di poltrona viene trasformato in un reality, Slimane sceglie ancora una volta la via più radicale: sparire.

Su Instagram la sua bio recita soltanto: «ALL PHOTOGRAPHS AND FILMS © HEDI SLIMANE. AN ANTHOLOGY PAGE». Zero following, centinaia di migliaia di follower. Un flusso di ritratti, band, cavalli, castelli, skyline di Los Angeles; lui, quasi mai in volto. La sua estetica viene analizzata, copiata, ridotta a tutorial “come vestirsi da Hedi boy” e a moodboard nostalgiche. L’oggetto del culto però scivola via: niente confessioni, niente TED talk, niente memoir. Solo immagini.

Sparire al centro della scena: Hedi Slimane come mito opaco della moda contemporanea

La moda di oggi è piena di direttori creativi che si raccontano: podcast, documentari, interviste-fiume, backstage in prima persona. Hedi Slimane fa il contrario. Mette in scena un’estetica riconoscibilissima – la sua – e poi evacua se stesso dal quadro.

Per capire il trucco conviene chiamare in causa Michel Foucault. In Che cos’è un autore? (1969), Foucault spiega che il nome di un autore non è solo la firma di una persona reale, ma una funzione: un’etichetta che tiene insieme un gruppo di testi, dà loro coerenza, valore, responsabilità. Quando diciamo “Kafka” o “Warhol”, non pensiamo solo a due individui, ma a un certo modo di scrivere, di montare immagini, di guardare il mondo.

Con Hedi Slimane succede la stessa cosa: “Hedi” non è più uomo. È un pacchetto estetico. È una silhouette (magrezza estrema, proporzioni verticali), un registro fotografico (bianco e nero duro, flash secco), una colonna sonora (rock, post-punk, indie sleaze), un certo tipo di giovinezza notturna e narcisista. Fa di tutto perché questa “funzione-autore” sia fortissima – e perché la sua biografia resti sfuocata.

Il risultato è straniante: è ovunque, ma non c’è. In filigrana passa un’idea quasi deleuziana di artista che si fa “impercettibile”: non star del racconto, ma corridoio che collega immagini, brand, corpi. La sparizione non è assenza: è regia integrale.

Una biografia tenuta fuori quadro: Louvre, macchina fotografica e primi fantasmi magrissimi

Slimane nasce a Parigi nel 1968, padre tunisino contabile, madre italiana sarta: la mania per la linea sottile e il taglio chirurgico parte letteralmente dal tavolo di casa. A undici anni riceve la prima macchina fotografica, impara il bianco e nero in camera oscura; da adolescente si cuce da solo gli abiti; studia prima scienze politiche, poi storia dell’arte all’École du Louvre. Arriva alla moda dal lato colto e archivistico dell’immagine, non da una scuola di fashion design.

Dopo qualche anno dietro le quinte come art director e casting director, entra nell’orbita LVMH, passa da Yves Saint Laurent, e nel 2000 viene messo alla guida della neonata linea uomo Dior Homme. Da lì in poi tutto accade in pubblico. Continua a raccontare se stesso più attraverso i corpi che veste e fotografa che attraverso dichiarazioni. La sua biografia “privata” resta fuori campo: nel frame ci sono solo ragazzi, loghi, città, notti.

Corpi stretti e ragazzi troppo magri: il regime del desiderio ai tempi di Dior Homme

A Dior Homme, Slimane impone una silhouette che, all’inizio dei Duemila, è quasi una violenza percettiva: giacche strettissime, pantaloni sottili come penne, camicie “verginali”, cravatte sottili, spalle ridotte. La stampa parla subito di linea “skinny”, androgina, in netto contrasto con il doppiopetto muscolare dominante negli anni Novanta.

Il caso più celebre è quello di Karl Lagerfeld, che racconta di aver perso decine di chili per poter indossare i completi disegnati da Hedi Slimane e ci scrive sopra un libro, The Karl Lagerfeld Diet. Non è solo un aneddoto di costume: racconta quanto quella silhouette sia diventata un regime estetico e un dispositivo di disciplina del corpo. Se non entri nello stampino, cambi il corpo. 

Nascono così gli Hedi boys: ragazzi magrissimi, allampanati, spesso pescati dai club e dalla strada più che dalle agenzie, trasformati in un esercito di santi laici e rockstar in prova. Quello che Georg Simmel chiamava il paradosso della moda – conformarsi per distinguersi – qui diventa immagine perfetta: tutti uguali, sottili, ma proprio in questo “tutti uguali” riconoscibili come tribù globale.

È un’estetica che erotizza fragilità e stanchezza: corpi che sembrano reggere qualsiasi abuso (sigarette, alcol, tour eterni) e che invece, nella realtà, si consumano in fretta. Il desiderio che vendono è quello di restare per sempre sul punto esatto in cui la magrezza è ancora glamour e non preoccupazione medica.

Tagliare i nomi, girare i film: Saint Laurent e Celine come set per una regia totale

Quando nel 2012 Slimane torna da Yves Saint Laurent, la sua prima mossa non è un abito ma una cancellatura: il prêt-à-porter diventa Saint Laurent Paris, il “Yves” scompare dal logo. La maison giustifica la scelta come ritorno alle origini della linea Rive Gauche, ma l’effetto simbolico è brutale: il fondatore viene retrocesso a spettro, il marchio diventa un monolite nero pronto a essere riempito da una nuova mitologia.

Attorno a quel nuovo nome, Slimane costruisce una narrativa rock: campagne con musicisti, Music Project fotografati da lui, sfilate che sembrano concerti, un’estetica noir che salda definitivamente moda, musica e culto adolescenziale.

Arrivato a Céline nel 2018, ripete la scena: il logo perde l’accento e diventa Celine. Anche qui, spiegazione ufficiale “filologica” – ritorno a una versione anni Sessanta senza accento, proporzioni più equilibrate – ma di nuovo un gesto chirurgico: basta questa micro-amputazione per far capire che il comando è cambiato.

È sul formato della sfilata che Slimane spinge la sua regia all’estremo. A Celine molte collezioni chiave non vengono mostrate a un pubblico seduto in sala, ma in film che lui stesso scrive, dirige e monta: The Dancing Kid su una pista automobilistica vuota, Teen Knight Poem tra le torri del Castello di Chambord, altre sfilate-video nella Bibliothèque Nationale di Parigi o nel deserto della California.

Durante la pandemia molti brand hanno usato il video come ripiego; per Slimane diventa la forma naturale del lavoro. L’autore non si presenta più in fondo alla passerella per l’applauso: sta dietro la camera, in sala di montaggio, dentro il mixaggio audio. Se per Foucault il nome dell’autore è ciò che tiene insieme un sistema di discorsi, qui il nome “Hedi Slimane” coincide con una regia totale di ogni elemento: logo, casting, location, colonna sonora, montaggio. Yves e Celine arretrano; in primo piano resta la manomissione continua dei loro codici da parte di qualcuno che sceglie di non farsi vedere.

Il cavaliere rinascimentale secondo Celine: Teen Knight Poem tra Chambord e nuovo romanticismo

Nella collezione uomo Autunno/Inverno 2021, Teen Knight Poem, Slimane spinge il suo mito adolescenziale dentro un’iconografia rinascimentale e gotica. La sfilata-film è girata al Château de Chambord, nella Loira: ragazzi a cavallo, mantelli neri, giacche da cortigiani ricoperte di paillettes, catene araldiche alle orecchie, camicie con jabot, skinny jeans di ordinanza.

I magazine parlano di nuovo romanticismo gotico-rinascimentale, di Game of Thrones filtrato da un club di Londra, di cavalleria medievale remixata con la sottocultura New Romantic.

Sotto la superficie fantasy, la struttura è sempre la stessa: un mondo popolato soltanto da adolescenti esili, che corrono lungo bastioni e scale monumentali come se i castelli fossero il loro naturale habitat. L’armatura è styling, non protezione; il cavallo è oggetto di scena, non animale. Il cavaliere adolescente è una figura impossibile: troppo giovane per il peso della storia che indossa, eternamente sospeso in uno stato di prova generale.

È un’immagine ambigua: da un lato consegna ai ragazzi un’iconografia “alta” – Rinascimento, gotico, romanticismo – dall’altro fissa ancora una volta il desiderio su un corpo che non conosce vecchiaia, gravità, stanchezza. Il mito continua a essere quello di un’adolescenza infinita, solo con più castelli.

Los Angeles, fabbrica dell’eterna giovinezza: California Song e i ragazzi della West Coast

Quando lascia Dior nel 2007, Slimane si sposta a Los Angeles. Qui concentra il ciclo di lavori fotografici che confluirà nella mostra California Song al MOCA Pacific Design Center (2011–2012): fotografie e video di giovani musicisti, skater, kids della West Coast, installati in un percorso che è insieme esposizione e concerto visuale.

Un progetto gemello porta quelle immagini anche fuori dal museo, su billboard digitali lungo le autostrade di L.A.: la città vede se stessa riflessa nei volti dei suoi ragazzi, ingigantiti dagli schermi.

Los Angeles è la capitale mondiale dell’industria dell’immagine e del culto dell’eterna giovinezza. Slimane ci si installa quasi per osmosi: i suoi soggetti sono esattamente quei corpi che Hollywood usa, consuma e sostituisce di continuo. Le sue foto però non cercano la patinatura perfetta: preferiscono il momento in cui il trucco cola, la sigaretta pende, lo sguardo è perso.

Se a Parigi la sua moda costruisce l’ideale del ragazzo magro in giacca nera, a Los Angeles la fotografia registra cosa succede dopo: il backstage infinito della promozione, i corridoi dei club, i parcheggi, le stanze d’albergo. California Song è il lato B di una stessa ossessione: la giovinezza come combustibile e come rovina.

Hedi boys, nostalgia tossica e indie sleaze: quando lo stile sopravvive alle band

Vent’anni dopo l’esplosione di Dior Homme, l’immaginario degli Hedi boys torna nella nostalgia “indie sleaze”: Tumblr, TikTok e gli editoriali di costume rievocano i primi Duemila come un’epoca di flash sparato, skinny jeans, club sudici, eyeliner colato, Polaroid di notti infinite. Slimane è uno degli architetti visivi di quell’estetica.

La differenza è che, rispetto al momento originario, oggi spesso la forma sopravvive al contenuto: si imitano i look senza la stessa densità di scene musicali, si replicano pose senza il rischio, la fatica, le economie precarie delle band in tour. È come se la moda avesse fatto il lavoro di un tassidermista: ha imbalsamato un certo tipo di giovinezza e ora la espone in vetrina, staccata da qualsiasi band reale.

Slimane è al tempo stesso lucido e complice. Da fotografo, mostra la stanchezza e le occhiaie dietro il glamour; da designer, continua a proporre il corpo magrissimo e notturno come norma desiderabile. È il punto di tensione centrale del suo lavoro: la capacità di rappresentare una scena e, allo stesso tempo, di trasformarla in standard estetico globale.

Ruvidità di carattere, stoccate alla stampa e controllo paranoico dell’immagine

Il mito del genio schivo potrebbe far pensare a un carattere mite. Non è così. Il rapporto di Slimane con la stampa è spigoloso. L’episodio più noto è la guerra con Cathy Horyn del New York Times: non invitata alla sua prima sfilata Saint Laurent, Horyn recensisce comunque la collezione, criticandone la mancanza di novità. Slimane risponde con una lettera aperta pubblicata sul suo Twitter, dove la definisce «schoolyard bully», bullo da cortile, e “pubblicista travestita da critica”, promettendo che «non avrà mai un posto da Saint Laurent».

Non è un incidente isolato: testate e addetti ai lavori raccontano di inviti revocati, mail acide, condizioni rigidissime su cosa si può fotografare e come. Il controllo dell’immagine non riguarda solo i look, ma l’intero ecosistema di discorsi che circondano il suo nome.

Questa ruvidità riecheggia nella sua estetica: poca indulgenza, tantissimo rigore. Casting spietati, corpi che devono aderire al codice, sguardi sospettosi verso chi prova a criticare dall’esterno. Se sparisce, è anche per evitare di condividere il palcoscenico con chi non ha scelto personalmente?

Un uomo che invecchia, un’estetica che non può farlo: il mito dell’eterna adolescenza

Slimane è nato nel 1968: nel 2025 ha 57 anni. Nelle rare foto in cui compare oggi, è un uomo maturo, un po’ segnato; lontano dagli adolescenti che mette sulle passerelle e davanti all’obiettivo.

La sua estetica, invece, sembra bloccata in un eterno ritorno del diciottenne: corpi che sopportano notti infinite, diete discutibili, droghe, alcol, voli low cost dopo il concerto, e che al mattino sono ancora perfetti in skinny jeans e stivali. È l’ultimo grande mito tossico della moda – l’eterna giovinezza – messo in scena da qualcuno che sa benissimo, sul proprio corpo, quanto sia impossibile.

Qui la domanda si fa scomoda: può un autore andare oltre il proprio mito senza smontarlo? Può Hedi Slimane, che ha costruito tutta la sua forza sull’immaginario di una giovinezza infinita, accettare di raccontare corpi diversi – più adulti, più pesanti, più stanchi – senza sentirsi tradito?

Il tempo passa sui documenti anagrafici, ma non sulle collezioni: i cavalieri restano adolescenti, i ragazzi di Los Angeles non invecchiano mai, i club non chiudono, il fumo non incide sui polmoni. Il mondo reale, fuori campo, fa un altro lavoro.

Può Hedi Slimane andare oltre Hedi Slimane? Sparire, ricomparire, riscriversi

Dopo l’addio a Celine, la domanda di rito è stata: dove andrà adesso? C’era chi lo immaginava da Chanel o Gucci, persino da Armani. Un marchio con il suo nome? Solo fotografia? Nel frattempo, la prima risposta è arrivata da tutt’altra direzione: non una nuova maison, ma una casa editrice indipendente.

Nel maggio 2025 la stampa annuncia che Slimane sta lavorando a Bright young things, progetto editoriale che userà il suo enorme archivio visivo per una serie di pubblicazioni artistiche da collezione. Il nome riprende quello della sua ultima collezione maschile per Celine e, ancora prima, quello con cui la stampa londinese degli anni Venti battezzava un gruppo di aristocratici e artisti bohémien immortalati da Cecil Beaton: Stephen Tennant, Nancy Mitford, Evelyn Waugh.

Ha una sua logica: Slimane possiede una società di produzione e detiene i diritti sulla quasi totalità dei suoi scatti, quindi può controllare contenuti, distribuzione, strategia commerciale dei libri tanto quanto ha controllato le immagini di moda. Bright young things sembra la versione editoriale di ciò che il suo Instagram è già da anni: un archivio, più che un diario.

Intanto, a Celine, il suo posto viene affidato a Michael Rider, ex Ralph Lauren e già braccio destro di Phoebe Philo: un passaggio di testimone che conferma quanto l’era Slimane, pur contestata, abbia riscritto per sempre il profilo della maison.

Forse la vera partita, per lui, comincia ora. Non nel decidere dove andrà (quale brand, quale contratto), ma se può andare oltre l’immaginario che ha imposto al mondo: oltre gli Hedi boys, oltre l’adolescenza perpetua, oltre l’idea che il desiderio abbia senso solo se proiettato su un diciottenne pallido in giacca nera.

Finché non lo farà, resteremo in questo paradosso: un uomo che invecchia fuori campo e un’estetica che non può invecchiare per contratto. Un autore che ha consacrato l’arte di sparire, ma che forse – tra un libro fotografico e l’altro – deciderà se avere il coraggio più radicale di tutti: quello di farsi vedere.

Federico Jonathan Cusin

Sly indoor smoke by Hedi Slimane @thefacemagazine
Hedi Slimane photographed by Irving Penn, May 2001
Hedi Slimane photographed by Irving Penn, May 2001
Dior Homme Fall-Winter 2004
Hedi Slimane
Hedi Slimane
Hedi Slimane Presents Saint Laurent FW16 Collection In LA
Hedi Slimane Presents Saint Laurent FW16 Collection In LA
Hedi Slimane – Yves Saint Laurent and Pierre Berge
Nude Look Yves Saint-Laurent Spring – Summer 2000