Loro Piana, Knit Design Award 2025. Accademia Costume e Moda

Sostenibile, creativo, non virale: la moda è solo marketing o serve ancora la sostanza?

Fibre naturali, longevità e capacità di resistere alla girandola del marketing, Simone Rizzato, Morgan Boyce, Sonia Veroni dell’Accademia Costume & Moda, Loro Piana Knit Design Award

Sostenibilità e creatività – riflessione sulla moda con gli studenti vincitori del Loro Piana Knit Design Award, Morgan Boyce e Simone Rizzato

La fibra come protagonista, la dimensione scultorea. Una moda che si muove su due assi: sostenibilità, parola abusata che occorre di volta in volta riempire di significato, e creatività. Elementi che potrebbero fare da antidoto alla diffusa disillusione per un sistema spostato più verso il marketing che verso la sostanza. Retorica? A volte sì. Per restare in Italia, sembra crederci Loro Piana, che dal 2016 organizza il Knit Design Award, chiedendo agli studenti delle scuole di moda in giro per il mondo di rielaborare un filato e le sue proprietà in un capo in maglieria. 

Quest’anno hanno vinto due designer dell’Accademia Costume & Moda di Roma, l’inglese Morgan Boyce (24 anni) e il torinese Simone Rizzato (29). Il loro progetto, Paracadute, esposto a Firenze da Loro Piana a Pitti Filati. Sostenibilità: la fibra è il lino. Creatività: la richiesta di sottolinearne le potenzialità invernali, abituati come siamo ad accostarlo all’estate. 

«Durante la Seconda Guerra Mondiale, alcuni miei parenti lavoravano in una fabbrica militare di paracaduti del Regno. Non molti lo sanno, ma per produrli veniva usato il lino. Siamo partiti da qui: un punto di vista diverso, per un brand di lusso come Loro Piana», spiega Boyce. Qualche paracadute di guerra fu poi recuperato dalla comunità e trasformato in abiti. «L’idea è quella di un uomo che torna dal conflitto con un paracadute in lino e poi quel materiale è utilizzato dalla futura moglie per farne un abito da sposa. È vero che in quanto designer facciamo indumenti, ma la moda deve sempre essere un messaggio di speranza in ogni momento di guerra», dice Rizzato. 

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Loro Piana Knit Design Award 2025. Accademia Costume e Moda. Simone Rizzato e Morgan Boyce

Cosa vuol dire davvero sostenibile? L’approccio di Accademia Costume & Moda

Accademia Costume & Moda è stata selezionata per partecipare ai Knit Design Award per la prima volta lo scorso anno, anche grazie alla sua disponibilità di macchinari per maglieria che tendono al sostenibile. Boyce: «Quasi tutto quello che abbiamo fatto è stato realizzato a mano, con le macchine manuali. Solo per alcune parti abbiamo usato macchine industriali, ma nel risultato finale non abbiamo generato scarti. Abbiamo usato solo cashmere e lino, usando lavaggi e finiture diverse per ottenere le sensazioni tattili – a volte ruvide, a volte soffici». Di per sé il lino è tra le fibre meno inquinanti: è robusto e si presta a molti impieghi, ha bisogno di pochi pesticidi e di non troppa acqua, aggiunge Rizzato. Meglio del lino, ci sarà sempre la canapa.

Il lino non basta per dire che un capo è un sostenibile. Sonia Veroni, direttrice del Master in Creative Knitwear Design dell’Academia e co-fondatrice della Modateca Deanna (dedicata alla maglieria), parla di «una responsabilità nostra come professionisti del settore, e anche nostra come tutor e come Accademia». Nel campo della maglieria, nello specifico, la sostenibilità è un lungo processo. «Tutti parlano di filati sostenibili, ma cosa vuol dire? Vuol dire approvvigionarsi da aziende affidabili, acquistare da aziende italiane che esistono da cent’anni. Non c’è bisogno di spedire capi via aereo per farli arrivare a te. Secondo punto: come mischi questi materiali? Sono riciclabili alla fine del ciclo di vita? Se usi il 100% lana, può essere riciclata al 100%. Se un capo ha bisogno di elasticità e serve un filato sintetico, il riciclo è compromesso. Terzo: come lavori i tuoi filati? Alcune macchine, come quelle per la maglieria in lana, non producono scarti. Usi solo il filo che ti serve. Alcune creano direttamente il capo finito, quindi consumano meno energia»

Bisognerebbe poi guardare a come viene prodotta l’energia utilizzata dalle aziende, tenendo a mente che ora come ora «nessuna può dirsi sostenibile al 100%». In Italia è però più facile che altrove avvicinarcisi, continua Veroni: «Avevamo regolamentazioni ambientali già cinquanta anni fa. Da noi non puoi tingere i tessuti con certi prodotti chimici, non puoi scaricare i rifiuti nei fiumi. Guardiamo i distretti tessili di Biella: avevano i depuratori decenni fa. L’Italia è tra i Paesi migliori».

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Loro Piana Knit Design Award 2025. Accademia Costume e Moda: Paracadute

‘Cool’ e ‘hype’ sono concetti adatti per parlare di moda?

Nel mondo ideale, oggi parlare di moda significherebbe raggiungere un equilibrio tra sostenibilità e concettualità creativa. Nel mondo reale, la macchina che c’è dietro la moda non sembra ancora del tutto d’accordo, contribuendo a un problema di tipo reputazionale. Quanti sono i brand che continuano a concentrarsi su elementi come il numero di follower e la viralità di un capo rispetto a valori come artigianato e sostenibilità? 

«Tutto è cambiato con Internet e i social media. Ora chiunque può parlare di moda, tutti vi hanno accesso. Prima c’erano solo le riviste e i professionisti che traducevano la moda per il grande pubblico. Dovevi avere conoscenza e cultura per capire cosa c’era dietro. Ora non ci sono più filtri. Tutti si avvicinano alla moda con quel poco che sanno. Gli influencer non sanno nemmeno cosa stanno promuovendo, non sanno di cosa è fatta la loro borsa, sanno solo il nome del brand. Non era così fino a 15-20 anni fa», dice Veroni. Basta pensare al successo di Balenciaga nell’epoca Demna, nonostante i prezzi inaccessibili. Molti dei suoi acquirenti non sanno nemmeno chi è Cristóbal Balenciaga ed è da vedere se seguiranno il brand anche con Piccioli.

Rizzato mostra fiducia nel presente e nel futuro: «È vero che alcuni brand si concentrano solo sul creare hype. Altri sono focalizzati sull’ecosostenibile, che vuol dire anche preoccuparsi dei propri clienti. La nostra generazione – e ancora di più quella dopo di noi – sta iniziando a spostarsi da questa idea di ‘cool’ fine a se stessa. Non basta più. ‘Cool’ è anche la storia dietro un capo, la storia delle persone che l’hanno realizzato, la storia dell’azienda che l’ha prodotto». Boyce parla anche di longevità: «Se si va nelle scuole di moda e si parla con gli studenti, ci si accorge che non vogliono più solo ciò che è in trend. Vogliono ciò che dura nel tempo». 

Longevità va intesa non solo come qualità del materiale, ma anche nel senso di creare una connessione con chi comprerà il prodotto. «Un cliente si connette di più con un capo che ha un senso. Non sarà qualcosa da buttare via con leggerezza, ma un acquisto da indossare di nuovo e di nuovo, negli anni. È più un investimento. Le cose che diventano popolari online hanno più possibilità di invecchiare. Possono avere un picco, ma dopo cinque anni le assocerai solo a quel preciso momento. Forse la vedo così da outsider, essendo inglese, ma in Italia sento che c’è ancora molto valore dato all’artigianalità. L’etica del Made in Italy ha un peso, partendo dal produttore e scendendo fino al cliente». Non è che c’è uno scollamento di vedute tra addetti ai lavori e pubblico? «È chiaro a tutti che una parte del pubblico vede la moda solo come prodotto, però ce n’è un’altra che va a fondo, che esplora cosa significa . Molti sostengono di amare la moda, ma solo alcuni comprendono che non si tratta solo dei designer: più di noi, si tratta di chi produce, dei manifatturieri», dice Rizzato. 

Loro Piana Knit Design Award 2025. Accademia Costume e Moda: Paracadute
Loro Piana Knit Design Award 2025. Accademia Costume e Moda: Paracadute

La moda effimera, la girandola di direttori creativi e l’industria usa e getta

Altro grande tema di oggi, speculare a quanto detto finora: la girandola di direttori creativi che passano da una casa all’altra in tempo zero. Si può citare il caso Gucci-Sabato De Sarno per riassumerli tutti. La moda come il calciomercato o la finanza. «Nei brand che vogliono inseguire troppo l’hype basta una stagione meno popolare rispetto a quella prima e sei fuori. Non si investe nel tempo e nello spazio necessario per permettere a un direttore creativo di costruirsi. Così diventa difficile avere la propria nicchia di fedeli che non se ne vada insieme a questa figura. La cosa più inquietante è che quando se ne va un direttore creativo, se ne va tutto il suo team. L’industria sta diventando usa e getta», riflette Boyce. 

Anche Rizzato si dice preoccupato. «I brand cercano in continuazione una nuova immagine. Alle persone non piace la loro proposta? La cambiano. Credo che alcuni marchi non abbiano ancora capito che le persone non sono attratte solo dagli oggetti, ma da un qualcosa in cui si identificano. Non ci si prende il tempo per sviluppare una visione». Di tempo ne servirebbe: «Anche pensando al nostro piccolo progetto, abbiamo avuto bisogno di tempo per esplorare, indagare, cambiare, assorbire. Prima devi vedere, devi accorgerti delle cose, poi assorbirle e infine condividerle con l’esterno. Spesso per il mercato non si tratta nemmeno di piacere o di essere capiti, ma solo di far comprare».

Loro Piana Knit Design Award 2025. Accademia Costume e Moda: Paracadute
Loro Piana Knit Design Award 2025. Accademia Costume e Moda: Paracadute

Simone Rizzato

Designer torinese, 29 anni. Simone Rizzato ha deciso di interrompere gli studi in Biologia per dedicarsi alla moda, in particolare la maglieria, dopo esperienze in Acne Studios e nel brand di Torino serienumerica. Oggi lavora con ICEBERG.

Morgan Boyce

Designer inglese, 24 anni. Morgan Boyce, dopo un percorso nell’arte, ha scelto l’Italia per perseguire un percorso di studi nella moda. Ha lavorato per FALCONERI.

Sonia Veroni

Direttrice del Master in Creative Knitwear Design dell’Academia; Sonia Veroni è co-fondatrice e CEO dell’archivio Modateca Deanna. Ha lavorato a lungo tra marketing, styling e pubblicità. È stata direttrice Artistica del brand di GOTHA e insegnante di “Materiali per la Moda” all’Università IUAV di Venezia.

Giacomo Cadeddu