Paolo Ranalli, La Canapa

La Canapa: riflessioni con l’autore Paolo Ranalli

Il paradosso della canapa in Italia: fu un’eccellenza nazionale, ma non ha saputo entrare nel mercato moderno – «eravamo i secondi al mondo per quantità di canapa coltivata, i primi per qualità della fibra», racconta Paolo Ranalli

Dalla gloria agricola al declino: la parabola della canapa italiana

Il paradosso della canapa in Italia è quello di una pianta che fu un’eccellenza nazionale, ma che non ha saputo entrare nel mercato moderno. All’inizio del Novecento la coltivazione toccò il massimo sviluppo, con due aree principali: il Nord e il Sud della penisola.

Nel Nord la canapa cresceva nelle province di Ferrara, Bologna, Modena e Rovigo. Solo a Ferrara, nel 1914, si contavano circa 30mila ettari coltivati e una resa media di dodici quintali per ettaro. Al Sud la produzione si concentrava tra Napoli e Caserta, mentre Carmagnola, in Piemonte, divenne un polo d’eccellenza, tanto da dare il nome a una varietà tessile pregiata: la Carmagnola.

La canapa rappresentava un sostegno economico importante. Tuttavia, era una coltura familiare e manuale, che richiedeva circa 1.200 ore di lavoro per ettaro. Tutto – dalla macerazione alla filatura – era fatto a mano o con semplici strumenti meccanici.

Con l’industrializzazione e il boom economico, le campagne si spopolarono e la coltura divenne insostenibile. Entro il 1970 gli ettari coltivati si erano ridotti di oltre il 90%. Inoltre, nel 1961 l’ONU incluse la marijuana tra le sostanze stupefacenti, scoraggiando ulteriormente la produzione.

Scienza e innovazione: il contributo del Centro di Ricerca di Bologna

Negli anni Cinquanta nacque a Bologna il Centro di Ricerca per le Colture Industriali (CRA, oggi CREA), che si occupò di miglioramento genetico di piante come pomodoro, barbabietola e canapa.

«Questo istituto – spiega Ranalli – negli anni Cinquanta e Sessanta si occupava di canapa da fibra, quando le colture raggiungevano i 100mila ettari in Italia».

Ranalli, genetista e docente, dedicò la sua carriera a questa pianta. Il suo obiettivo era distinguere la cannabis sativa a uso industriale da quella ad alto contenuto di THC. «Era un problema concreto: molti agricoltori si vedevano sequestrare i raccolti», ricorda.

Da qui nacque un programma di miglioramento genetico che portò alla varietà Red Petiole, riconoscibile dal picciolo fogliare viola e con un contenuto di THC sotto lo 0,9%. Nel 2017 la varietà ha assunto il nome Fibrante.

Tra il 1992 e i primi anni Duemila, diversi progetti di ricerca coinvolsero nuove generazioni di studiosi. Si lavorò anche sulla meccanizzazione della raccolta e sulla macerazione controllata, isolando batteri utili alla lavorazione della fibra. Tuttavia, i risultati scientifici non trovarono un reale sviluppo industriale.

Canapa oggi: un potenziale ancora bloccato

Nonostante i risultati ottenuti, la filiera della canapa non ha mai trovato una piena valorizzazione economica. «La ricerca ha prodotto innovazione, ma senza il coinvolgimento delle imprese tutto è rimasto sulla carta», osserva Ranalli.

Uno dei problemi principali è la mancanza di impianti di prima trasformazione. Gli agricoltori non possono contare su strutture vicine ai campi, come avviene invece per lo zucchero o il riso. Di conseguenza, i costi di trasporto rendono la coltura poco redditizia.

Anche il valore economico della canapa è spesso sottostimato. Oggi si tende a utilizzare solo semi e infiorescenze, trascurando gli steli, che rappresentano circa l’80% della pianta. Se valorizzati, potrebbero essere destinati alla produzione di fibra tecnica per carta, bioedilizia e materiali compositi.

Solo una filiera integrata, capace di sfruttare tutta la biomassa, può rendere la canapa competitiva con colture come il frumento.

Una normativa complessa e ancora in evoluzione

Il quadro normativo italiano sulla canapa industriale è definito principalmente dalla Legge 242 del 2016, che consente la coltivazione senza autorizzazione delle varietà iscritte al Catalogo comune europeo delle specie agricole, purché appartenenti alla specie Cannabis sativa L.

Il limite di THC resta fissato allo 0,2%, con una tolleranza tecnica fino allo 0,6%. Entro questa soglia l’agricoltore non è penalmente o amministrativamente responsabile, a condizione che abbia utilizzato semi certificati e rispettato le procedure di controllo previste dalla legge.

Dal 2023 la Politica Agricola Comune (PAC) ha elevato a 0,3% il limite massimo di THC per ammettere la canapa ai pagamenti diretti europei. Si tratta tuttavia di una norma comunitaria che riguarda l’accesso ai contributi e non modifica automaticamente i limiti fissati dalla legislazione italiana.

La Legge 242/2016 prevede inoltre la possibilità di destinare, nel limite massimo di 700.000 euro annui, risorse per il miglioramento della produzione e trasformazione, oltre che per progetti di ricerca sulla prima lavorazione della canapa. Questi fondi, però, non sono automatici e richiedono specifici decreti di attuazione: finora ne sono stati attivati solo in parte.

Un punto ancora controverso riguarda l’uso e la commercializzazione delle infiorescenze. La legge elenca gli impieghi consentiti (alimentare, cosmetico, tessile, bioedilizia, semilavorati industriali), ma non disciplina esplicitamente la vendita delle infiorescenze essiccate. Ciò ha generato negli anni interpretazioni differenti da parte della magistratura e delle autorità competenti.

Il futuro della canapa tra sostenibilità e politica agricola

Oggi la maggior parte delle varietà usate in Italia sono monoiche di origine francese, pensate per climi diversi dal nostro. Secondo Ranalli, la ricerca resta “a rimorchio della politica”, e senza investimenti sarà difficile innovare.

Tuttavia, la transizione ecologica e i nuovi obiettivi della Politica Agricola Comune (PAC) potrebbero ridare slancio alla coltura. La canapa risponde perfettamente ai target europei: riduzione di pesticidi e fertilizzanti, aumento del biologico e tutela della biodiversità.

La riforma PAC 2014–2020 ha già riconosciuto la canapa tra le colture ammissibili ai pagamenti, purché derivi da semi certificati con THC sotto lo 0,2%. Con la nuova PAC, il limite sale allo 0,3% per i contributi europei, ma in Italia non tutte le Regioni hanno esteso i premi a questa coltura, privilegiando ancora riso, barbabietola e pomodoro.

Una riflessione per il futuro

La motivazione di Ranalli nel raccogliere esperti e studiosi nel volume “La canapa – Miglioramento genetico, sostenibilità, utilizzi, normativa di riferimento” (Edagricole, 2020) è chiara: creare consapevolezza e spingere all’azione politica.

«È una riflessione critica sullo stato della canapa in Italia», conclude. «Le conoscenze e gli strumenti ci sono, ma serve la volontà di metterli in pratica».

Mariavittoria Zaglio