
Cultura woke: significato, e dove trovarla a Sanremo 2025
Il concetto di “Woke” sta diventando sempre più divisivo e polarizzante soprattutto quando si intreccia con la cancel culture – qual è il significato? Per i sostenitori della Woke Culture, rappresenta l’impegno contro le discriminazioni
Che cos’è la cultura Woke?
La musica è da sempre uno strumento di espressione sociale e politica. Bob Dylan è considerato una figura simbolo della consapevolezza sociale e della protesta, e per questo il suo lavoro è visto come un precursore della cultura Woke.
Il termine ‘Woke’ o ‘Wokeness’ non è facilmente traducibile in italiano ma lo intendiamo come essere attento/consapevole. Essere Woke vuol dire possedere una consapevolezza sociale e politica riguardo questioni di giustizia sociale, discriminazione e diritti delle minoranze. L’origine del termine Woke la troviamo nel linguaggio delle comunità afroamericane degli Stati Uniti e inizialmente indicava precisamente la consapevolezza delle ingiustizie razziali. La cultura Woke ha iniziato a diffondersi con lo sviluppo del movimento per i diritti civili degli anni sessanta e nel tempo, il concetto si è ampliato fino a includere tematiche come il femminismo, i diritti LGBTQ+, l’ambientalismo e altre questioni sociali. Nell’ultimo decennio il termine è diventato popolare grazie ai movimenti per i diritti civili e, più recentemente, con il movimento Black Lives Matter.
Il legami tra la cultura woke e la musica: da Bob Dylan a Beyoncé
Fin dagli anni ’60, le sue canzoni hanno affrontato temi di giustizia sociale, diritti civili e pacifismo, elementi centrali anche nell’attuale panorama Woke. Brani come Blowin’ in the Wind e The Times They Are A-Changin’ sono diventati inni dei movimenti per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, influenzando generazioni di attivisti e artisti. Il suo approccio alla musica come strumento di denuncia e cambiamento sociale rispecchia l’idea Woke di sensibilizzazione e presa di coscienza sulle ingiustizie. Tuttavia, Dylan non si è mai schierato apertamente con movimenti contemporanei legati al Wokeism, mantenendo la sua indipendenza dalle etichette politiche. Questo lo rende una figura di riferimento più per la sostanza del suo messaggio che per un’identificazione diretta con il movimento Woke. (Vale la pena ricordare forse che sotto l’edizione di Sanremo 2017 capitanata da Conti, era stato annunciato Dylan come ospite ma sfortunatamente abbiamo avuto solo la sua imitazione da parte di Ubaldo Pantani).
Oggi molti artisti contemporanei, soprattutto nel rap, nel pop e nell’indie, si identificano apertamente con i valori Woke, utilizzando le loro piattaforme per sensibilizzare il pubblico su questioni sociali o per supportare movimenti come Black Lives Matter. Un esempio è l’ultimo album di Beyoncé, Cowboy Carter, con cui la cantante rivendica la riappropriazione della musica country da parte dei neri americani in quanto reali inventori del genere.
Cultura Woke e libertà d’espressione e artistica
Alcuni ritengono che la cultura Woke nella musica abbia portato a una sorta di censura indiretta, dove gli artisti si sentono obbligati a rispettare determinate sensibilità per evitare controversie o boicottaggi. C’è chi vede in questo fenomeno un rischio per la libertà artistica, temendo che l’espressione musicale venga limitata dalla paura di offendere qualcuno. È innegabile che la cultura woke abbia modificato il modo in cui la musica viene scritta, prodotta e percepita. Se da un lato ha amplificato voci storicamente marginalizzate e ha spinto l’industria a essere più attenta all’inclusione, dall’altro ha aperto un dibattito su quanto il desiderio di giustizia sociale possa entrare in conflitto con la libertà creativa. La musica, come specchio della società, riflette queste tensioni, trasformandosi insieme al contesto culturale in cui è immersa.
Cultura Woke e Cancel Culture
Il concetto di “essere Woke” sta diventando sempre più divisivo e polarizzante soprattutto quando si intreccia con la cancel culture. Per i sostenitori, della Woke Culture rappresenta un atteggiamento positivo di consapevolezza e impegno contro le discriminazioni. Esempi di cultura Woke sono il revisionismo di opere letterarie e film per rimuovere contenuti considerati oggi offensivi o il cambiamento di termini linguistici per renderli più inclusivi o ancora il boicottaggio di aziende o personaggi pubblici per dichiarazioni ritenute discriminatorie. Per i critici invece, il Wokeismo è visto come un’ideologia eccessivamente radicale, che porta alla censura e al politically correct esasperato. La cancel culture, è una conseguenza controversa di questa sensibilità, caratterizzata dalla tendenza a boicottare o ostracizzare pubblicamente persone, aziende o opere ritenute problematiche. Se da un lato la cancel culture può essere vista come un modo per chiedere responsabilità a chi ha comportamenti discriminatori, dall’altro viene criticata per il rischio di limitare il dialogo e la libertà di espressione, generando una sorta di censura sociale.
La cultura Woke e il Partito Repubblicano americano
La cultura Woke è un fenomeno complesso e in continua evoluzione, che è spesso strumentalizzato e criticato. Il termine Woke ora è usato in senso dispregiativo soprattutto da simpatizzanti repubblicani. Il Partito Repubblicano ha trasformato la cultura Woke in un bersaglio politico, utilizzando la dicitura ‘ideologia Woke’ per criticare le politiche progressiste su temi come il razzismo sistemico, i diritti LGBTQ+, il cambiamento climatico e l’educazione scolastica. Per molti repubblicani, il Wokeism è diventato sinonimo di un’ideologia radicale che impone il politically correct, censura il dissenso e mina i valori tradizionali americani. Una visione non distante dai partiti di destra italiani che fanno riferimento all’’ideologia gender’ ogni qual volta si apre il dibattito sui diritti LGBTQ+.
Lo stesso Donald Trump ha spesso attaccato la cultura Woke, definendola una minaccia alla libertà di espressione e un’influenza negativa sulle istituzioni. Inoltre Trump recentemente ha più volte denunciato la cultura Woke come un’arma della sinistra per controllare il pensiero della popolazione. Questa retorica ha anche una funzione strategica: mobilitare la base conservatrice contro le politiche progressiste, presentandole come un attacco ai valori americani: Dio, patria, famiglia. L’uso del termine Woke in senso dispregiativo sta rendendo più difficile distinguere tra una legittima sensibilità sociale e un presunto estremismo ideologico, contribuendo alla polarizzazione del dibattito politico negli Stati Uniti.
Canzoni di denuncia sociale al Festival di Sanremo
Il Festival di Sanremo, non è solo una festival di musica leggera, ma è lo specchio che riflette le tensioni e le trasformazioni della società italiana nel corso dei decenni. Nel 1966, Adriano Celentano presentò Il ragazzo della via Gluck, una ballata che denunciava la speculazione edilizia e la perdita dei valori legati alla vita semplice, criticando l’urbanizzazione selvaggia e l’abbandono delle tradizioni rurali. Nel 1967 Luigi Tenco e Dalida parteciparono al Festival con Ciao, amore ciao.
Prendendo spunto da a Rainy Day Women#12 & 35 di Bob Dylan, Tenco nella sua canzone raccontava di uomo che deve abbandonare la persona che ama per andare a trovare opportunità in città in quanto la vita di campagna non ne offre più. Quell’edizione di Sanremo restò tragicamente nella storia perché alla notizia dell’eliminazione della canzone, Tenco si suicidò. «Faccio questo […] come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione» furono le sue ultime parole. È il 1988 quando Luca Barbarossa partecipa a Sanremo con L’amore rubato, canzone che affronta il tema dello stupro. Il Italia lo stupro era ancora considerato reato «contro la morale», sarà riconosciuto come un reato «contro la persona» solo nel 1996.
Nel 1996, Elio e le Storie Tese portarono sul palco La terra dei cachi, una satira pungente sull’Italia, con temi come la corruzione, la mafia e le contraddizioni del paese. Fabrizio Moro nel 2007 ha vinto la sezione Giovani di Sanremo con la Pensa, canzone di denuncia contro le mafie e la violenza. Ermal Meta nel 2017 ha vinto il premio della critica Mia Martini con la canzone che parla di violenza domestica, Vietato Morire.
Moro e Meta l’anno successivo, il 2018, sono tornati insieme sul palco dell’Ariston con Non mi avete fatto niente, con un testo che incita al non arrendersi alla paura, in riferimento alle stragi terroristiche messe in atto dall’ISIS in tutta Europa. Simone Cristicchi, quest’anno di nuovo in gara, nel 2007 vinse con Ti regalerò una rosa, una canzone che parla di emarginazione sociale, dedicata a tutte le persone che abbandonate in strutture psichiatriche e considerate ‘matte’.
Tra i più attesi anche il duetto Olly e Goran Bregovic, con Il Pescatore di Fabrizio De André. Il duetto di Marco Masini e Fedez – canteranno Bella Stronza – nei giorni scorsi avevano dato via libera a polemiche sulla possibile censura del brano, smentiti dagli stessi artisti. Masini ha scritto in una storia Instagram «La cover di “Bella Stronza” che io e Federico porteremo sul palco dell’Ariston venerdì non sarà nulla di tutto ciò che sto leggendo sui media: nessuna frase, nessuna parola della canzone è stata modificata. Abbiamo semplicemente unito parti del testo originale con le nuove strofe scritte da Federico per l’occasione. Ne è nato un racconto totalmente nuovo, del quale in tanti stanno parlando senza averlo neanche ascoltato».
L’anno scorso Angelina Mango aveva conquistato il pubblico cantando la canzone del padre, La Rondine. Questo’anno l’ospite più atteso della serata delle cover è Topo Gigio, portato dal Lucio Corsi: insieme canteranno Nel blu dipinto di blu di Modugno, il primo ad avergli dato la voce. Corsi spiega così la sua scelta «È molto più vero di tante persone che conosco e mi ha insegnato a non essere una marionetta».
Sanremo 2025 la serata delle cover: Lucio Corsi e Topo Gigio e la polemica Masini – Fedez
Fedez in Battito racconta il difficile rapporto con la depressione e racconta il suo dramma personale, sollevando ancora una volta la necessità di parlare di benessere mentale. Achille Lauro, Rkomi e Olly portano canzoni da innamorati. Anche Tony Effe sta trattenendo l’animo da trap-boy per cantare una ballata in romanesco. Nessuna canzona di questa edizione è paragonabile all’irriverenza di Vasco Rossi con Vita spericolata che nel 1983 diventa un inno per un’intera generazione. Forse però queste canzoni potrebbero essere un punto di partenza per aiutare gli uomini imparare a condividere le proprie vulnerabilità.
Questa è un’edizione di Sanremo senza provocazioni e colpi di scena e senza canzoni particolarmente controverse. Allo stesso tempo sembra che il machismo stia abbandonando il palco dell’Ariston. La rivelazione di Sanremo, Luci Corsi canta che vorrebbe essere un duro, e invece non è nessuno, solo Lucio. Un inno verso l’accettazione di sé, contro la retorica della performance. Non è necessario essere sempre i migliori, si vince anche solo restando coerenti con sé stessi: Lucio Corsi indossa sul palco i look di ogni giorno, compreso il gilè giallo con le spalline imbottite di sacchetti di patatine per farlo restare in forma.
Sanremo 2025: niente provocazioni e niente machismo
La quota rosa è affidata a donne per Carlo Conti tutte ‘bellissime’, ‘forti’, ‘guerriere’. Le donne di Carlo Conti fanno eccellenti cambi d’abito. Bianca Balti aveva chiesto di non essere considerata per la malattia che sta affrontando ma per la sua professionalità: sul palco si è vista definire ugualmente «un esempio per tutte le donne». Risponde: «Noi donne siamo sempre di grande esempio per gli uomini».
Quest’anno c’è il bambino prodigio che suona il pianoforte e il ragazzino che sa tutto di Sanremo. La disabilità e l’inclusione sono state messa in scena dal Teatro Patologico, a cui si è stato concesso di parlare – con la pressione di rispettare la scaletta al secondo. Il rappresentante della quota gay è stato Cristiano Malgioglio. Arrivato a Ottant’anni, ha mantenuto la sua istrionicità e stravaganza, ma non dà fastidio a nessuno (ed è facile da prendere in giro). La parte comica è stata affidata a Nino Frassica e Katia Follesa, entrambi portavoce di una comicità safe – che fa sempre ridere, ma senza colpi di scena e senza spazio per i monologhi. L’unica che avrebbe forse potuto dire qualcosa, Virgina Raffaele, è relegata alla pubblicità dell’Eni.
Carlo Conti e l’arte del politically correct
L’edizione di Sanremo 2025 è stata tacciata di essere la più democristiana degli ultimi anni: il video messaggio del Papa sulla pace, il duetto dell’isrealiana Noa e della palestinese Mira Awad, la foto di un’Assisi notturna con la scritta PAX (che richiama un’altra scritta – DUX), e in generale i pochi rischi presi da Carlo Conti. Il conduttore e direttore artistico sceglie la comfort zone. Laddove Amadeus con il suo Festival di Sanremo 2024 poteva essere considerato Woke. Ghali, sul palco dell’Ariston con la canzone Casa mia, aveva fatto un appello alla pace esprimendo le sue posizioni politiche sui conflitti internazionali e questioni umanitarie. Dargen D’Amico, con la canzone di Onda Alta, cantava di emigrazione e chi rischia la vita attraversando il Mediterraneo.