
Il rosso, amore, perfezione e cattiveria – la mostra di Valentino e Giancarlo Giammetti
La Fondazione Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti presenta la mostra Orizzonti Rosso a PM23. Una dedica al colore cifra della loro storia: non solo feste e principesse, quando la cultura di Roma era scenario mondiale
Giancarlo Giammetti: mente ferrea, cattiveria, ironia feroce e carisma da condottiero rinascimentale
Secondo molti, Giancarlo Giammetti sa essere cattivo. Esigente come pochi, di memoria prodigiosa e preveggente genio degli affari, è dotato d’una feroce ironia e del senso del comando, come un condottiero rinascimentale. Da quegli occhi medianici ci si sente indagati e ci si aspetta di subire l’eliminazione in un solo attimo, magari per un capriccio momentaneo, come fa Barbablù con le sue mogli sventurate, sotto i colpi di uno charme fatale. La capsula estetica in cui vive non ammette cedimenti. Tutto è portato al massimo della qualità, dai quadri agli interior designer prescelti, dallo staff numeroso, fino al cibo, i vini, l’apparecchiatura della tavola e i fiori.
Rosso come lava e sangue: il cromatismo identitario che forgia la leggenda di Valentino
Rosso come lava, sangue e passione; rosso come temperamento, rubino e fuoco. Rosso cardinale: identità e codice personale d’artista, archetipo e metamorfosi. Rosso Valentino, colore che diventa la sigla simbolica della sua opera omnia.
Dall’antico seminario alla Fondazione PM23: rinascita degli spazi di piazza Mignanelli fra memoria e arte pop
Gli ambienti che oggi accolgono la Fondazione PM23, in piazza Mignanelli, nacquero come seminario collegato a Propaganda Fide. In anni più vicini a noi furono prima atelier di Valentino e poi scuola per parrucchieri. Manomessi, hanno riacquistato le volumetrie originarie—terse, quasi smaterializzate—grazie al restauro voluto dalla Fondazione. Le voci si abbassano entrando nella penombra dell’esposizione, dove accolgono i visitatori le sfere d’acciaio lucidate a specchio, rivestite di colore trasparente, di Balloon Venus Lespugue (Red) (2013-2019), mastodontica Venere cicladica pop firmata Jeff Koons. Sulle cornici delle porte originarie dell’antico istituto religioso compaiono iscrizioni che indicano le destinazioni filosofiche e teologiche delle aule.
Valentino e Giancarlo Giammetti: arazzo di significati oltre la cronologia
Valentino e Giancarlo Giammetti non sono soltanto il duo del fashion system—the last of a kind, incarnazione di ciò che un tempo era chiamato le Monde. Come chiarisce l’esposizione Orizzonti Rosso che inaugura PM23, rappresentano un arazzo di idee che oltrepassano ogni cronologia: l’obiettivo è il concetto di bellezza al futuro.
Franca Sozzani ripeteva che nessuno sa vivere come loro due. Scorrono aneddoti, frammenti di storia e leggenda: le signore del milieu romano degli anni Sessanta e Settanta—Mia Aquarone, Ira Fürstenberg, Marella Agnelli—insieme ad Audrey Hepburn e Monica Vitti. Farah Diba, imperatrice d’Iran, visitando nel luglio 2007 la mostra per i 45 anni di Valentino all’Ara Pacis, mi sussurrò davanti a una vetrina: «Quello era il manteau che indossai lasciando il mio Paese, ignara che non vi sarei mai più tornata».
Liz Taylor, Nan Kempner, Gloria Guinness e Babe Paley—l’Überswan di Truman Capote—popolano la stessa galleria di memorie. Giammetti racconta la prima volta quando Babe lo accolse nel suo appartamento newyorkese al St. Regis, indossava un abito camaïeu con un Rothko rosa attraversato da striature giallo sole che la incorniciavano alle spalle.

Case come semantica, il maggiordomo e il metro
In ogni loro dimora va in scena un magistero di gusto elevato a semantica. Laure Murat, nel suo Proust, romanzo familiare insiste sul gesto anodino del maggiordomo che davanti ad ogni coperto tira fuori un metro per misurare la distanza tra forchetta e coltello.
Quest’integralismo dell’etichetta, sopravvissuto all’Ancien Regime e dipendente dalla sua immagine e superficie, che Murat descrive persistente nel coté aristocratico ancora negli anni Ottanta del Novecento, copriva il vuoto siderale d’un mondo al tramonto. Una metafora del principio su cui si reggeva un’intera casta, piramide in precario equilibrio sulla punta, muta potenza del codice mai detto.
Dall’incontro in Via Veneto al trionfo globale: Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, le loro case, il confronto con Saint Laurent e Bergé
Nella dimensione di Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, eretta progressivamente a partire dal nulla superando clichés e sbaragliando tradizioni assodate, il piacere di un’estetica impercettibile a occhio nudo diviene disciplina.
Giammetti non ha complessi di inferiorità. Ha protetto l’ostinata traiettoria creativa di Valentino, incontrato a fine luglio del 1960 delle Olimpiadi romane a Via Veneto, in uno dei luoghi nodali della dolce vita. Arduo stabilire se fosse o meno Doney, viste le differenti versioni fornite dai due. Il mistero aiuta il mito. Giancarlo Giammetti ha custodito e permesso lo sviluppo e le metamorfosi del segno di Valentino, sostenuto il controllo di un plot spinto alla vertigine.
C’è differenza tra Valentino e una figura tormentata quale YSL, oppure rispetto alla barocca mistica iberica di Cristóbal Balenciaga. Valentino Garavani ha saputo scrivere la sua storia nella moda e nella macchina sociale immerso in una felicità irenica, fatta di passione e lavoro quotidiano, di impegno caparbio e distacco luminoso. Lo conferma la memoria storica della Maison, Daniela Giardina, al fianco dei fondatori dai primi anni Settanta. Diversamente, non vi poté essere nulla di più lontano della temperatura autodistruttiva che vibrò tra Monsieur Yves e Pierre Bergé.
Le case sono gli specchi di questo modo di pensare la vita, traboccanti d’arte reperita in un panorama globale e perennemente aggiornato. Come lo Chatêau di Wideville, una specie di Versailles dai parterres d’eaux chilometrici, in cui Valentino e Giammetti non esitarono a demolire il precedente décor Grand Siècle di Mongiardino. Questi venne ingaggiato per la residenza di Cetona in Toscana.
Quindi Jaques Grange, Peter Marino, Laura Sartori Rimini. Hanno fatto tutto prima degli altri, quei due, compreso metter su una famiglia allargata queer esemplare per la sua normalità e stabilità affettiva, mai esibita quale militanza.
Collezionisti visionari: da Bacon e Basquiat a Warhol, Picasso e Twombly
Comprano tele di Francis Bacon quando si poteva ancora farlo e ai più sembrava troppo disturbante quell’espressionismo umbratile e pieno di ambiguità, i lemuri dell’inconscio evocati dal pittore britannico. Giammetti raddoppia nei primi anni Ottanta e si aggiudica due capolavori di Basquiat, un altro maudit consacrato, che allora non era nessuno. Rischiano spesso i quattrini per acquistare arte, anche quando non ne avevano tanti. Lungo decenni mettono insieme la raccolta.
Nella mostra si ripete il segno di Andy Warhol. Il ritratto di Valentino, materico, soffuso e regale come un Boldini, Andy lo realizza nel 1974 all’apice del suo verbum. Tutti ne volevano uno, era un must e Warhol chiedeva talmente tanti soldi – ricorda Giammetti. Fu Warhol che chiese a Valentino di poterlo ritrarre, non viceversa. Le Repos, si intitola il ritratto di Marie-Thérèse Walter dipinto da Pablo Picasso nel 1932, che funge da ancora ed offre un’espressione figurativa stilizzata contrastando con i lavori astratti circostanti.
Valentino e Jacqueline Kennedy e Capri: detonatore del mito mondiale con l’abito-icona in pizzo bianco
L’America consacra la Maison. Jacqueline Bouvier Kennedy, incontrata nel 1962, è il medium. Il comune amore per Capri, dove nel 1969 si installano alla Cercola, precedentemente dimora di Elena Serra di Cassano, fa da detonatore. Esplode a livello globale il riverbero di quell’abito a trapezio che ricorda una bambina edwardian, corto e bianco con inserti di pizzo, un fiocco di raso in testa, che l’ex first lady USA indossa il 20 ottobre 1968 per il suo secondo matrimonio con il Fab Greek Aristotle Onassis, sull’isola di Skorpios davanti a una cerchia ristretta di quaranta amici e congiunti.
Appartiene alla White Collection, detta anche No color, affidata agli scatti di Henry Clarke – protagoniste Marisa Berenson e Benedetta Barzini, muse in casa di Cy Twombly e Tatiana Franchetti a via di Monserrato. Twombly vi si manifesta in tralice, dichiarandosi figlio postumo di Poussin, tra consunte poltrone settecentesche in bianco e oro, consolle dell’Asprucci, busti e frammenti archeologici che flottano su pavimenti di marmo black & white.
Cy Twombly, Untitled 2008: pennellate rosso tempesta e dialogo con la White Collection
Di Cy Twobly Orizzonti Rosso espone un acrilico gestuale del 2008, Untitled, sferzato da pennellate rosse impetuose come onde marine in burrasca. Osanna Visconti indossava un modello haute couture della White Collection con tocchi antracite e datato 1968, al dinner che ha concluso la tre giorni di inaugurazione PM23, sotto il plafond barocco del salone di Palazzo Barberini.
Il fiuto di Giancarlo Giammetti seguita ancor oggi ad accumulare grandi dipinti come fosse un ragazzino goloso davanti al banco d’una gelateria. Un piccolo elegiaco Zoran Music nell’ingresso dell’appartamento su via Condotti rivela la sua attenzione non solo verso la scena mainstream ma anche riguardo talenti meno noti. La scelta si orienta solo verso il meglio.
Mostre di moda spesso malinconiche: PM23 rompe il cliché restituendo dignità a opere e abiti
Questa mostra dal duplice percorso è diversa da tutte quelle che rappresentano la moda, sovente malinconiche e pretestuose, viste in Italia nell’ultimo decennio, in cui gli oggetti d’arte e i dipinti sono avviliti nella loro primaria dimensione semantica. Resi piccoli e polverosi come borsette della nonna finite sui banchi di qualche vendita di beneficenza. Poche cose possono essere più tristi di un vecchio abito se non se ne intercetta lo shining, esaltandone la forza stilistica e la relazione epocale. Qui il tema è la dignità, un solco tonale che interseca e accomuna, che insieme stacca e distingue le due anime dell’esposizione. Noblesse de robe, direbbe la principessa Bibesco con un aforisma bizantino dei suoi.
Il dialogo arte-moda risulta paritario, emozionale e filologico; tocca similitudini e indaga ricerche parallele. Anna Coliva ha curato con acribia scientifica la parte artistica, mentre Pamela Golbin è responsabile del lato fashion. La strada si snoda, teoretica, precisa e sfrondata: dalla prima creazione del 1959 fino all’ultimo fourreau di taglio neoclassico, con scollatura asimmetrica, del 2008.

L’incendio del rosso valentiniano: Fontana, architettura dello spazio e grazia calviniana
Il rosso divampa e sospende, gioca con lo spazio architettonico, instaura relazioni inattese, coagula e si cala nell’astrazione. La grazia, vero cuore della poetica di Valentino, anche quando décor, applicazioni, intarsi e ruches si accumulano, rivela una leggerezza calviniana. Uno sketch di Helleu che diventa Hartung. L’abito scarlatto che avvia ogni cosa risale al 1959 e si chiama Fiesta.
Rose goyesche in tessuto di evidente ispirazione iberica, incapsulate dal tulle; quella gonna al ginocchio, armata a cupola, parla dell’Italia progettuale del dopoguerra e dell’energia del boom economico in atto. Lì accanto si trova un Taglio di Fontana, cremisi, dello stesso anno.
Sono opere provenienti da istituzioni e dealer, da collezioni private e dalla raccolta personale di Giammetti. Il gioco delle rispondenze diventa ancor più evidente nel corridoio centrale, spina dorsale e fulcro concettuale dell’intera mostra.
Cambiano drammaticamente le silhouette, esplorando tagli asimmetrici di scollature, sovrapposizioni scultoree, pulsazioni e linearità elettrica. Ancora Fontana; il drappeggio berniniano immerso in un rosso Ferrari di Agostino Bonalumi; Afro; Boetti, in bilico tra Arte povera e successivi raggiungimenti; un dittico di Castellani, punteggiato da studs laterali, che pare pervaso da un respiro religioso.
Roma 1962: Schifano e il gruppo di Piazza del Popolo tra scandali e avanguardie,
Un monocromo di Schifano del 1962 non può che riportarci alla Roma di Sargentini, di Plinio De Martiis e dell’Obelisco, della Marlborough di Anna Laura Angeletti e del magico circolo di Giorgio Franchetti. Rievoca il gruppo di Piazza del Popolo, quei pittori scapestrati e matti che trascorrevano pomeriggi interi da Rosati e si fidanzavano e sposavano con principesse cartomanti, filosofiche marchese venete e duchesse yé-yé, in un profluvio di botte, scandali, viaggi lisergici, debiti, disordine ed eroina.
John Paul Getty Jr e la moglie Talita fungono da numi tutelari. La dolce vita è in agguato nei palazzi del patriziato nero, scintilla tra terrazze sul Corso e i villoni della Cassia bis dei nouveaux riches. Ballando l’hully gully, l’urlo siderale di Mina e un twist di Peppino di Capri scivolano pigri verso gli anni di piombo, sciorinando le avanguardie di una temperie artistica italiana che è difficile superare.
Il segno inciso di Capogrossi si stempera di vivido ossidiana in campo rosso papavero e possiede un impeto plastico che sfonda il limite oggettivo della tela. Nelle sale precedenti sfilano le grandi passioni di Giammetti: le spatolate a gragnola di Clyfford Still; il rosso bruciato, esausto e liquefatto di una Combustione di Burri; un Francis Bacon che stilla linfe cremisi dalla Fondazione Beyeler; l’espressionismo di Gerhard Richter; l’amata Helen Frankenthaler; il minimalismo di Brice Marden; e un composit di mani disperate e apotropaiche catturate da Louise Bourgeois.
C’è un Concetto Spaziale del 1967, ordigno fantastico per catturare onde sonore in alluminio e acciaio dipinto, che sembra guardare indietro a Duchamp o preannunciare Anish Kapoor. Invece è ancora un’opera di Lucio Fontana.

I vogheresi illustri: Angiolillo, Arbasino e Valentino
Si librano le farfalle di Damien Hirst e, ovunque siano finiti, plaudono i Dioscuri vogheresi, amici e vicini di casa del couturier. Maria Angiolillo, regina dei salotti e di mille intrighi fra politica, Vaticano ed economia, e lo scrittore-vaticinatore Alberto Arbasino, che con Valentino componevano una triade di cultura, politica e società dominante nell’Urbe. In Il Piacere di Gabriele d’Annunzio, Andrea Sperelli confessa che il suo cuore è appeso come un ex-voto pagano tra la scalinata di Trinità dei Monti e la colonna dell’Immacolata in piazza Mignanelli. Una terna che veniva da Voghera, proprio come la celebre casalinga che negli ultimi scritti arbasiniani viene riabilitata dal rango di mezza-calza a moderna agit-prop, installata in meno di duecento metri dal fulcro di piazza Mignanelli.
Giammetti protagonista: GG, carisma, strategia e commozione dietro le quinte
Sorride ecumenico Giammetti e, sotto l’inossidabile abbronzatura, si scorge un velo di stanchezza. Questo è il suo momento. Finalmente può dire di non essersi mai sentito il secondo, sminuito dalla preponderanza creativa e tetragona di Valentino, e c’è da credergli. Valentino, noncurante, lo presenta come proprio assistente all’udienza con la regina Elisabetta, e GG gli regge il gioco, per nulla irritato, anzi divertito. Evidentemente se lo aspettava; da buon giocatore d’azzardo sa come tenere le carte e quando sferrare il colpo. Algido e cristallino, pare faccia paura se si arrabbia, ma è simpatico, curioso e stimolante come pochi quando vuole. GG non fa sconti né prigionieri, ma la commozione è palpabile.
Grand Horizon Panoramique e l’esercito couture: chiusura in crescendo della mostra
La mostra si chiude in crescendo con un gruppo grand opéra di vestiti haute couture e ready-to-wear, che marciano come l’esercito cinese di terracotta, incastonati dalla curva cangiante dell’opera site-specific Grand Horizon Panoramique °#1, 2025, di Thomas Paquet, luminogramma su gelatina d’argento colorata montata su Diasec.
Le due serate inaugurali si svolgono sotto soffitti barocchi da capogiro. Venerdì: cocktail al tramonto al Casino dell’Aurora Pallavicini, avvolti nello spettro cromatico radiante di Guido Reni. Sabato sera: seated dinner nella gloria di casa Barberini, mitologica e turbinosa fiction nel palazzo omonimo. Peccato che quasi nessuno, nemmeno molti italiani, sappia che è Pietro da Cortona, regista principale del barocco romano (e quindi globale), ad avere affrescato il soffitto del salone. Vagamente, a spizzichi, si citano Borromini e Bernini, mentre il povero Carlo Maderno è stato cancellato. Sopra il camino spiccano i cartoni degli arazzi Barberini, ora in Vaticano: approdati da poco in questo salone smisurato ed echeggiante come una cattedrale. Peonie rosso lacca, fucsia e porpora a gogo, bouquet ‘Princesse Mathilde’ fitti di rose antiche, candelabri Thomire in bronzo dorato si stagliano, viscontiani, sul broccato giallo.
Ospiti celebri e look iconici: Hurley, Vodianova, Abascal e Piccioli
Liz Hurley, in compagnia del figlio, alza per prima il calice al demiurgo. Pepi Marchetti Franchi di Gagosian, Laudomia Pucci, Donella Bossi Pucci, la curator Cloe Perrone, Micaela Calabresi Marconi e Claudia Ruspoli seguono l’esempio. Natalia Vodianova conserva il volto ingenuo di una ragazzina in fiore; Lucia Odescalchi, in bianco e nero, indossa tubolari tessili che si impaginano come canne d’organo digradanti sulla spalla. Naty Abascal risplende in un fourreau scarlatto con inserti neri che ricorda Sargent e Sorolla: la duchessa de Feria, musa di Valentino, vanta un’araldica beauté per cui il tempo pare insignificante. In molti si affrettano a omaggiare Pierpaolo Piccioli — arrivato con la moglie e trincerato dietro grosse lenti nere — per la recente nomina a direttore artistico di Balenciaga.
Immersione caravaggesca: visita privata alla mostra da record con Thomas Salomon
Il vero dessert è un viaggio nell’universo Caravaggio: una private visit della mostra blockbuster da quasi 400 000 visitatori. Ci accompagna il padrone di casa, il giovane direttore Thomas Salomon, che sta infondendo enorme energia nel rivitalizzare la Galleria Nazionale d’Arte Antica e Palazzo Corsini alla Lungara, altro splendore dormiente della Capitale.
Le feste sono la specialità della coppia d’assi V+G: dal lontano ballo del 1960, che inaugurò le danze appena aperto il primo atelier a Palazzo Torlonia in via dei Condotti 11, fino alla fiabesca celebrazione del luglio 2007, quando fu eretto un effimero Brighton Pavilion in rosso e oro, raggiungibile attraversando il Museo Borghese. Il canto del cigno di un mondo irripetibile: gioielli e bagliori astrali, donne come sacerdotesse d’Iside in una notte di luna estiva.
Il primato di un’estetica nutrita di rigore, sfide e sottrazioni. È la bellezza il canone necessario che sostiene l’intera parabola tracciata da Valentino e Giammetti. La bellezza, centrale nel processo artistico, muta attraverso il tempo: ogni nuova espressione allarga un orizzonte inedito, un terroir altro, tutto da superare e interpretare.
Cesare Cunaccia
