Cosmesi in canapa, architettura rurale: l’esperimento di Canabetum

Canabetum nasce nel Padovano come progetto agricolo e culturale, tra cosmetici naturali, architettura rurale e una filiera della canapa che in Italia resta fragile e incompleta

Canabetum: la canapa come materia prima naturale tra biodiversità e divulgazione 

Marina De Benedetti, imprenditrice agricola, ha fondato Canabetum come estensione della realtà biologica di famiglia attiva nel Padovano. La sua esperienza unisce lavoro sui campi e ricerca applicata: «Ho sempre pensato che questa pianta potesse aprire possibilità concrete». L’obiettivo è tenere insieme produzione, divulgazione e tutela della biodiversità, con una filiera che rimanga locale quando possibile e trasparente nelle scelte.

Una pianta antica e una storia da recuperare: la canapa tra memoria produttiva e identità territoriale

Il nome Canabetum nasce da una stele romana del II-III secolo d.C. conservata al Museo Atestino di Este che menziona un terreno a canapa, un riferimento che salda il progetto con la stratigrafia agricola del territorio. Nella storia produttiva italiana la canapa ha avuto un peso rilevante: fino agli anni Cinquanta erano coltivati ampi ettari, con un primato riconosciuto per qualità della fibra. Le Repubbliche Marinare ne resero strategico l’impiego per cordami e vele: «Per me scoprire quella stele è stato un segno: significava che nel nostro territorio questa pianta aveva radici profonde». La cornice storica diventa un quadro di riferimento per una ripartenza che non sia nostalgica ma operativa.

Coltivare canapa oggi: potenzialità agronomiche e programmazione resa fragile dalla normativa

Nel 2020 viene impostato il primo campo su un ettaro e mezzo, terreno recuperato dopo anni di abbandono e privo di chimica per oltre quindici anni. La scelta cade su Santhica 27, Fibror 79 e Futura 75: «Volevo partire da una base pulita, senza diserbanti né concimazioni, perché la canapa è una pianta assorbente». L’apparato radicale fine favorisce l’ossigenazione del suolo e rende efficace la rotazione con il frumento. Le piante superano i quattro metri, oltre gli standard dichiarati per le varietà, con una crescita favorita dal microclima locale.

Il limite è esterno al campo: «Quest’anno non ho seminato, perché il decreto sicurezza rendeva praticamente fuori legge anche la canapa industriale: parlava del divieto di utilizzo delle infiorescenze, ma come si può coltivare una pianta senza infiorescenza?». I chiarimenti normativi arrivano tardi rispetto al calendario agricolo: «La campagna segue le stagione, non i decreti».

Economie circolari: dallo stelo “scarto” a oleoliti, saponi e idrolati riutilizzati senza sprechi

L’asse di lavoro che si consolida è quello cosmetico, dove la normativa europea ammette l’uso di seme e bacchette triturate: «Abbiamo visto che nello stelo si conservano proprietà antiossidanti, lenitive e protettive». Lo stelo diventa base per oleoliti a freddo, creme e saponi. In origine il canapulo veniva inserito come scrub, ma «il canapulo è stato tolto dalla lista INCI dei cosmetici, come fosse una sostanza drogante», con l’obbligo di riformulare: «L’ho sostituito con la farina di canapa».

Il principio resta quello del riuso: l’idrolato, anziché finire tra gli scarti, viene reimpiegato come deodorante antibatterico per scarpe: «Nulla va sprecato: ogni parte della pianta può trovare impiego». Il riscontro di chi usa i prodotti arriva soprattutto dai saponi e dagli oli: «Persone con psoriasi ci riportano effetti positivi anche solo dall’uso del sapone»

Fibra di canapa: in Italia oggi manca una filiera

Sulla fibra di canapa si apre il nodo industriale: «La trasformazione dello stelo avrebbe richiesto ulteriori investimenti che non eravamo in grado di fare». E il tentativo di “fare filiera” non trova sponde: «Mancava la massa critica di persone che potessero utilizzare un macchinario nuovo, anche le aziende meccaniche coinvolte non hanno trovato la cosa sostenibile».

La discontinuità normativa pesa anche su questo fronte: «È uscito un decreto all’anno e ognuno è stato oggetto di ricorso. I due ricorsi precedenti erano stati vinti; proprio per questo il governo ha fatto uscire il terzo decreto». Il risultato è una pianificazione impossibile.

Canapa e clima: stagioni irregolari, semi mezzi vuoti e resa dell’olio condizionata dal meteo

Negli ultimi anni è entrata in gioco anche la variabilità climatica: «Le ultime stagioni agricole sono state difficili: caldi eccessivi, mancanza di piogge». Questo ha impattato la rese del seme: «Se non piove, il seme resta mezzo vuoto e produce pochissimo olio». 

Di conseguenza, la distribuzione di Canabetum rimane locale: «Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte: giusto il Nord, perché logisticamente è più semplice». Per espandersi in Italia o in Europa al momento mancano le condizioni, ma si prova a sensibilizzare il pubblico sulle qualità della pianta: «Laddove c’è possibilità di fare divulgazione cerchiamo di essere presenti per spiegare proprietà, caratteristiche salutistiche e ambientali della canapa, per esempio con le fiere di piante officinali, in cui la canapa è stata incasellata, se vogliamo anche un po’ forzatamente».

Materie prime naturali per l’architettura rurale: la stalla benedettina di San Pietro Viminario 

Un secondo blocco operativo nasce in cantiere, attraverso un progetto rientrato nel PNRR Architettura Rurale: «Con la Società Agricola Breda Bio S.S., che si occupa di seminativi estensivi, sto ristrutturando un fabbricato agricolo: un’ex stalla benedettina del 1500». L’edificio era compromesso: «In parte privo di copertura; la muratura aveva subito un grande danno d’acqua e per secoli le deiezioni animali avevano impregnato i muri. Chiudendolo, rischiavamo di ritrovarci con umidità di risalita e nitrati fino a un metro dal pavimento».

Si è scelto allora di impiegare materie prime naturali, in particolare la canapa. Questa è stata applicata a contropareti, pavimento e tetto, con un obiettivo non solo tecnico, ma anche divulgativo: «Il comfort oggi è sorprendente, sebbene si tratti di locali che non hanno ancora riscaldamento o raffrescamento attivo». Ultimata entro la fine dell’anno, la struttura sarà aperta al pubblico: «Diventerà uno spazio per attività culturali e sociali, e visite turistiche. Oltre a raccontare storia del territorio e dell’agricoltura, il luogo mostrerà come la canapa possa essere usata per risanare edifici difficili».

Esposizione permanente, fattoria didattica e turismo rurale come infrastrutture culturali

Il progetto edilizio non vuole, dunque, essere solo di recupero: «Verrà attivata una fattoria didattica e attività di turismo rurale rivolte a scuole, cittadini e tecnici. Penso che il tema interessi anche i professionisti dell’edilizia che non conoscono questo materiale: vedere e toccare con mano un progetto del genere aiuta a superare i pregiudizi».

L’obiettivo è quello di sensibilizzare il pubblico nella speranza di ricostruire una filiera della canapa in Italia: «La produzione e la trasformazione in Italia non ci sono, i materiali li ho comprati all’estero. Probabilmente bisogna partire al contrario, spiegare quanto il materiale possa essere prezioso e solo dopo creare una filiera».

Geografia della canapa in Europa: filiere, liberalizzazioni e un’Italia che arranca

La situazione italiana è in controtendenza rispetto al resto d’Europa: «La Francia si è accaparrata la filiera del seme, seguita dalla Romania e dalla Bulgaria. La Germania ha liberalizzato anche il THC, come l’Olanda, e probabilmente si è presa il mercato delle infiorescenze. L’Italia era il primo Paese al mondo per qualità, il secondo per quantità dopo l’Unione Sovietica, mentre oggi siamo fermi al palo. L’accanimento normativo, di fatto, tiene l’Italia fuori dalla produzione».

La lavorazione dello stelo richiederebbe macchine non disponibili sul mercato italiano. Senza filiera, gli impieghi rimangono dimostrativi e artigianali: «La trasformazione del canapulo e l’uso dello stelo sono rimasti fermi». La questione non è ideologica, ma tecnico-economica: «Mancano gli investimenti, la ricerca, lo sviluppo, la filiera: manca tutto quanto».

Prospettive future: divulgazione, filiere corte, norme stabili e un lessico tecnico condiviso

Gli usi agricoli ed edilizi della canapa sono accomunati da un unico filo conduttore: le prestazioni del materiale. In cosmetica, la tenuta antiossidante e lenitiva degli oleoliti; in cantiere, la capacità di isolamento e risanamento degli edifici, anche in presenza di umidità e nitrati. 

Per Marina le prospettive future si riassumono nella necessità di fare informazione: «Spero che la divulgazione aiuti a creare consapevolezza; l’obiettivo è far sedimentare competenze. La premessa per ogni passo successivo è la stabilità normativa: senza, la pianificazione resta fragile. Ma se non possiamo fare trasformazione industriale, possiamo almeno costruire conoscenza». In questa cornice, il volano non è il marketing, ma un lessico tecnico condiviso.

Canabetum

Canabetum è un progetto agricolo fondato da Marina De Benedetti nel Padovano, nato come estensione dell’azienda biologica di famiglia Bio Agrigea. Al centro c’è la canapa, coltivata e trasformata per produrre cosmetici naturali a filiera corta e per sperimentazioni in edilizia sostenibile. Il percorso intreccia ricerca agronomica, recupero della memoria storica e attività divulgative, con l’obiettivo di mostrare la canapa come materia prima naturale, dalle applicazioni cosmetiche all’architettura rurale.