Neve artificiale
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Suolo e neve artificiale: il costo di un inverno sempre meno naturale

Dagli alberi abbattuti per la pista da bob delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 agli effetti della neve artificiale sul suolo: le conseguenze ambientali legate alla pratica degli sport invernali

Il suolo: corpo vivo e culla di biodiversità 

Quando si parla di suolo, solitamente si pensa a una superficie piatta. In realtà, il suolo è un volume che, per il suo funzionamento, assomiglia più a un corpo. Nei primi trenta centimetri si svolge la maggior parte delle funzioni vitali e generative del suolo, rendendolo una delle principali responsabilità della vita sulla Terra. La biodiversità presente in questi primi trenta centimetri di suolo è il frutto di migliaia di anni di processi biochimici e rappresenta circa il trenta percento di tutta la biodiversità delle terre emerse.

A raccontare e difendere il suolo si dedica da anni Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano e autore del libro Dalla parte del suolo. L’ecosistema invisibile (Editori Laterza): «Il suolo è un ecosistema che garantisce la sopravvivenza di altri ecosistemi. Studiandone il profilo, si può osservare che ogni cento metri quadri le sue caratteristiche cambiano. È un corpo pieno di vita, dotato di una variabilità ecologica e ambientale straordinaria. In un cucchiaino di suolo vivono un miliardo di batteri, funghi micorrizici e microorganismi, fra cui artropodi fondamentali per le piante».

Un ecosistema che necessita del rispetto umano

Il suolo si compone per circa la metà di minerali – sabbia, limo e argilla – cui si sommano un quaranta percento di aria e acqua e un dieci di sostanza organica. Questi ingredienti gli permettono di svolgere diverse funzioni: è un regolatore climatico e idrogeologico, sostiene la vegetazione boschiva e agricola, depura l’acqua, fornisce il novantanove percento di calorie al mondo animale e il novantacinque percento all’uomo. Inoltre, garantisce cicli chiave per la vita come quelli di carbonio, azoto, fosforo e potassio: «È la pelle del pianeta».

Per continuare a svolgere questi compiti il suolo necessita del rispetto umano. La sostanza organica arriva al suolo attraverso piante, foglie, animali e insetti, mentre i minerali si trovano già sul posto oppure vengono trasportati da acqua e vento. Tuttavia, se nel loro percorso incontrano ceneri, microplastiche, sostanze chimiche o gasolio, depositeranno a terra anche questi agenti inquinanti. E se per consumare o inquinare il suolo possono bastare pochi minuti, affinché ne ricrescano dieci centimetri sono necessari duemila anni.

Sequestro di CO2 e regolazione climatica

La capacità del suolo di regolare il clima deriva dal sequestro di CO2: «Il suolo è il principale sequestratore di carbonio sulla terra. Le piante catturano la CO2, la trasformano in glucosio e ne iniettano nel suolo circa il quaranta percento. Qui passa a funghi e batteri, che in cambio cedono alle piante azoto e fosforo. Questo processo permette di sotterrare molta CO2, che garantisce anche la vita dei funghi. Nel primo metro di suolo è stoccata quasi quattro volte la quantità di carbonio di tutte le piante del mondo». 

Uno dei risultati della fotosintesi clorofilliana è, dunque, la regolazione del clima. Si stima che il lavoro congiunto di suolo e piante sequestri circa 0,52 Gt di SOC (Soil Organic Carbon) all’anno. In un metro di suolo si trova oltre il doppio del carbonio presente in atmosfera, il cui spessore è pari a seicento chilometri.

Olimpiadi e sport invernali non fanno il tifo per il suolo

Fra i principali indiziati per il consumo e l’inquinamento di suolo ci sono sì la cementificazione, l’agricoltura e l’industria, ma non solo. Anche un settore apparentemente innocuo come lo sport – in particolare quello invernale – ha le sue responsabilità, che si chiamano rispettivamente disboscamento e neve artificiale. 

Hanno fatto scalpore le immagini degli alberi abbattuti per la pista da bob delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 – pare che la quantità sia la stessa degli ultimi dodici anni – ma che impatto ha concretamente il disboscamento sul suolo? Disboscare significa «rompere la relazione fra due ecosistemi», spiega il professor Pileri.

«Un suolo lasciato nudo, senza copertura vegetale, è soggetto all’erosione superficiale causata dalla pioggia. La vegetazione, infatti, è in grado di trattenere parte o addirittura tutta l’acqua con le proprie radici». Si stima che la preparazione dei terreni per le piste porti a un incremento della loro porosità fino al cinquanta percento. 

«Se per rispondere agli standard delle federazioni sportive si va a levigare e sagomare la terra con i bulldozer, si eliminano anche i legami intrinseci del suolo. Di norma a questo punto si pensa di ovviare al problema dell’erosione compattando la terra, però così si ostacolano i cicli d’acqua che ne alimentano la biomassa. Di conseguenza, la vegetazione non attaccherà più e, una volta finito l’effetto della compattazione, il suolo cederà ugualmente. Infine, disboscare equivale a modificare il differenziale termico del suolo, ostacolando la vita che c’è al suo interno».

La neve artificiale svuota i laghi e soffoca il suolo

Negli ultimi trent’anni le località sciistiche italiane (e non solo) hanno visto cadere sempre meno neve e per questo fanno un crescente uso di quella artificiale. Questa si produce combinando acqua e aria compressa per ottenere una miscela che viene poi refrigerata e che, in seguito all’espansione nell’atmosfera, porta alla formazione di nuclei di neve. 

L’acqua utilizzata in questo processo viene normalmente attinta dai laghi montani, con un seguente impatto in termini di consumo idrico. Già nel 2007 uno studio del WWF aveva stimato che per produrre neve artificiale in una sola località sciistica abruzzese occorrerebbero cinquecentomila litri d’acqua all’ora, che diventerebbero trecento milioni per l’intera superficie delle piste della regione. L’associazione aveva allora anche evidenziato che i cannoni sparaneve aumenterebbero le emissioni di gas serra. Un altro esempio è quello del Lago Bianco, parte del Parco naturale Alpe Veglia e Alpe Dèvero, per la tutela del quale dal 2019 un comitato di cittadini si batte contro un progetto di approvvigionamento idrico per la pista di sci da fondo di Santa Caterina Valfurva. 

Al J’accuse contro la neve artificiale si unisce il professor Pileri, secondo il quale sarebbe anche responsabile di soffocare il suolo: «Si tratta di miscele che hanno al loro intero sostanze per inibire la crescita di erbacce e muffe – come acqua ionizzata, battericidi e funghicidi – e sali per rendere le piste più sciabili. Tutti componenti chimici che, una volta che la neve artificiale si è sciolta, vanno a danneggiare la biomassa presente nel suolo. In questo modo si inibisce la crescita di alcune piante, che non avranno più a disposizione i nutrienti di cui hanno bisogno, con un conseguente impoverimento della varietà floristica».  

Una sola stagione sciistica può causare decenni di danni

Quando la stagione sciistica termina, i danni all’ecosistema suolo causati dalle piste da sci permangono. La neve artificiale cambia la composizione del terreno e ritarda lo scioglimento delle nevi naturali dalle due alle quattro settimane: «La neve artificiale è fatta per resistere a temperature più elevate di quella naturale. Gli scioglimenti tardivi che ne conseguono impediscono la crescita di alcune specie erbacee, che si ritrovano coperte e soffocate. Una simile banalizzazione della vegetazione porta a un impoverimento della biodiversità sia sopra sia sotto terra e il suolo ne esce ancora una volta indebolito». 

Quando la neve artificiale si scioglie, dunque, la vegetazione si riprende, ma solo parzialmente. Si stima che anche con le migliori pratiche di gestione delle piste da sci, l’ecosistema suolo necessiterebbe di circa trent’anni per rimettersi in moto. Danni che – avverte il professor Pileri – non interessano solo vegetali e animali, ma anche l’uomo. Recenti studi hanno dimostrato che la variazione antropogenica dell’uso del suolo impatta sulla salute degli ecosistemi e sul comportamento degli animali, col rischio di scatenare la diffusione di agenti patogeni zoonotici fra gli umani. È ciò che accadde, per esempio, in Australia negli anni Novanta con l’Hendra virus. Inoltre, nel suolo ci sono batteri potenzialmente utili per la medicina. L’ultimo scoperto, nel 2015, è la teixobactina: prelevato nel sottosuolo del Maine, dai primi test è risultato attivo contro lo stafilococco aureo e la tubercolosi. 

Impegno umano per far fronte ai cambiamenti climatici

Per invertire questo processo è necessario l’impegno umano. Secondo il professor Pileri questo non può, però, limitarsi a progetti di rinaturazione, poiché non portano risultati immediati né possono ripristinare da soli l’ecosistema danneggiato. 

Il fatto stesso di dover ricorrere alla neve artificiale dovrebbe accendere un campanello d’allarme: «Ogni epoca deve portarsi dietro un’adattabilità alle condizioni esterne, mentre in questo periodo storico ci rifiutiamo di adattarci al clima che noi stessi abbiamo cambiato. Bisognerebbe abbandonare l’idea di praticare sport invernali dove non nevica e, di conseguenza, cancellare alcune manifestazioni sportive. Oggi ci ostiniamo a vivere al di là di ogni eccesso». 

Paolo Pileri

Paolo Pileri insegna Usi del suolo ed effetti ambientali al Politecnico di Milano. Si occupa di suolo e del suo consumo, ma anche di pianificare linee lente ciclabili e camminabili. È membro del comitato scientifico del rapporto nazionale sul consumo di suolo di ISPRA e ideatore del progetto VENTO, la dorsale cicloturistica tra Venezia e Torino. È autore di diversi libri: 100 parole per salvare il suolo; Progettare la lentezza; L’intelligenza del suolo; Piazze scolastiche; Urbanistica fragile; Dalla parte del suolo. L’ecosistema invisibile.

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