Cina ed Europa: una mostra di Cartier a Shanghai è il pretesto per un flusso che reagisce tra tecnologia e magia, tra geografia e diplomazia – dalla Duchessa di Windsor a una VPN per Google
Air China e Google – la traiettoria dell’aereo sopra Mosca: la mostra di Cartier, the Power of Magic al Museo di Shanghai
La traiettoria del volo Air China passa sopra Mosca – non avendo la Cina aderito alla sanzioni che l’Occidente ha decretato a sfavore della Russia, la compagnia di stato cinese può attraversare lo spazio aereo russo. Arrivi a Shanghai e ti ricordi che Google qui non funziona. Magia e tecnologia: quella sensazione che provavi da bambino, in viaggio, quando non avevi la televisione ovunque, d’un tratto niente abitudini quotidiane, il viaggio diventava per davvero una parentesi in altra dimensione: non solo un vivere altrove per qualche giorno, ma un essere altrove.
Terra d’oriente, terra d’altrove. Atterriamo a Shanghai per la celebrazione dei sessanta anni di rapporti diplomatici tra Cina e Francia. A segnare la consistenza, una mostra al Museo di Shanghai, la prima sede al mondo per l’arte antica cinese, dal titolo Cartier, the Power of Magic. I rapporti politici ed economici tra Cina e Francia trovano tributo nella storia di una gioielleria fondata a Parigi nel 1847 che oggi è un marchio mondiale, protagonista di globalizzazione. Il potere commerciale di Cartier può forse contribuire alla generica definizione di potere ai tempi contemporanei – di potere europeo.
Le nostre mail aziendali sono fornite da Google, e dopo poche prove alla scrivania di una camera d’albergo, niente, non funziona più niente, che di Meta potevi anche supporlo, ma non avevi pensato a cosa significa oggi la tua giornata senza Google. Senza una mamma a cui chiedere qualsiasi cosa che ti passi per la testa. Senza accorgersi come gli altri motori di ricerca funzionino a forse un decimo dell’efficienza di quella a cui Google ci ha abituati. Trump ha dato l’allerta: i dazi americani forse saliranno, forse ci ritroveremo a vivere senza i servizi americani in ogni minuto della nostra vita – ma appena arrivi in Cina, magia e tecnologia, tutto questo è già dato.


Da Parigi alla Cina, dalla società di Proust
Nel Rinascimento i principi componevano i cabinet of curiosity con pezzi che provenivano dall’Estremo Oriente. Il desiderio divenne smania di possesso verso la fine dell’Ottocento, a Parigi più che altrove: una febbre per tutto quello che proveniva da Oriente – Cina, Giappone, Indonesia. Gli intenditori iniziarono a comprendere i dettagli. Le cineserie erano vasi di porcellana, scatole di legno intarsiato, tavole di pietre lunari.
La società del Faubourg, delle duchesse, dei ricchi borghesi, degli snob e dei parvenu, fu poi raccontata da Proust con un romanzo che avrebbe rappresentato la base di ogni sofisticazione per chiunque voglia presentarsi abile ed esperto di gusto mondano. Quando una qualsivoglia signora di salotto e di chiacchiera azzarda un riferimento a Proust non è consapevole di cosa stia azzardando: la piccola villana che conosce Proust perché qualcuno gliene ha raccontato a sfogo di reciproca vanità, citerà la madeleine o l’orchidea di Odette. Diversamente, la donna che le pagine le ha lette, ricorderà l’ingresso della Regina di Napoli, la sodomia di Charlus, il successo di un’arrampicatrice che diventa duchessa nell’ultimo volume – e certo non dimenticherà quale protagonismo mai decadente le cineserie mantengono lungo tutto il romanzo: ventagli, tessuti, fondi oro, paraventi, teiere – e quanto altro: le collezioni di Oriente appaiono nella Ricerca di Proust come fossero note musicali ritmate di un contrabbasso.
Cartier, the Power of Magic al Shanghai Museum: l’allestimento di Cai Guo-Qiang realizzato con AI
Magia e tecnologia. La mostra al Shanghai Museum presenta una selezione dei pezzi dell’archivio storico di Cartier in dialogo espositivo con reperti e reliquie dell’arte decorativa cinese. Oro, diamanti, smeraldi, platino e quanto altro per la Francia – e la giada, l’alabastro, gli smalti e le laccature del legno per la Cina. Una stanza che potrebbe contare 50 metri per 100 metri ospita la mostra: vi si accede dell’atrio principale: il Museo di Shanghai è un edificio il cui volume non sarebbe concepibile per noi europei. Altezza e un vuoto in architettura che danno le vertigini al contrario, guardando dal basso verso l’alto.
Entrando nella sala della mostra, la luce è soffusa, tende al blu: dal centro si diffonde un rumore di acqua, mentre le teche a colonna danno ritmo di sintesi alle teche a muro di perimetro. Il progetto scenografico e l’allestimento sono curati da Cai Guo-Qiang tramite un programma di intelligenza artificiale evoluto dal suo studio di architettura e registrato come trademark: ovvero, agli input creativi che riceve, il sistema tecnologico risponde con elucubrazioni informatiche le cui premesse sono state alterate. In altre parole, ancora: il trademark di AI di Cai Guo-Qiang produce risposte con un alfabeto architettonico diverso dall’alfabeto architettonico comune, per logica o tradizione. La curiosità nasce da aperture mentali.





Il linguaggio cinese, la semplificazione di Mao
Nel linguaggio cinese, la stessa sillaba può essere pronunciata con quattro cadenze diverse: piatta senza accento; ascendente con l’accento; quasi cantata su una curva scendendo e risalendo; discendente e tagliata. Prendiamo l’esempio di una tra le sillabe foneticamente più basiche: MA. Per ogni pronuncia di MA un significato diverso, nello stesso ordine: madre, canapa, cavallo, insulto. Fu Mao a imbastire la semplificazione dei segni cinesi – oggi si parla il cinese tradizionale nelle isole, Taiwan e Hong Kong, mentre il cinese semplificato si parla nella Cina continentale. Se si mette a confronto il segno che produce la sillaba, nel tradizionale e nel semplificato, si comprende l’evoluzione.
Mao avrebbe voluto proseguire in questo lavoro, per rendere la scrittura cinese più accessibile sia al popolo meno agiato dall’istruzione, sia agli stranieri – ma così non è poi stato. Per leggere un giornale, una persona cinese deve essere in grado di riconoscere a memoria 6 mila di segni. I numeri sono le nostre cifre occidentali, che a noi arrivarono dagli arabi. La punteggiature, il punto di domanda, si intervallano nelle loro frasi. Per insegnare la pronuncia dei segni si usano le lettere occidentali. Google, Cartier, Air China – Oriente e Occidente non sono mai così vicini quanto su una pagina di cronaca locale a Shanghai.
I draghi, Cocteau, la Collection Cartier: le associazioni di colore
I draghi cinesi sono i mostri che tengono il mondo in ordine. Le pietre e i minerali si sono formate milioni di anni fa, tra tensioni e temperature che oggi proviamo a riprodurre in laboratorio raggiungendo la perfezione ma non la bellezza dell’errore naturale. Cocteau scriveva di Cartier come se Cartier non fosse una manifattura ma un uomo, un mago, un tessitore di frammenti di luna e filamenti di sole. L’archivio storico di Cartier è indicato come Collection Cartier, una raccolta che iniziò negli anni Settanta. Cartier cominciò a ricercare e a ricomprare i pezzi che erano stati prodotti a fine Ottocento, e nei primi anni del Novecento. Alle aste, ribussando alle porte di antichi clienti, proponendo scambi e restauri, prestiti e cambi. La Collection Cartier oggi conta oltre 3.500 oggetti, tra gioielleria, manufatti di oreficeria. La prima esposizione fu aperta nel 1989 al Petit Palais di Parigi – e da lì in avanti, la Collection Cartier ha cercato confronti e reagenti per poter trovare nuove parole alla propria storia.
Alcune associazioni di colore nascono dalla cultura visiva cinese: il rosso e il nero, con un rosso che può presentarsi purpureo negli smalti o nei rubini, oppure arancio se offerto dal corallo. Ancora: il rosso e il verde, quando il verde è quello intenso dello smeraldo o lattiginoso, acquatico della giada. Cani leoni, fenici, elefanti, carpe, tartarughe. La chimera, leonessa a due teste, e un serpente al posto della coda.
Alcuni pezzi e confronti rimangono in questo che potrebbe essere un diario di viaggio: il drago antico reperto di corallo affiancato allo zaffiro Kashmir della duchessa di Windsor, 152 carati, con la pantera seduta sopra. Due orologi da tavolo di Cartier, uno del 1926 il secondo successivo del 1927, simili per fattura e materiali, onice, giada bianca, corallo e smalto – frapposta tra i due, una tavola di giada verde risalente al Diciottesimo secolo. La spada di Cocteau che Cartier realizzò per il suo ingresso all’Accademia di Francia. Un budda in vetro e uno in avorio. I due coccodrilli che si baciano la coda e a quel serpente di diamanti e smalti che Maria Felix faceva roteare in aria sulla sua testa come fosse una fionda.
Cartier, the Power of Magic, Google, la VPN in Cina e a Shanghai – la cultura e il marketing
Atterrando in aeroporto, i manifesti di questa mostra erano dappertutto; ora, rientrando nella camera d’albergo dove una VPN mi permette di leggere le e-mail, mi accorgo che le riviste dispongono pagine di pubblicità di gioielli – ci sono tutte le case europee, i competitor di Cartier, case d’occidente. Alcune aziende del settore del lusso sappiamo come abbiano contato troppo sulla clientela cinese – senza mantenere un equilibrio con gli altri mercati e con l’Europa. Alcune aziende si sono trovate esposte in una nazione il cui governo e la cui economia non sempre seguono i codici liberali generati dai diritti civili. Lo sbaglio è stato quello di voler vendere in Cina quello che in Cina la gente conosce, invece che continuare a offrire quello che in Cina la gente sogna. La Cina vuole un’Europa che sappia distaccarsi dalla smania opprimente da dominio americano, offrendo più rispetto. Un’Europa dove sappiamo continuare a fare le cose con sofisticazione, massima complicazione, tradizione e avanguardia.
In questo scenario, bisogna riconoscere a Cartier l’abilità di scegliere la cultura come forma di marketing. Già nel 2004, per introdursi nel mercato cinese, Cartier aveva aperto una mostra monografica – oggi, venti anni dopo, con The Power of Magic si cerca una storia più ragionata. Qualcuno potrebbe rispondere che dare valore al marketing culturale è come scoprire ancora una volta cosa sia l’acqua calda – ma ancora, in questo dibattito tra Cina, Europa e America, bisogna ricordare quanti investimenti di marketing le aziende europee sprecano in fatture da saldare a Meta.
La migliore forma di comunicazione di marketing e di pubblicità sarà ancora la cultura – inutile illudersi con il product placement su gente vanitosa con un selfie. Le mostre di Cartier nei musei del mondo – l’anno scorso al Museo Jumex di Mexico City, l’anno prossimo a primavera al Victoria and Albert di Londra e in autunno a palazzo Altemps a Roma – permettono il nutrimento intellettivo di una comunità curatoriale, artistica e istituzionale che concede oggi a Cartier la dimensione di referenza istituzionale tale da rappresentare la Francia se non si può dire a livello politico, sì diplomatico.
Carlo Mazzoni



