La Scuola di Botticino a Milano collabora con l’Ospedale Galeazzi – TAC, laser, l’alga rossa giapponese funori e i batteri sono gli strumenti del restauratore moderno. Intervista a Salvatore Amura
Scuola di Restauro di Botticino, gli interventi a Milano
La Scuola di Restauro di Botticino nasce a Brescia nel 1974 e poi, nel 2019, si sposta a Milano su iniziativa di Valore Italia. Da cinquant’anni la scuola forma restauratori specializzati in diverse branchie di quello che l’amministratore delegato Salvatore Amura definisce un mestiere ruvido «che abbraccia l’imperfezione, il non finito, o il grezzo».
La scelta di puntare tanto sulla tradizione quanto sull’innovazione ha portato Valore Italia a eleggere Milano Innovation District (MIND) come sede milanese per la scuola. A livello locale la scuola ha attivato diverse sinergie, per esempio con Triennale Milano, l’Università Statale, la Pinacoteca di Brera e con il Gruppo San Donato per l’esecuzione di analisi tomografiche e radiografiche sulle opere d’arte presso l’Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio.
La Scuola di Botticino è anche coinvolta in opere di restauro sul territorio, tra cui, ad esempio, la parte lapidea del Duomo di Milano, il Tabernacolo della Basilica di Sant’Ambrogio e la Nike di Samotracia del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, calco storico in gesso a grandezza naturale della Nike esposta al Louvre di Parigi.
Salvatore Amura sulla figura moderna del restauratore
«Oggi il restauro ci vede talvolta impegnati non più nella ricostruzione di un oggetto o di un’opera. Il segno del tempo si deve vedere e va rappresentato attraverso un’analisi storica. Il lavoro del restauratore è fatto di studio e ripetizione, due elementi che segnano un netto distacco rispetto alla narrazione mainstream di oggi, in cui si è alla costante ricerca della novità, dell’effetto wow. Per il restauratore, la sorpresa scaturisce dalla scoperta di un elemento antico. Si sente custode di un sapere antico con la responsabilità di portare questo patrimonio nel futuro».
La moderna figura del restauratore, oltre a studiare chimica e fisica, si forma sulle nuove tecnologie e deve saper lavorare in team, collaborando con ingegneri, architetti, informatici, designer, progettisti. Il percorso di Laurea Magistrale a ciclo unico di Restauratore di Beni Culturali prepara ad affrontare il restauro delle opere attraverso la conoscenza delle tecniche esecutive, lo studio dello stato di conservazione e delle caratteristiche fisico-ambientali e strutturali dell’opera.
Il restauro lapideo, il restauro dei dipinti, il restauro tessile
Gli ambiti di applicazione in cui la Scuola di Botticino opera sono tre: il restauro lapideo, che comprende gli affreschi, i mosaici, le superfici decorate architettoniche, i marmi e le sculture; il restauro dei dipinti e delle tele antiche, degli arredi lignei e degli oggetti di design e arte contemporanea; il restauro tessile, che si occupa della conservazione di tappeti antichi, tessuti, arazzi, abiti, pelle e cuoio.
«I primi due profili – storicamente quelli di punta di Botticino – corrispondono all’ottanta percento degli interventi. Il terzo è una scommessa che in una capitale della moda come Milano meritava di essere fatta. Conservare e restaurare abiti, tessuti e accessori storici significa preservare non solo oggetti di grande valore estetico, ma anche testimonianze tangibili della storia sociale, economica e artistica di diverse epoche. Il restauro tessile permette di mantenere intatta l’integrità dei capi, consentendo a studiosi, designer e appassionati di moda di trarre ispirazione diretta dai dettagli e dalle tecniche utilizzate nei pezzi originali».
I tre ambiti di restauro a confronto: analogie e differenze
I tre ambiti di restauro esplorati dalla scuola hanno principi metodologici affini, ma poi differiscono nell’approccio pratico, sulla base non solo del campo di applicazione, ma anche della singola opera: «Alla base di ogni intervento di restauro è indispensabile svolgere un’attività preliminare di studio e analisi. Ogni restauratore trascorre circa la metà del suo tempo senza fare nulla sull’opera. Restaurare un’opera significa scoprire innanzitutto qualcosa che prima non si sapeva, in termini sia di inquadramento storico – magari attribuirla a un autore sconosciuto, datarla, capire in quale contesto si inseriva – sia di composizione chimica e fisica».
Lo studio preliminare consente di identificare le tecniche e i materiali più idonei ad affrontare i diversi problemi di conservazione che possono presentarsi: «Il restauratore lavora su materiali delicati, perché il tempo genera fragilità. Il restauro tessile prevede la pulizia della polvere e dei detriti, la riparazione strutturale e la conservazione preventiva, grazie al monitoraggio delle condizioni ambientali di stoccaggio o all’imballaggio. Il restauro scultoreo prevede, invece, la pulizia meccanica e/o chimica, il consolidamento per rinforzare materiali deboli o porosi, le riparazioni strutturali, l’integrazione estetica e la protezione per prevenire ulteriori danni. Le sculture spesso richiedono interventi strutturali significativi, come la riparazione di crepe profonde o il consolidamento di parti fragili, mentre i dipinti possono necessitare del rinforzo della tela o del supporto ligneo. Le esigenze ambientali differiscono: i tessuti richiedono un controllo rigoroso dell’umidità per prevenire le muffe, mentre le pitture possono necessitare di protezione dalla luce e dagli inquinanti atmosferici».

Il restauro incontra le nuove tecnologie
Il mondo del restauro si sta evolvendo grazie all’impiego delle nuove tecnologie: «L’innovazione scientifica e tecnologica ci consente di pianificare gli interventi, ridurre l’impatto ambientale, ottimizzare le risorse e lavorare in team con altri professionisti».
Per esempio, la partnership con l’Ospedale Galeazzi ha dato accesso alla scuola «a strumenti e a un capitale umano che consentono oggi di trattare le opere d’arte con tecniche nate originariamente per la cura della persona. Per poter eseguire un’analisi accurata viene utilizzata la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), tra le modalità di indagine radiodiagnostica più utilizzate sull’essere umano per poter riprodurre immagini in sezione e tridimensionali. Una tecnologia impiegata per la pulitura delle opere d’arte è il laser, che bombarda la superficie da trattare con radiazioni luminose ad alta energia, aumentandone la temperatura e vaporizzando quindi le sostanze superflui da asportare».
La scuola annovera oggi nel suo corpo docenti una figura specializzata nell’intelligenza artificiale: «L’IA può analizzare grandi quantità di dati per identificare pattern di deterioramento, aiutando a prevedere future necessità di restauro. Alcuni algoritmi di machine learning permettono di classificare automaticamente i materiali utilizzati nelle opere d’arte, migliorando l’accuratezza della diagnosi. Può essere utilizzata per simulare interventi di restauro, permettendo ai restauratori di visualizzare diverse opzioni prima di applicarle fisicamente».
Sostenibilità: pianificazione e materiali naturali
Le tradizionali tecniche di restauro possono impattare negativamente sull’ambiente a causa dell’uso di materiali chimici e processi dannosi per l’ecosistema: «È necessario sostituire i materiali sintetici con alternative naturali e biodegradabili; ridurre l’uso di solventi preferendo metodi meccanici per la pulizia e la conservazione delle opere d’arte; riciclare responsabilmente, per garantire che i rifiuti pericolosi vengano smaltiti in modo sicuro; utilizzare attrezzature a basso consumo energetico, adottando pratiche di lavoro più efficienti».
Oggi, nella conservazione della carta, dei tessuti e della pittura murale si utilizza, per esempio, il funori, un’alga rossa giapponese che, essendo biodegradabile, non inquina, ma si rivela efficace come adesivo e consolidante. I danni causati dalle colonie batteriche – come quando una statua presenta delle parti annerite – vengono contrastati con altri batteri, in collaborazione con la figura del microbiologo.
Attraverso un approccio strategico e multidisciplinare è possibile bilanciare la conservazione del patrimonio culturale con un’ottimizzazione delle risorse in uno scenario di crisi economica e climatica: «La parola d’ordine è programmazione: il restauro preventivo è la chiave per poter intervenire su un’opera d’arte senza incorrere in costi indesiderati. La pianificazione permette di identificare le opere e i siti più vulnerabili ai cambiamenti climatici e assegnare priorità agli interventi, permettendo agli operatori specializzati di valutare il rapporto costi-benefici, concentrandosi su quelli che offrono il massimo impatto con il minimo costo. Un’attenta pianificazione permette di utilizzare risorse e materiali nelle quantità corrette, riducendo l’impatto climatico dell’intervento».
Scuola di Restauro di Botticino
La Scuola di Restauro di Botticino nasce a Brescia nel 1974 e poi, nel 2019, si sposta a Milano su iniziativa di Valore Italia. Situata a Milano Innovation District, è qui possibile conseguire la Laurea Magistrale a ciclo unico di Restauratore di Beni Culturali, scegliendo fra tre diverse specializzazioni: il restauro lapideo, che comprende gli affreschi, i mosaici, le superfici decorate architettoniche, i marmi e le sculture; il restauro dei dipinti e delle tele antiche, degli arredi lignei e degli oggetti di design e arte contemporanea; il restauro tessile, che si occupa della conservazione di tappeti antichi, tessuti, arazzi, abiti, pelle e cuoio.
Debora Vitulano
